Che sta succedendo in Russia? La mobilitazione, il degrado, le proteste

Una società che non reagisce, il perdurante degrado della coscienza collettiva. La domanda sorge spontanea: ce l’hanno, un futuro, i russi?

(di Michail Lotman, semiologo, docente universitario e politico estone)


27 ottobre 2022 
ore 12:56


Memorial Italia osserva da vicino le discussioni che riguardano la mobilitazione in Russia e, per informare i lettori italiani sul dibattito in corso, ha deciso di tradurre una serie di testi anche molto polemici. Viene qui presentato un intervento di Michail Lotman, semiologo, docente universitario e politico estone (si ringrazia Svoboda per l’autorizzazione a pubblicarlo). Tradotto dal gruppo traduzioni di Memorial Italia.


Michail Lotman
Michail Lotman (foto di Ave Maria Mõistlik, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

La guerra criminale che la Russia sta conducendo in Ucraina ha portato alla superficie dei tratti della società russa cui nemmeno i russofobi della peggior specie avrebbero mai osato alludere. Ai figli mandati a combattere in Ucraina le madri consegnavano la lista dei desiderata da riportare a casa. La moglie del paracadutista Roman Bykovskij gli ha raccomandato di violentare “le ucraine”, ma di “prendere precauzioni” per evitare di rimetterci, poi, loro. Questi e molti altri fatti sono ormai pubblici. Come ha reagito la società russa? Non lo ha fatto. O quasi. Niente indignazione, niente proteste di massa. Negli Stati Uniti la notizia del sanguinoso massacro di civili a Songmi del 1968 scatenò un movimento di massa contro la guerra, e i colpevoli (non tutti, purtroppo) furono assicurati alla giustizia. I soldati responsabili  dei crimini di guerra a Buča sono stati promossi. La carneficina di Buča ha suscitato indignazione in tutto il mondo civile. In Russia no.


La domanda sorge spontanea: ma i russi ce l’hanno, un futuro?


La “mobilitazione parziale” ha confermato il degrado della coscienza collettiva. Poiché le procedure di arruolamento sono in corso ormai da alcuni giorni, qualche considerazione è già possibile. La prima per ordine e importanza è che, per quanto la campagna si stia svolgendo senza entusiasmo, non si può certo dire che sia un fallimento. L’apparato punitivo statale, inoltre, se la cava egregiamente nella gestione delle pur prevedibili proteste, e ha notevoli riserve a cui attingere. Quanto alla molla delle proteste, altro non è che la comprensibile riluttanza a perdere gli agi più o meno consueti della quotidianità e, per chi dovesse ritrovarsi nel mezzo delle “operazioni speciali”, la prospettiva di essere feriti o uccisi. Nel migliore dei casi, è la guerra in sé a venire rifiutata. A leggere i post sui social media, però, si ha l’impressione che il problema sia che dei giovani mal equipaggiati stiano partendo per una qualche rischiosa spedizione.


Ha fatto scalpore la richiesta di Alla Pugačëva di essere acclusa fra gli inoagenty, i cosiddetti  “agenti stranieri”. Come il marito Maksim Galkin, Alla Pugačëva si augura “che i nostri ragazzi smettano di morire per degli scopi ingannevoli che rendono il nostro Paese un paria e che gravano sulla vita dei suoi cittadini”. La scelta della nota cantante merita rispetto, ma non senza significative riserve. Volere che i ragazzi “smettano di morire” e che queste cose non “gravino sulla vita dei cittadini” è ovviamente una richiesta seria, e non intendo minimamente ironizzare su quelle che sono reazioni fisiologiche. Manca, però, il punto principale: i “nostri ragazzi” vengono mandati in Ucraina non a morire, ma a uccidere. L’“operazione speciale” è una guerra genocida che la Russia sta conducendo contro l’Ucraina. Gli obiettivi di questa guerra, apertamente dichiarati dalla leadership e ripetutamente amplificati dall’apparato propagandistico, sono la distruzione dell’Ucraina come Stato e del popolo ucraino come nazione. Per l’occasione è stato anche coniato un apposito termine: si vuole la “de-ucrainizzazione” dell’Ucraina.


La riluttanza a essere ammazzati o a perdere un marito o un fratello per le ambizioni imperialistiche di un pazzo che vive nel suo bunker è comprensibile, ma ammetto di avere sperato che – finalmente! – affiorasse un sentimento più adeguato, qualcosa del tipo: “Non farete di me un assassino!”, “Non farete di mio figlio un assassino!”, “Non farete un assassino di mio marito (padre, fratello, fidanzato, compagno…)!”. E invece no.  E se non è successo, poco si può fare. 


Perciò la domanda sorge di nuovo spontanea: ce l’hanno, un futuro, i russi?


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Raccolta fondi per i prigionieri ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa.

Memorial Political Prisoners Support aiuta da tempo in modo autonomo i cittadini ucraini detenuti nelle carceri delle Federazione Russa per ragioni di carattere politico. Al momento la situazione è ulteriormente peggiorata e per questo motivo l’associazione desidera chiedere sostegno anche attraverso la rete dei Memorial europei, promuovendo una campagna di raccolta fondi. Le donazioni saranno destinate alla copertura delle spese legali e alla fornitura di aiuti umanitari. I prigionieri ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa hanno bisogno di assistenza legale, hanno bisogno di aiuti umanitari, ma soprattutto hanno bisogno di non essere dimenticati. Per maggiori informazioni e per contribuire –> Urgent appeal: help Ukrainian prisoners in Russia – Поддержка политзаключённых. Мемориал. Appello urgente: raccolta fondi per i prigionieri ucraini detenuti nella Federazione Russa. La tragedia dei prigionieri ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa si consuma tra le pressioni degli agenti di sicurezza, condizioni di detenzione disumane, torture e processi già decisi. “In cella non c’erano né acqua, né gabinetto, né brande; dormivamo su tavolacci di legno. Alla latrina comune non ci portavano tutti i giorni, e comunque sempre col tempo contato. Giorno e notte si sentivano le urla dalla stanza delle torture: non c’era modo di tranquillizzarsi o di raccogliere i pensieri. Una volta ho sentito trascinare qualcuno fuori da una cella vicina, poi uno sparo. Le guardie ci dicevano che presto sarebbe toccato anche a noi, che eravamo troppi.” A questo clima di terrore spesso si aggiunge la totale assenza di contatti con i propri cari. La corrispondenza, l’invio di pacchi e le visite – rari momenti di sollievo nella prigionia – sono per molti detenuti ucraini difficilissimi, se non impossibili da ottenere. Trovare e poter pagare un avvocato indipendente, che svolga il proprio lavoro con coscienza, sostenga il suo assistito e ne difenda i diritti, è un’impresa altrettanto ardua. Riusciamo ancora a offrire questo tipo di supporto, ma ora più che mai abbiamo bisogno del vostro aiuto per andare avanti. Per garantire assistenza legale e aiuti umanitari ai cittadini ucraini detenuti nella Federazione Russa per motivi politici servono 38.000 euro. È una cifra considerevole, ma siamo migliaia anche noi che sosteniamo i prigionieri ucraini. In fondo, basterebbe che 3.800 persone donassero 10 euro ciascuna. Questa volta, però, non vi chiediamo solo una donazione. Vi invitiamo a parlare di questa raccolta fondi alle persone di cui vi fidate: amici, familiari, compagni di emigrazione e colleghi. L’appello è disponibile anche in inglese: potete condividerlo anche con chi non parla russo. A chi sono destinati i fondi? A causa degli alti rischi cui sono esposti i prigionieri ucraini nelle carceri della Federazione Russa molte richieste di aiuto ci arrivano in forma anonima. Possiamo condividerne solo alcune, a titolo esemplificativo. Aiuti umanitari Inviamo regolarmente pacchi a decine di ucraini detenuti nelle carceri della Federazione Russa: cibo, medicinali, libri, sigarette, articoli per l’igiene, vestiti, scarpe – beni di uso quotidiano che in carcere diventano inaccessibili. Sergej Gejdt: “Vi scrivo per chiedervi aiuto. Se riusciste a mandarmi qualcosa da mangiare e delle sigarette ve ne sarei immensamente grato. I miei hanno problemi di soldi, mi pare di capire, e neanche io ho modo di chiedere a loro di darmi una mano, non avendo nessuno cui scrivere o che possa informarli che non ho più nulla. Il problema è che con i pochi rubli che avevo sul conto ho ordinato l’indispensabile: quel poco per lavarmi… E per il cibo non mi è rimasto nulla. 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