La controrivoluzione nella Russia del nord

Conversazione fra Niccolò Pianciola e Marco Buttino, professore di Storia dell’Oriente europeo presso l’Università di Torino e membro del consiglio direttivo di Memorial Italia.


02 agosto 2022 
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:18




Il libro di Liudmila G. Novikova, La “controrivoluzione” in provincia. Movimento bianco e Guerra civile nella Russia del nord, 1917-1920, pubblicato dall’editore Viella nella collana “I libri di Memorial” (2015), è una delle ricerche recenti più innovative sul periodo della rivoluzione e della guerra civile in Russia (e, più in generale, nell’ex-impero zarista). Qual è la questione da cui Novikova parte?


La questione centrale è il processo di dissoluzione dello stato, l’emersione di poteri locali, e poi la ricostruzione di uno stato nuovo. Nel corso della Prima guerra mondiale l’Impero russo si dissolse. La disgregazione dello stato, la nascita di autonomie territoriali di fatto, le difficoltà degli approvvigionamenti e il diffondersi della povertà e della fame, oltre all’impossibilità di governare centralmente il paese e all’ingovernabilità dello stesso esercito avevano segnato la fine del vecchio regime.


Lo zar perse autorevolezza fino a dover rinunziare al potere, venne la Rivoluzione del Febbraio 1917 e con essa le speranze di un ordine nuovo che avrebbe dovuto nascere dalla rifondazione dello stato su basi democratiche e sotto la guida di una Costituente eletta da tutto il popolo. Poi venne l’Ottobre e fu seguito da più di due anni di guerra civile. Soltanto all’inizio degli anni Venti, dopo che l’Armata rossa ebbe riconquistato quasi tutto il territorio dell’ex-impero, si iniziò a ricostruire lo stato e l’economia del paese. Dall’inizio della guerra erano passati meno di dieci anni, il paese era distrutto.


Le dinamiche di quanto accadde nel crollo dell’Impero russo possono essere lette comparandole a quelle che segnarono negli stessi anni la fine di altri imperi, quali quello Austro-Ungarico e Ottomano. Il caso russo è però stato studiato con scarsa attenzione comparativista, è stato letto come storia particolare mirando a spiegare la formazione dello stato sovietico. Nel caso russo, il crollo e la disgregazione politica dell’impero non furono infatti seguiti dall’affermazione di stati nazionali come altrove, ma da una guerra civile e poi dalla ricostituzione di uno stato centralizzato che si mantenne per decenni, fino al crollo dell’Unione sovietica.


Anche per effetto della guerra fredda, la storiografica si divise nei giudizi di valore riguardanti il sistema sovietico, ma rimase sostanzialmente concorde nel sostenere l’unicità dell’URSS, fondata sulla particolarità della Rivoluzione d’Ottobre e delle sue idee. Per uscire da questa iper-politicizzazione della storiografia, prima ancora di avventurarsi in comparazioni, si è cominciato a considerare il passaggio dall’Impero russo all’Unione sovietica ponendo domande diverse. I nuovi orientamenti della storiografia sono stati resi possibili dal maggiore accesso agli archivi, ma non sono dovuti soltanto a questo. Il libro di Liudmila Novikova ne è un esempio.


In cosa consiste la novità di questo studio, e come mai Novikova ha deciso di studiare una regione specifica?


L’autrice tratta della regione che si trova a nord di Pietrogrado, comprende la città di Archangel’sk e arriva a Murmansk all’estremo nord, confina ad ovest con la Finlandia e verso est comprende i territori attorno al mar Bianco. È un territorio pieno di neve e ghiaccio per molti mesi dell’anno, scarsamente abitato e non particolarmente ricco di risorse, una regione di cui molti di noi non avrebbero mai pensato di occuparsi. Invece, lo studio in profondità di questa regione permette a Novikova di raggiungere due risultati importanti.


Il primo consiste nell’esplorare le dinamiche politiche di un territorio che nella guerra civile russa fu sotto il controllo dei bianchi. Questo libro ci porta infatti su un terreno sconosciuto, lontano dai racconti carichi di nostalgie imperiali e di stereotipi che ingombrano lo studio della “Controrivoluzione”. Scopriamo una società in fermento e logiche diverse e più comprensibili di quelle connesse alla fedeltà verso lo Zar, al Patriottismo, all’obbedienza e all’eroismo dei Generali nelle loro imponenti divise. Incontriamo in questa regione bianca anche forti e inquietanti analogie con altre regioni che stavano allora sotto il controllo sovietico e bolscevico, e questa somiglianza apre uno spiraglio importante per discutere del rapporto tra le dinamiche politiche della Rivoluzione e la gente comune.


Il secondo risultato e merito del libro di Novikova consiste nel fatto che scegliendo una regione come oggetto di studio si trova a tenere conto di scale diverse di analisi, l’indagine cerca dimensioni micro e le colloca in contesti più ampi, passa dal livello di villaggio a quello delle strategie delle grandi potenze in guerra. E la ricerca è coerente perché il radicamento a livello locale costituisce costantemente il punto focale dell’osservazione. Novikova ci consiglia così di rileggere la storia russa e sovietica di quegli anni alla luce di un approccio che rifiuta le generalizzazioni e indaga sui contesti e sulle specificità.


Questo approccio non è esplicitamente discusso nel libro, ma dato per acquisito: Novikova nell’introduzione si limita a spiegare che il suo studio si pone sulla scia delle ricerche che spostano il loro centro di attenzione dall’alto verso il basso, dalle capitali alle regioni, e che affronta un terreno poco esplorato. Muta la prospettiva e gli effetti sono importanti.


Qual è la società locale che emerge dalla ricostruzione di Novikova? In che cosa è peculiare, quali sono le analogie con altre regioni dell’ex-Impero in disfacimento?


In questa regione del Nord si incontra una società animata da assemblee, associazioni, elezioni, forme diverse di governo, mobilitata in armi in formazioni di diverso tipo, unita in sindacati e in circoli. I soggetti sono abitanti delle città e anche contadini, individui e famiglie. La capillare attivizzazione della società era in realtà un aspetto assolutamente non esclusivo di quella regione del Nord.


In questi anni di crisi tutta la popolazione dell’ex-impero venne coinvolta dagli avvenimenti, tutti furono costretti a cambiare modi di vita e a prendere iniziativa. La società nel suo complesso divenne parte del grande conflitto in corso e si politicizzò. Il cambiamento fu in parte l’effetto della natura del conflitto mondiale che ovunque fu una guerra di massa, che coinvolse profondamente la popolazione civile. Il coinvolgimento avvenne non soltanto nelle regioni dove passavano le linee dei fronti, ma anche nelle retrovie, lontane dai combattimenti e non soltanto in Russia, ma in gran parte dell’Europa e del mondo in quegli anni. I paesi coinvolti nella Grande guerra mobilitarono in modo massiccio uomini e risorse anche dalle loro periferie più lontane. Francia e Inghilterra ricorsero abbondantemente alle colonie in Africa e in Asia, tanto che il peso del conflitto creò opposizioni e rivolte in queste periferie. La Russia non fu da meno e ricorse alla mobilitazione nelle proprie colonie interne, principalmente in Asia centrale e non a caso fu in questa regione che nel 1916 vi fu una rivolta generale della popolazione locale che costituì il primo momento di rottura del regime imperiale, anticipando le rivoluzioni che avvennero al centro del paese l’anno seguente.


In Russia oltre alle dimensioni della mobilitazione e alle tensioni sociali che l’accompagnarono vi furono due altre cause importanti di sconvolgimento dell’ordine sociale: il crollo della monarchia, che aprì la via alla disgregazione del sistema politico e istituzionale dell’impero, e il diffondersi della fame. Una lotta per la sopravvivenza si diffuse nel paese e continuò negli anni della guerra civile mentre il vecchio ordine si era sgretolato alla sua base e un nuovo ordine non esisteva ancora. La situazione, in questi anni drammatici, venne aggravata dal conflitto tra le forze che, in modo diverso, miravano a ristabilire l’ordine e che portarono alla divisione del paese in fronti di combattimento. Un fronte si costituì appunto nella regione del Nord.


Quale rapporto esisteva tra le forze politiche che si contendevano il paese, e le dinamiche locali nel nord della Russia?


La frantumazione dell’unità politica dell’Impero seguì dinamiche non direttamente, o volontariamente, determinate dai principali attori dello scontro militare e politico. Né i leader rivoluzionari più acclamati e potenti, né i generali più armati, che si contendevano il territorio dell’ex-impero, governarono effettivamente quanto accadeva a livello locale. Seguendo il percorso della disgregazione territoriale arriviamo a singole regioni, città e villaggi.


Qui scopriamo che i leader politici e i grandi generali erano lontani. A questo livello locale incontriamo protagonisti sconosciuti di conflitti che erano appunto locali, ma che furono complessivamente determinanti nell’indirizzare il cambiamento burrascoso in corso in tutto il paese. Il terreno reale su cui indagare è quello della vita concreta e della gente comune, come ci indica Novikova: da questo punto di vista si considera in una prospettiva diversa anche l’alternativa tra Rivoluzione e Controrivoluzione.


Come si uscì dalla crisi e dal conflitto, quale fu il processo di ricostruzione dello stato?


IDopo più di due anni di guerra civile, il territorio venne riconquistato dall’Armata Rossa. I bolscevichi usarono anzitutto la forza e poi la contrattazione, distrussero ogni potere autonomo, ricostruirono un sistema istituzionale, riaprirono le ferrovie che erano state bloccate dalla guerra civile, misero nuovamente in contatto le regioni produttrici di alimentari con quelle più colpite dalla fame. Fu un processo lento perché anche le regioni ricche erano state distrutte dalla guerra e la pressione sulle loro risorse alla fine della guerra civile ebbe effetti disastrosi.


Una politica decisa dall’alto impose così il ritorno all’ordine. Le infinite autonomie, rivolte e rivoluzioni attraverso le quali si era lottato per la sopravvivenza vennero messe da parte. Indubbiamente per molti l’uscita dal caos era più importante di quanto lo fosse il tipo di ordine che si sarebbe costruito.

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Milano, 8 giugno 2025. “I confini dell’impero di Putin” con Oleg Orlov.

Grazie a Radio Popolare siamo onorati e felici di ospitare a Milano Oleg Orlov, cofondatore di Memorial ed ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. In copertina: Oleg Orlov durante la lettura della sentenza presso il tribunale distrettuale Golovinskij di Mosca. Foto: Svetlana Vidanova / Novaja Gazeta. In occasione della festa di Radio Popolare All you need is love che si svolge a Milano nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini (via Ippocrate 47) domenica 8 giugno alle 15:30 Oleg Orlov parteciperà all’incontro I confini dell’impero di Putin con Anna Zafesova, giornalista e scrittrice, autrice del recente volume Russia. L’impero che non sa morire, e Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati. Modera Michele Migone di Radio Popolare. Oleg Orlov è stato scarcerato dal centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara il 1 agosto 2024 nel contesto di un ampio scambio di prigionieri politici tra Russia e Occidente. Il 27 febbraio 2024 Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e membro della neoricostituita Associazione Internazionale Memorial, era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario in base all’articolo del codice penale della Federazione Russa che punisce il “vilipendio reiterato delle forze armate”. Orlov è diventato un obiettivo della repressione dopo la pubblicazione dell’articolo Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto. Ricordiamo che nel 2014 l’allora Centro per i diritti diritti umani Memorial e poi nel 2016 Memorial International erano stati dichiarati agenti stranieri e che nel 2021 entrambe le associazioni sono state chiuse in via definitiva con sentenza della Corte suprema della Federazione Russa secondo la quale Memorial avrebbe “diffuso un’immagine falsa dell’Urss come Stato terrorista”. Chi è Oleg Petrovič Orlov? Carattere schivo ma deciso, Oleg Petrovič Orlov è una delle anime del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, nonché membro del Movimento democratico unitario Solidarnost’. Nato a Mosca nel 1953 e biologo di formazione, tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, mentre lavora all’Istituto di fisiologia vegetale dell’Accademia delle scienze, stampa e diffonde volantini con appelli contro la guerra in Afghanistan e riflessioni sulla situazione polacca e sul sindacato Solidarność. Nel 1988 entra formalmente nel gruppo di iniziativa della nascente associazione Memorial di cui diventa di fatto uno dei fondatori. Continua a leggere. “Ci sono momenti in cui è impossibile tacere”Il documentario Ritorno alle repressioni. Oleg Orlov, pubblicato il 22 aprile 2023, fa parte del progetto Priznaki žizni (Segni di vita) di Radio Free Europe / Radio Liberty. In una lunga intervista, a più di trent’anni di distanza dalla fondazione di Memorial, Orlov ammette che le speranze di allora non si sono concretizzate. La Russia è tornata a una situazione di illibertà ancora più grave di quella della sua gioventù, vissuta negli ultimi anni dell’Urss di Brežnev. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il giro di vite del Cremlino all’interno della Federazione Russa è stato violento. In base ai nuovi articoli di legge sulle fake news e sul vilipendio delle forze armate, le pene detentive per diffusione di informazioni indipendenti sulla guerra sono diventate abnormi. Orlov ritiene che le ragioni del ritorno della Russia a una situazione di illibertà siano il militarismo e il mito dell’impero, l’idea che lo stato sia più importante della vita e dei diritti dei cittadini.

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