Il socio di Memorial Italia Simone Guagnelli ha pubblicato nel blog su “Huffington Post” presenta le voci russe del dissenso che si esprimono contro la guerra, dall’interno dei confini della Federazione Russa o dall’estero, dove sono state costrette a rifugiarsi per scampare alle persecuzioni da parte del Cremlino. Si ripresenta così un fenomeno che in Occidente si credeva estinto col crollo dell’Unione Sovietica, ovvero quello della dissidenza. Guagnelli presenta le voci di coloro che si sono espressi contro la guerra e contro il regime di Putin. Il suo articolo pone però un interrogativo inquietante che riguarda il discorso pubblico italiano sull’aggressione russa all’Ucraina: quando si vuole ascoltare le ragioni della Russia, per garantire una variamente intesa par condicio rispetto all’Ucraina, si dà spazio solo a voci russe legate al Cremlino o voci italiane che prendono le parti di Mosca. Non si dà però quasi mai spazio alle voci russe contro la guerra. Si crea così l’illusione, nel pubblico meno informato, che gli interessi della Russia siano rappresentati dal Cremlino, quando in realtà molte voci russe ci dicono che questa guerra distrugge il futuro della Russia. Quando il dibattito pubblico in Italia riuscirà a uscire dall’impasse?
Il testo dell’articolo di Simone Guagnelli si può leggere a questo link.
Trenta anni prima: un progetto del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial.
Per provare a capire come e perché la Russia postsovietica si sia trasformata in una dittatura il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial promuove il progetto Trenta anni prima. In Russia la dittatura è eterna? Come hanno fatto a distruggere la libertà di parola in Russia? Perché la Russia non è diventata una democrazia? Come è possibile che Vladimir Putin sia ancora al potere? Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha avviato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina e l’eco di numerose domande ha ripreso a risuonare. È possibile trovare una risposta? Il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial pensa di sì. Nel 2023 il Centro ha compiuto trent’anni. La data è convenzionale: Memorial ha iniziato molto prima a difendere i diritti umani. Il punto di riferimento è l’aprile del 1993, quando fu adottato lo statuto dell’associazione. Ricordiamo che nell’aprile del 2022 con sentenza della Corte Suprema della Federazione Russa le autorità hanno “liquidato” ovvero soppresso il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, così come avvenuto per Memorial Internazionale. Gli attivisti hanno tuttavia trovato un nuovo formato per l’associazione e sono riusciti a portare avanti il lavoro di cui si occupano da oltre trent’anni. La Russia postsovietica ha dunque quasi la stessa età del Centro Memorial. Sotto lo sguardo e con la partecipazione degli attivisti la Russia è cambiata: la dittatura sovietica è diventata una giovane democrazia e si è poi trasformata in una nuova dittatura. I collaboratori di Memorial sono stati non solo testimoni, ma anche attori degli eventi storici più determinanti della Russia contemporanea. L’attualità per loro è stata storia, una storia che hanno voluto descrivere e documentare. E adesso hanno molto da raccontare. È questo lo spirito che anima il progetto Trenta anni prima. Con la collaborazione di media indipendenti, difensori dei diritti umani, esperti e rappresentanti della società civile i collaboratori del Centro Memorial intendono affrontare le numerose e importanti questioni che riguardano la Russia postsovietica. Tentano di comprendere che cosa abbia condotto all’attuale regime. Cercano di spiegare come sia stato possibile distruggere le libertà dei cittadini russi, come sia potuto accadere che quegli stessi cittadini abbiano rinunciato alle proprie libertà e come sia stato perseguito chi ha tentato di difenderle. Ottobre 1993: come è iniziata la “piccola guerra civile” a Mosca? Siamo nel 1993 quando a Mosca si parla di “piccola guerra civile”. Per molti osservatori i fatti del 3-4 ottobre 1993 segnano il momento dell’autodistruzione di una nascente democrazia nella Russia post-sovietica e della sua trasformazione in uno stato autoritario. Il conflitto tra il presidente Boris El’cin e il Soviet Supremo, iniziato il 21 settembre, raggiunge il culmine nella prima settimana di ottobre, provocando proteste, scontri, attacchi agli uffici del sindaco di Mosca e al centro televisivo di Ostankino e alla fine l’assalto della Casa Bianca russa da parte dell’esercito. Il Centro Memorial ha chiesto ad Aleksandr Čerkasov, membro del consiglio direttivo dell’associazione, di parlare degli avvenimenti dell’ottobre 1993. A Mosca nell’autunno del 1993, tra il 21 settembre e il 4 ottobre, le vittime sono 158, i feriti 423, più di venti persone risultano disperse. La successiva “riforma costituzionale a tappe” attribuisce al presidente Boris El’cin poteri estremamente ampi. Gli accadimenti del 1993 costituiscono il prologo della prima guerra cecena e delle guerre successive. Quanto accade oggi in Ucraina fa parte della stessa catena di eventi. Dal federalismo a uno stato unitario autoritario? Negli anni Novanta la maggior parte delle repubbliche etniche sceglie di continuare a far parte della Federazione Russa, avendo ottenuto dal Cremlino la promessa di poter godere di sovranità ed economia indipendente e della possibilità di crescere senza doversi guardare le spalle dal governo federale. A trent’anni di distanza comprendiamo che quegli accordi hanno avuto vita breve: le repubbliche sono state integrate nella cosiddetta verticale del potere e private di poteri reali, diventando solo simbolicamente differenti dalle altre regioni della Federazione Russa. Nell’ambito del progetto Trenta anni prima la testata giornalistica indipendente russa Vërstka ripercorre le vicende che hanno condotto la Federazione Russa, intenzionata a diventare una federazione democratica, a trasformarsi in uno stato unitario autoritario. Darja Kučerenko ha parlato con attivisti, giornalisti, linguisti, storici e politologi provenienti da Baškortostan, Čuvašija, Burjatija. Prendendo spunto dall’esempio offerto da queste repubbliche, si analizza come il federalismo proposto negli anni Novanta abbia subito graduali restrizioni. Da sinistra a destra durante un incontro in Tatarstan nel giugno del 2000: Murtaza Rachimov, presidente della repubblica del Baškortostan; Mintimer Šajmiev, presidente della repubblica del Tatarstan; Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa; Farid Muchametšin, presidente del parlamento della repubblica del Tatarstan; Kamil Ischakov, sindaco della città di Kazan’. Perché la Russia non rispetta i diritti umani nei conflitti armati? La prima pubblicazione del progetto Trenta anni prima è dedicata ai crimini di guerra che negli ultimi trent’anni l’esercito della Federazione Russa ha commesso e continua a commettere in Cecenia, Siria e Ucraina. Il report Trent’anni di crimini di guerra della Russia è disponibile on line in russo, inglese, francese e arabo. Negli ultimi trent’anni Memorial è stata attiva in numerose zone di guerra, documentando le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra commessi dall’esercito della Federazione Russa. Attualmente l’esercito della Federazione Russa commette crimini atroci in Ucraina. I nomi delle città ucraine in cui i militari russi hanno torturato e ucciso, “filtrato” e stuprato sono noti a tutti. Di numerosi altri crimini non si ha ancora notizia, ma solo perché la guerra non è finita. I collaboratori del Centro Memorial tuttavia conoscono bene le guerre cui la Russia ha preso parte negli ultimi trent’anni. Prima di Mariupol’ ci sono state le rovine di Aleppo e di Groznyj. Le stragi impunite di civili ceceni a Samaški e Novye Aldy hanno condotto all’incubo di Buča. I “campi di filtraggio” sperimentati dai cittadini di Mariupol’ sono gli eredi del “sistema di filtraggio” utilizzato in Cecenia. Perché l’invasione su vasta scala dell’Ucraina è stata definita dalle autorità “operazione militare speciale”? Non è la prima volta che le autorità della Federazione Russa nascondono la