Il viaggio di Elena Kostioukovitch nella mente di Vladimir Putin

Il recente volume traccia un itinerario in cui si alternano considerazioni di ordine politico, storico, antropologico, consentendo di cogliere aspetti che sfuggono alle analisi consuete.

(di Elio Cappuccio, docente di Filosofia moderna e contemporanea all’Istituto superiore di scienze religiose San Metodio)


25 luglio 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 13:14

(Immagine tratta da da kremlin.ru)


Elena Kostioukovitch, nel suo Nella mente di Vladimir Putin, edito di recente da La nave di Teseo, traccia un itinerario in cui si alternano considerazioni di ordine politico, storico, antropologico, consentendo di cogliere aspetti che sfuggono alle analisi consuete. Kostioukovitch ha tradotto in russo i grandi classici della letteratura italiana, da Ariosto a Manzoni, per dedicarsi poi a Umberto Eco, di cui ha tradotto Il nome della rosa nel 1988 e altre 10 opere. In una recente intervista di Guido Caldiron, pubblicata su Il manifesto del 22 aprile 2022, Kostioukovitch ricorda un passo in cui, in Il nome della rosa, Guglielmo di Baskerville, dinnanzi all’inquisitore che gli chiede cosa gli faccia più paura nella vita, risponde: “La purezza”. Si tratta di quella purezza esistente solo nei laboratori delle ideologie che rivendicano il monopolio della verità e che ritroviamo oggi Nella mente di Vladimir Putin.


Non si possono comprendere le scelte di Putin, scrive Kostioukovitch, senza riflettere su alcuni aspetti essenziali della mentalità russa, come per esempio il concetto di “Universo russo” (Russkij Mir), una tonalità emotiva più che una categoria. Quando nel 2014 evocò il Russkij Mir, Putin pose enfaticamente in evidenza una superiorità addirittura genetica dei russi sui popoli europei. La Grande Madre Russia, nucleo del panslavismo da lui ripreso, rappresenta quella mitica unità organica in cui le diverse etnie devono pienamente riconoscersi. In nome di questo mito fondativo, centrale nella propaganda putiniana, la Crimea, non può aspirare a una autonomia rispetto alla Russia. Ecco allora che quanti si schierano con gli ucraini non possono che essere considerati nemici.


L’arma ideologica che alimenta questa strategia si identifica con una orwelliana e distopica riscrittura della storia che Kostioukovitch individua nella Nuova cronologia elaborata da Anatolij Fomenko, un accademico i cui testi sono tenuti in grande considerazione e adottati in svariate università russe. La storia sarebbe stata artatamente falsificata da Giusto Scaligero a partire dal XVI secolo, al fine di oscurare il glorioso passato dei russi. I Paesi occidentali, sempre secondo Fomenko, sarebbero poi stati assecondati, nella svalutazione della storia russa, dai Romanov, considerati alla stregua di “falsari di stirpe tedesca”. Questa ricostruzione complottistica dovrebbe consentire al popolo russo di uscire da una condizione di inferiorità per divenire consapevole della missione storica del Russkij Mir. Si può allora comprendere perché, in tale clima, nel marzo del 2014 Putin ha sentito l’esigenza di rievocare a Chersones il Principe Vladimir, che con la conversione all’ortodossia creò le condizioni per l’unificazione dei russi, degli ucraini e dei bielorussi. Ha inteso così legare le origini della storia russa alla riconquista attuale della Crimea, facendo di sé stesso l’erede di una missione che, nonostante l’ostilità europea, sta portando a compimento.


Il Russkij Mir e la Nuova cronologia pongono le basi per il terzo elemento essenziale, quasi un corollario. Si tratta della Noomachia, scrive Kostioukovitch, un conflitto di civiltà tra la Russia e l’Occidente. Noomachia è il titolo di una delle opere più diffuse di Aleksandr Dugin, filosofo, esoterista e fondatore, nel 1993, del partito nazionalbolscevico, che coniugava temi cari ai fascismi con tratti postsovietici. La guerra contro l’Ucraina viene così considerata una guerra contro la russofobia, incarnata dagli USA, dall’Europa e da quanti, riconoscendosi in modelli giuridici universalistici, mettono in discussione la sovranità degli stati nazionali. Queste posizioni sono ampiamente condivise da molti movimenti sovranisti di destra in Europa, in Italia, come in Francia o in Spagna, o anche negli Stati Uniti, come dimostra l’interesse di Steve Bannon. Il movimento eurasiatico di Dugin rappresenta un sicuro punto di riferimento per Putin, come per Dmitrij Medvedev, per le gerarchie militari e per molti ambienti accademici.


Mi preme ricordare che Medvedev, descritto in passato come una figura aperta al confronto con le liberaldemocrazie, ha ormai ampiamente messo in luce i suoi propositi autoritari e illiberali. Lo dimostrano le recenti espressioni aggressive nei confronti dei paesi occidentali, definiti “bastardi e degenerati”. Finché sarà vivo, assicura, farà “il possibile perché spariscano”. Kostioukovitch cita in proposito un articolo di Medvedev, apparso sul quotidiano russo Kommersant, in cui l’ex Presidente, dopo un feroce attacco all’Occidente, nega categoricamente che l’Ucraina possa rivendicare autonomamente la sua identità e la sua sovranità. In quest’ottica, il presidente Zelensky, in quanto ebreo, incarnerebbe questa mancanza di radicamento che caratterizza l’Ucraina. Se dunque l’Ucraina non ha una sua identità ed è una costola della Russia deve tornare alla Grande Madre Russia. Questa visione del mondo giustifica l’annessione di una parte della Georgia nel 2008, della Crimea nel 2014 e, sempre nel 2014, giustifica anche la guerra per l’annessione di Donetsk e Lugansk, secondo un metodo che, con la pretesa di “denazificare” l’Ucraina, ricorda proprio la dottrina nazista di sangue e suolo (Blut und Boden).


Il riferimento al nazismo rinvia poi alla sinistra simbologia che si osserva nella propaganda russa sulla guerra. Kostioukovitch analizza in proposito il significato della “Z” e della “V”, che hanno contrassegnato in modo criptico quella che è stata definita “Operazione militare speciale”. Individua così delle analogie con i simboli adottati dai nazisti del gruppo Zentr, che operò proprio in Ucraina. In questo gruppo, scrive ancora, emergeva un ufficiale delle SS particolarmente crudele, Max von Stierlitz, che era in realtà una spia sovietica. In URSS questa figura era circondata da un sentimento ambivalente, legato alla sua doppiezza, che gli aveva consentito di svolgere irreprensibilmente il ruolo di SS e di spia. L’attrazione per la sua storia è testimoniata dal fatto che nel 1973 la televisione sovietica trasmise una serie televisiva di dodici puntate su Stierlitz, che affascinò particolarmente l’allora ventenne Putin. Si legge, nella sua biografia, che rivide più volte quella serie, che influì poi nella sua scelta di fare la spia.


Si comprende quanto contraddittorio sia l’immaginario politico di Putin. Nulla che possa alimentare il suo progetto egemonico viene tralasciato, dai richiami al tradizionalismo del cristianesimo ortodosso, contrapposto al presunto permissivismo delle chiese europee, all’opposizione dei pensatori e degli scrittori russi nei confronti dell’Occidente. In questa direzione Putin è seguito fedelmente da Medvedev, come dimostra una recente intervista dello storico inglese Orlando Figes ad Antonello Guerrera, pubblicata su la Repubblica dell’8 giugno. Figes sottolinea come Medvedev, piuttosto che usare il termine “occidentali”, usi il pronome “loro”. Si tratterebbe, secondo lo storico, di una citazione del poema patriottico di Aleksandr Puškin, I calunniatori della Russia, del 1831, in cui il poeta attaccava i francesi che fiancheggiavano la rivolta polacca contro la Russia, come la Nato fiancheggia oggi l’Ucraina. Siamo dinnanzi a quel “Loro” contro “Noi”, che caratterizza tutte le politiche in cui l’irrigidimento identitario si traduce in termini aggressivi.


Il riferimento ai classici russi, utilizzati in chiave nazionalista, è ben presente nella retorica di Putin, che nel 2006, inaugurando a Dresda un monumento a Dostoevskij, ha enfatizzato la dimensione europea dello scrittore, decisamente omessa in seguito. Già l’anno successivo, infatti, Dostoevskij diveniva per Putin il punto di riferimento per elaborare una strategia antieuropea che attingeva a piene mani alle pagine in cui lo stesso Dostoevskij contrapponeva la spiritualità russa al materialismo e all’utilitarismo occidentale. Questo sentire si coglie nelle considerazioni dello scrittore dopo un viaggio in Europa nel 1862, in cui ebbe occasione di visitare Berlino, Londra, Venezia, Firenze, Parigi. Della capitale francese lo colpì l’ansia di arricchimento, presente fra i borghesi come fra gli operai, rivolti esclusivamente ai bisogni materiali. È certamente singolare pensare che Dostoevskij, autore reazionario per il mondo sovietico, per Lenin come per Stalin, abbia adesso il suo posto nel Pantheon postsovietico. Putin sottolinea, ovviamente, solo il panslavismo antioccidentale di Dostoevskij, senza alcun riferimento alla sua attenzione verso la cultura europea.


Tutti questi temi delineano il “Piano” di Putin, che si propone, con tutti i mezzi, di distruggere i nemici che cospirano contro la Grande Madre Russia. Nel “Piano”, Kostioukovitch coglie quello stile politico paranoico che lo storico americano Richard Hofstadter aveva descritto, in forme diverse, in tanti aspetti dalla cultura americana e che si può incontrare nei contesti più diversi. Se in democrazia si possono però utilizzare liberamente le armi della ragione, nelle autocrazie chi mette in discussione le verità ufficiali diviene un “nemico del popolo”, come accadeva nella Berlino di Hitler o nella Mosca di Stalin. Il politico che incarna questo stile, diversamente dal paranoico comune, per il quale il mondo congiura contro di lui, vede la minaccia rivolta contro un Paese. Le sue idee appaiono quindi disinteressate e la coesione popolare che riesce a mobilitare contro un nemico più immaginario che reale può suscitare anche ammirazione e consenso, come è accaduto nell’Europa del secolo scorso e accade oggi nella Russia di Putin.

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La tragedia dei prigionieri ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa si consuma tra le pressioni degli agenti di sicurezza, condizioni di detenzione disumane, torture e processi già decisi. “In cella non c’erano né acqua, né gabinetto, né brande; dormivamo su tavolacci di legno. Alla latrina comune non ci portavano tutti i giorni, e comunque sempre col tempo contato. Giorno e notte si sentivano le urla dalla stanza delle torture: non c’era modo di tranquillizzarsi o di raccogliere i pensieri. Una volta ho sentito trascinare qualcuno fuori da una cella vicina, poi uno sparo. Le guardie ci dicevano che presto sarebbe toccato anche a noi, che eravamo troppi.” A questo clima di terrore spesso si aggiunge la totale assenza di contatti con i propri cari. La corrispondenza, l’invio di pacchi e le visite – rari momenti di sollievo nella prigionia – sono per molti detenuti ucraini difficilissimi, se non impossibili da ottenere. Trovare e poter pagare un avvocato indipendente, che svolga il proprio lavoro con coscienza, sostenga il suo assistito e ne difenda i diritti, è un’impresa altrettanto ardua. Riusciamo ancora a offrire questo tipo di supporto, ma ora più che mai abbiamo bisogno del vostro aiuto per andare avanti. Per garantire assistenza legale e aiuti umanitari ai cittadini ucraini detenuti nella Federazione Russa per motivi politici servono 38.000 euro. È una cifra considerevole, ma siamo migliaia anche noi che sosteniamo i prigionieri ucraini. In fondo, basterebbe che 3.800 persone donassero 10 euro ciascuna. Questa volta, però, non vi chiediamo solo una donazione. Vi invitiamo a parlare di questa raccolta fondi alle persone di cui vi fidate: amici, familiari, compagni di emigrazione e colleghi. L’appello è disponibile anche in inglese: potete condividerlo anche con chi non parla russo. A chi sono destinati i fondi? A causa degli alti rischi cui sono esposti i prigionieri ucraini nelle carceri della Federazione Russa molte richieste di aiuto ci arrivano in forma anonima. Possiamo condividerne solo alcune, a titolo esemplificativo. Aiuti umanitari Inviamo regolarmente pacchi a decine di ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa: cibo, medicinali, libri, sigarette, articoli per l’igiene, vestiti, scarpe – beni di uso quotidiano che in carcere diventano inaccessibili. Sergej Gejdt: “Vi scrivo per chiedervi aiuto. Se riusciste a mandarmi qualcosa da mangiare e delle sigarette ve ne sarei immensamente grato. I miei hanno problemi di soldi, mi pare di capire, e neanche io ho modo di chiedere a loro di darmi una mano, non avendo nessuno cui scrivere o che possa informarli che non ho più nulla. Il problema è che con i pochi rubli che avevo sul conto ho ordinato l’indispensabile: quel poco per lavarmi… E per il cibo non mi è rimasto nulla. Qualche compagno, per fortuna, mi dà una mano come può. Grazie infinite per il vostro tempo e per aver letto la mia richiesta.” Janina Akulova, condannata a nove anni di colonia penale a regime ordinario e a una multa di 700.000 rubli, chiede aiuto per un’altra detenuta: “C’è una ragazza qui che ha urgente bisogno d’aiuto, non ha letteralmente nulla. Noi cerchiamo di tenere duro, ma lei è messa davvero male. Dico sul serio: non ha niente di niente, neppure l’essenziale per lavarsi. Le abbiamo dato quello che potevamo, ma… potete ben capire.” Per continuare a spedire pacchi, servono attualmente 3.320 euro. Assistenza legale Non possiamo divulgare l’identità dei prigionieri ucraini che difendiamo legalmente: metteremo a rischio loro e i loro avvocati. Attualmente sono decine gli uomini e le donne – già condannati o in attesa di giudizio – che dipendono dal nostro aiuto. 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Ruslan Sidiki condannato a 29 anni di reclusione.

Il 23 maggio 2025 presso il tribunale militare di guarnigione di Rjazan’ il pubblico ministero Boris Motorin ha chiesto per Ruslan Sidiki – 36 anni e doppia cittadinanza, russa e italiana – di cui abbiamo già avuto modo di parlare, una condanna a trent’anni di reclusione. Dopo di lui ha preso la parola Igor’ Popovskij, l’avvocato di Sidiki. Il difensore ha spiegato nel dettaglio perché la versione dell’accusa non corrisponde ai fatti e, perciò, a verità. Nei casi in esame la definizione giuridica delle azioni del suo assistito non può rientrare negli articoli riguardanti il “terrorismo”. Quanto da lui compiuto può far capo, piuttosto, alla categoria “sabotaggio”. In due punti, a sostenere le accuse di terrorismo sono le invenzioni degli inquirenti e le deposizioni estorte sotto tortura. L’avvocato Popovskij ha infine ricordato che, in base alla Convenzione di Ginevra e a quanto da essa affermato “in data 12 agosto 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra”, Ruslan Sidiki andrebbe considerato come tale. L’anarchico Ruslan Sidiki è stato alla fine condannato a 29 anni di carcere. Si tratta della pena più severa mai inflitta per azioni contro infrastrutture militari e, in genere, per azioni che non hanno causato vittime. È l’ennesimo atto intimidatorio contro i dissidenti. Riportiamo in italiano il testo dell’ultima dichiarazione pronunciata da Ruslan Sidiki prima della lettura della sentenza. Mi rincresce che le mie azioni abbiano messo in pericolo Bogatyrëv*, Tarabuchin** e Unšakov***. Non erano loro il mio obiettivo e sono lieto che la loro salute non abbia subito danni gravi. Il mio obiettivo erano i mezzi militari russi e gli anelli della logistica militare per il trasporto di mezzi e carburante. Era il modo che avevo scelto per ostacolare le operazioni militari contro l’Ucraina. Naturalmente la notizia di un’esplosione e il clamore suscitato possono spaventare le persone. Lo stesso vale per i missili che sorvolano le case e per le prime operazioni militari: anche loro hanno lo scopo di intimidire la popolazione del Paese contro cui tali azioni sono dirette. Come ho già ampiamente ripetuto, non era mia intenzione intimidire nessuno. Ho scelto io gli obiettivi: ho attaccato la base aerea militare con l’intento di distruggerne i velivoli. Ho fatto saltare il treno per mettere fuori uso la linea ferroviaria su cui avevo individuato un discreto movimento di mezzi militari. Vorrei che fosse chiaro che ho studiato attentamente il movimento dei treni sulla linea che ho fatto saltare per assicurarmi che non ci fossero treni passeggeri. Per maggiore sicurezza, ho controllato visivamente il tutto prima dell’esplosione. Se non mi importasse della vita altrui, avrei potuto far deragliare il treno senza un mio intervento diretto. Non ho avuto nulla a che fare con chi ha tentato di fabbricare, poi, un nuovo ordigno esplosivo per far deragliare un altro treno. L’esplosione dell’11 novembre 2023 aveva già suscitato molto clamore ed ero perfettamente consapevole che le misure di sicurezza sarebbero state rafforzate. Inoltre, avevo già la morte di mia nonna a cui pensare. Con la popolazione russa ho rapporti neutrali. Dal 2014 ho con loro alcune divergenze su certi fatti, ma non è, per me, un motivo sufficiente per odiare qualcuno. L’impossibilità di influenzare pacificamente le azioni di chi ci governa, così come il tribunale che attende coloro che non condividono la politica dello Stato inducono alcuni a lasciare il Paese e altri a restare e a passare all’azione. Indipendentemente dalla gravità del reato, l’uso della tortura durante gli interrogatori è inaccettabile in qualunque caso, se diciamo di vivere in uno Stato di diritto. Torturare con scariche elettriche e picchiare una persona legata sono atti riprovevoli in massimo grado, la cui responsabilità ricade non solo su chi ha applicato metodi in questione, ma anche su chi è consapevole che essi vengono usati, non li contrasta e, anzi, è complice nel tenerli nascosti. Concludo recitandovi un frammento di una poesia di Nestor Machno: Che ci seppelliscano anche subito: ciò che davvero siamo non diverrà Oblio, risorgerà al momento dovuto e vincerà. Ne sono certo, io. * Aleksandr Ivanovič Bogatyrëv, camionista presso la Avargard s.r.l.. Il 23/07/2023 trasportava erba falciata da un campo vicino al villaggio di Tjuševo, regione di Rjazan’. Uscendo su una strada sterrata vicino al campo, centrò con una ruota un drone esplosivo. Che scoppiò. Bogatyrëv non rimase ferito. ** Sergej Aleksandrovič Tarabuchin, assistente macchinista dello stesso treno. A seguito dello scoppio del finestrino, ha riportato graffi al viso e a un braccio. *** Dmitrij Nikolaevič Unšakov, macchinista del treno merci n. 2018, che l’11 novembre 2023 era ripartito dalla stazione di Rybnaja. Si trovava nella cabina di guida al momento dell’esplosione sui binari. A seguito dell’esplosione ha riportato escoriazioni alla mano.

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Milano, 8 giugno 2025. “I confini dell’impero di Putin” con Oleg Orlov.

Grazie a Radio Popolare siamo onorati e felici di ospitare a Milano Oleg Orlov, cofondatore di Memorial ed ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. In copertina: Oleg Orlov durante la lettura della sentenza presso il tribunale distrettuale Golovinskij di Mosca. Foto: Svetlana Vidanova / Novaja Gazeta. In occasione della festa di Radio Popolare All you need is love che si svolge a Milano nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini (via Ippocrate 47) domenica 8 giugno alle 15:30 Oleg Orlov parteciperà all’incontro I confini dell’impero di Putin con Anna Zafesova, giornalista e scrittrice, autrice del recente volume Russia. L’impero che non sa morire, e Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati. Modera Michele Migone di Radio Popolare. Oleg Orlov è stato scarcerato dal centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara il 1 agosto 2024 nel contesto di un ampio scambio di prigionieri politici tra Russia e Occidente. Il 27 febbraio 2024 Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e membro della neoricostituita Associazione Internazionale Memorial, era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario in base all’articolo del codice penale della Federazione Russa che punisce il “vilipendio reiterato delle forze armate”. Orlov è diventato un obiettivo della repressione dopo la pubblicazione dell’articolo Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto. Ricordiamo che nel 2014 l’allora Centro per i diritti diritti umani Memorial e poi nel 2016 Memorial International erano stati dichiarati agenti stranieri e che nel 2021 entrambe le associazioni sono state chiuse in via definitiva con sentenza della Corte suprema della Federazione Russa secondo la quale Memorial avrebbe “diffuso un’immagine falsa dell’Urss come Stato terrorista”. Chi è Oleg Petrovič Orlov? Carattere schivo ma deciso, Oleg Petrovič Orlov è una delle anime del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, nonché membro del Movimento democratico unitario Solidarnost’. Nato a Mosca nel 1953 e biologo di formazione, tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, mentre lavora all’Istituto di fisiologia vegetale dell’Accademia delle scienze, stampa e diffonde volantini con appelli contro la guerra in Afghanistan e riflessioni sulla situazione polacca e sul sindacato Solidarność. Nel 1988 entra formalmente nel gruppo di iniziativa della nascente associazione Memorial di cui diventa di fatto uno dei fondatori. Continua a leggere. “Ci sono momenti in cui è impossibile tacere”Il documentario Ritorno alle repressioni. Oleg Orlov, pubblicato il 22 aprile 2023, fa parte del progetto Priznaki žizni (Segni di vita) di Radio Free Europe / Radio Liberty. In una lunga intervista, a più di trent’anni di distanza dalla fondazione di Memorial, Orlov ammette che le speranze di allora non si sono concretizzate. La Russia è tornata a una situazione di illibertà ancora più grave di quella della sua gioventù, vissuta negli ultimi anni dell’Urss di Brežnev. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il giro di vite del Cremlino all’interno della Federazione Russa è stato violento. In base ai nuovi articoli di legge sulle fake news e sul vilipendio delle forze armate, le pene detentive per diffusione di informazioni indipendenti sulla guerra sono diventate abnormi. Orlov ritiene che le ragioni del ritorno della Russia a una situazione di illibertà siano il militarismo e il mito dell’impero, l’idea che lo stato sia più importante della vita e dei diritti dei cittadini.

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