19 agosto 2022
Aggiornato 05 ottobre 2022 alle 15:21
“Meduza” prosegue la sua serie di articoli su documentari disponibili online che, nel corso dell’invasione militare russa in Ucraina, appaiono particolarmente attuali e rilevanti. Ogni fine settimana il critico cinematografico Anton Dolin presenta un documentario uscito di recente o diversi anni fa, senza limitarsi ad autori ucraini e russi. Il film di questa settimana è Razryv svjazi (Legami spezzati), realizzato nel 2022 da Andrej Lošak e pubblicato sul canale YouTube “Nastojaščee vremja”. Ringraziamo la redazione per l’autorizzazione a pubblicare il testo in italiano. Tradotto da FV.
Reputandolo una testimonianza estremamente importante sulla spaccatura inconciliabile che si è verificata anche all’interno dei singoli nuclei familiari, Memorial Italia ha reso accessibile, con la partecipazione di Giulia Sorrentino, il documentario anche con i sottotitoli in italiano.
Questo film non poteva non uscire: l’argomento è così allettante che supplica letteralmente di essere affrontato. Non sorprende che a girarlo sia stato proprio Andrej Lošak, giornalista dal fine fiuto investigativo e dall’indiscussa capacità di sentire l’attualità. L’invasione russa dell’Ucraina non ha provocato solamente la morte di migliaia di persone e l’evacuazione di milioni di civili innocenti, ma ha anche distrutto legami che sembravano indissolubili, all’interno di famiglie, gruppi di amici, tra cari e persone prima inseparabili. Lošak esplora questo lato della catastrofe.
L’attenzione del giornalista si concentra su alcuni rapporti distrutti. Dall’inizio della guerra, Renata, giovane pediatra di Baltijsk, non riesce a ritrovare sé stessa, il senso della sua vita e del suo lavoro, perde peso, piange costantemente. Sua madre, invece, la vicepreside Vinera, piange principalmente per il risentimento nei confronti di sua figlia, incapace di comprendere gli interessi del governo russo. L’artista Alisa di Nižnij Tagil porta avanti iniziative pacifiste sin dal primo giorno della guerra, mentre sua madre Tat’jana, operaia di un’azienda avicola, confessa che il suo senso patriottico dall’inizio dell’invasione è “arrivato alle stelle”. La cuoca Natal’ja di Magnitogorsk non riesce a capire suo figlio, il carpentiere Savelij, trasferitosi a Tbilisi dopo il 24 febbraio. A Samara la violinista Galina, che non è sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi colleghi dell’orchestra, vuole divorziare dal marito Vladimir, ex investigatore che crede negli interessi geopolitici della Russia e nella saggezza del presidente Putin.
La frattura passa anche al di fuori del paese. Ekaterina, ad esempio, vive e lavora a Lipsia, mentre suo marito Artem fa il programmatore. Lei è terrorizzata dall’interferenza della Russia negli affari interni dell’Ucraina, lui ritiene che sia legittima. La psicologa Natal’ja partecipa alle manifestazioni di protesta contro la guerra a Londra e abbraccia la sua nuova amica ucraina scappata dalla guerra, mentre in Russia sua madre Ljudmila, sebbene non riesca a perdonare Putin per la storia dell’età pensionabile, ritiene che non sia il momento di voltare le spalle alla propria patria in un momento così difficile. La consulente di marketing Vika si trova a Charkiv, ha vissuto in prima persona i bombardamenti e per lei è tutto chiaro, a differenza di suo fratello Jakov che vive a Novorossijsk e che è visibilmente indispettito dalla sorella la cui reazione agli eventi sarebbe “infantile”.
Legami spezzati è un film estremamente semplice e lineare. L’autore è presente nelle inquadrature mentre intervista i protagonisti (seduto) davanti al monitor di un computer portatile. Non nasconde la propria posizione: in questa guerra fredda civile lui è sicuramente dalla parte dell’Ucraina. Ma sarebbe stato possibile, almeno in teoria, mantenere qui la neutralità e non prendere posizione sul conflitto?
Le tecniche impiegate, d’effetto ed essenziali, parlano da sé. Lo schermo diviso in due, che mostra chiaramente la frattura fra due persone care. La musica drammatica fuori campo. Innumerevoli fotografie di famiglia di archivi personali, con i nemici di oggi che ridono, si abbracciano, si baciano, scherzano: una vita tranquilla finita per sempre. Molte riprese terribili dell’Ucraina distrutta: edifici residenziali abbattuti, cadaveri per le strade, parolacce a non finire dalle voci fuori campo, ovvero tutto ciò che chi crede che “non è proprio come pensi” non vuole sapere o, ancora peggio, ritiene che sia una messa in scena.
Dall’altro lato, la compagna di vita di chi difende la guerra: la televisione con la sua propaganda, ovviamente. Solov’ev, Nikita-Begoson, Simon’jan, frasi che raggelano: “La nostra misericordia sarà spietata”. E stereotipi su stereotipi, cliché, ormai divenuti, nel vero senso della parola, incubi ricorrenti: “La NATO ci invidia perché abbiamo dei valori spirituali”, “Putin è nostro padre”, “Mio figlio è diventato un traditore”. Una delle mamme trova una definizione adeguata: “Io e mia figlia siamo come la Russia e l’Ucraina”. Un’altra è combattuta tra il desiderio di educare sua figlia a suon di cinghiate e di abbracciarla. E l’investigatore in pensione con amarezza afferma: “Convincere Galja del contrario è un processo lungo quanto la riunificazione dell’Ucraina con la Russia”.
Sicuramente ci sono centinaia di situazioni più complesse e meno evidenti. È davvero poco probabile che tutti coloro che sostengono la politica ufficiale della Russia siano stati avvelenati dalla propaganda dello stato. È improbabile che Putin abbia l’appoggio della generazione di genitori, mentre tutti i giovani sarebbero tutti schierati contro di lui. Non solo: sicuramente ci sono persone buone e cattive da entrambe le barricate. Legami spezzati evita i mezzi toni, ma allo stesso tempo mantiene una dimensione umana, suscitando empatia.
Non è un documentario con finalità artistiche, ma rappresenta un potente antidoto contro la televisione russa, ed è prodotto da uno dei migliori esponenti di una televisione diversa, irrealizzabile nella Russia di oggi, che viene trasmessa esclusivamente su YouTube. E in questa veste, questo film è ora quanto mai necessario, come se ci esortasse a tornare indietro, a ricordare i nostri parenti e a ritrovare il lato umano di noi stessi.