Nicolas Werth, Nemici del popolo

Autopsia di un assassinio di massa. Urss, 1937-1938 Bologna, Il Mulino, 2011

Autopsia di un assassinio di massa. URSS 1937-1938

Il Mulino Collana: biblioteca storica, febbraio 2011
pp. 296, 26,00 euro

Al centro di questo libro è la storia della «gente comune», della «gente ordinaria» rimasta intrappolata nel mec­canismo delle «operazioni di massa» del Grande Terrore.

Ventanni dopo la grande rivoluzione socialista d’Ottobre, il regime sovietico perpetrò il più grande massacro di Stato mai compiuto in Europa in tempo di pace: in sedici mesi, dall’agosto del 1937 al novembre del 1938, circa 750 mila cittadini sovie­tici furono giustiziati dopo essere stati condannati a morte da un tribunale speciale, in seguito a una parodia di giudizio. Ciò significa: circa 50 mila esecuzioni al mese, 1.600 al giorno. Du­rante il Grande Terrore un sovietico adulto su cento fu messo a morte con una pallottola nella nuca. Nello stesso tempo, oltre 800 mila sovietici vennero condannati a una pena di dieci anni di lavori forzati e spediti nel Gulag.

Come spiegare questorgia di terrore? Come fu possibile at­tuarla nel più grande segreto? Chi ne furono le vittime e chi furono i carnefici? E legittimo definire questo crimine di massa, come  si è fatto per lungo tempo, delle «grandi purghe»? Settant’anni dopo i tre grandi «processi di Mosca» del 1936, 1937 e .1938, cinquant’anni dopo íl «rapporto segreto» di Nikita Chruscёv al XX congresso del Pcus e quindici anni dopo lapertura degli archivi sovietici, è finalmente possibile avere l’esatta misura di ciò che fu davvero il Grande Terrore del 1937-1938 in Unione Sovietica.

I grandi processi di Mosca, che mettevano in scena i maggiori dirigenti bolscevichi caduti in disgrazia, accu­sati dei peggiori crimini di tradimento e spionaggio, così come il rapporto segreto, sono stati, ciascuno alla sua maniera, formidabili «avvenimenti schermo». In effetti, i processi di Mosca, parodie di. giustizia largamente seguite dagli organi d’informazione tanto sovietici quanto occidentali, hanno a lungo mascherato laltra faccia, nascosta e inconfessata, del Grande Terrore: quella delle «operazioni di massa», disvelate soltanto dopo la caduta dellUrss e lapertura degli archivi sovietici, all’inizio degli anni Novanta. Quanto al rapporto segreto, che dava una visione molto parziale e filtrata dei crimini di Stalin, esso ha fatto credere per lungo tempo che la repressione era stata diretta soprattutto contro i quadri comunisti del partito, delleconomia e dell’esercito. Questa opinione è ancora largamente condivisa da diversi storici per i quali il Grande Terrore resta, in larga parte, una «grande purga» del partito, più sanguinosa delle altre. In realtà, il Grande Terrore fu da principio e prima di tutto una vasta impresa dingegneria e di «purificazione» sociale, volta a sradicare, con operazioni segrete decise e pianificate al più alto livello da Stalin e Níkolaj Ezov (commissario del popolo agli Interni), tutti gli elementi «socialmente pericolosi» ed «etnicamente sospetti» che, agli occhi dei dirigenti stalinisti, apparivano non soltanto come «estranei» alla nuova società socialista in corso di edificazione, ma anche, nelleventualità ormai, probabile di un nuovo conflitto mondiale, come altrettante potenziali reclute di una mitica «quinta colonna di spie e terroristi al soldo delle potenze straniere ostili all’Urss». Naturalmente, nel corso di queste operazioni, un numero estre­mamente elevato di persone che non appartenevano ad alcuna delle categorie colpite dalle direttive segrete fu travolto dalle repressioni di massa.

Nel corso degli ultimi dieci anni, lo studio di ciò che si è convenuto chiamare il «Grande Terrore» è stato profondamente rinnovato.

Fu necessario attendere l’inizio degli anni Novanta, con l’aper­tura degli archivi seguita alla caduta del regime sovietico, per passare a una tappa quantitativamente e qualitativamente nuova nella conoscenza del Grande Terrore, fondata non più in gran parte sui racconti di alcune vittime, ma sulla documentazione segreta prodotta da tutta la catena burocratica degli apparati politici e polizieschi. E questo fu un cambiamento di prospettiva fondamentale.

Tra i documenti più importanti emersi all’inizio degli anni No­vanta figuravano, in particolare, le risoluzioni segrete del Polítbjuro e gli «ordini operativi» dell’Nkvd relativi alle azioni «repressive di massa». Questi documenti chiarivano laltra faccia, fino ad allora totalmente nascosta, del Grande Terrore: i meccanismi di repres­sione contro i «cittadini ordinari», vittime anonime scomparse senza traccia e di cui le famiglie non conoscevano, il più delle volte, né la condanna inflitta né la data di morte. Le operazioni segrete, pianificate e centralizzate, messe a punto, al più alto livello, da Stalin ed Ezov, erano dirette contro un vasto insieme di «elementi socialmente pericolosi» ed «etnicamente sospetti», raggruppati in due grandi categorie, due «linee», nel vocabolario in codice dei funzionari della polizia politica: la «linea kulak» e la «linea nazionale». La prima, stabilita con 1’«ordine operativo» dellNkvd n. 00447 del 30 luglio 1937, mirava a «eliminare una volta per tutte» un largo ventaglio di nemici, che si potrebbero definire «tradizionali», del regime bolscevico: «ex kulaki», «persone del passato», élite dell’Antico regime, membri del clero, vecchi esponenti di partiti politici non bolscevichi, nonché una vasta corte di marginali sociali, raggruppati sotto l’espressione generica di «elementi socialmente pericolosi». La «seconda linea», detta «nazionale», stabilita da una decina di operazioni segrete – «opera­zione polacca», «operazione tedesca», «operazione di Charbin»10, «operazione lettone», «operazione finlandese», «operazione gre­ca», «operazione- estone», «operazione romena» -, era diretta in particolare contro gli emigrati soprattutto politici, ma non solo, di questi paesi, rifugiatisi in Urss; contro i cittadini sovietici di origine polacca, tedesca, lettone, finlandese, greca, ma anche contro tutti i cittadini sovietici che avevano un legame, per quanto sottile, di tipo professionale, familiare o semplicemente geografico (gli abitanti delle regioni di frontiera erano per questo particolarmente vulnerabili) con un certo numero di paesi considerati ostili: Polonia, Germania, paesi baltici, Finlandia, Giappone.

Se è possibile oggi ricostruire, nelle loro grandi linee, i mecca­nismi decisionali ed esecutivi delle «operazioni di massa», stabilire grossomodo il numero delle vittime, rimangono tuttavia molti interrogativi, che risultano evidenti quando si vogliano affinare le categorie delle vittime censite nei documenti della polizia poli­tica, comprendere come funzionavano le fucine locali dell’Nkvd chiamate a «fare numero» e a «raggiungere le quote» assegnate.

(Dall’Introduzione)

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