Andrej Pivovarov: “La Russia cambierà. Il numero di persone libere e pensanti sta raggiungendo la soglia critica”

Intervista al leader del movimento “Otkrytaja Rossija – Open Russia” dal carcere dove è detenuto in seguito a una pretestuosa condanna per motivi politici.

(di Viviana Nosilia, professoressa di filologia slava presso l’Università di Padova e socia di Memorial Italia)


23 gennaio 2023 
ore 11:11


Presentiamo un’intervista esclusiva che Andrej Pivovarov ci ha concesso dal carcere dove è attualmente detenuto in seguito a una pretestuosa condanna per motivi politici. Pivovarov (classe 1981) è un politico di opposizione, leader del movimento “Otkrytaja Rossija – Open Russia” [organizzazione che promuove l’attività della società civile fondata da Michail Chodorkovskij nel 2014, sciolta dai dirigenti nel 2021 per evitare che i suoi membri fossero incriminati in quanto facenti parte di una “organizzazione indesiderata”, N.d.R.]. Nel 2021 intendeva candidarsi alle elezioni per il rinnovo della Duma. È stato arrestato platealmente mentre si trovava su un volo diretto a Varsavia, dove si stava recando per motivi privati. L’aereo lo aveva imbarcato regolarmente, ma è stato fatto atterrare poco dopo il decollo per consentire alle forze dell’ordine di prelevare il politico. Pivovarov sta attualmente scontando una condanna a quattro anni di reclusione in base all’articolo 284.1 del codice penale, che sanziona l’appartenenza ad “organizzazioni indesiderate”. Il pretesto per l’avvio dell’indagine era stato la pubblicazione di alcuni post su Facebook. Il politico ci ha rilasciato quest’intervista per via epistolare. Nel leggerla occorre tenere presente che la corrispondenza in carcere è soggetta a censura sia in entrata, sia in uscita. Per questo motivo spesso è necessario ricorrere ad allusioni e alcuni temi non possono essere trattati approfonditamente, visto che il censore non consentirebbe l’arrivo della lettera al destinatario. È però chiaro che l’espressione “quello che sta accadendo” si riferisce all’invasione del 24 febbraio 2022 dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Ringraziamo Tat’jana Usmanova, dello staff di Pivovarov, per l’aiuto fornito nel portare a termine il progetto.


Andrej Pivovarov
Andrej Pivovarov (foto di Vladislav Postnikov, via Wikicommons, CC BY 4.0)


Probabilmente, già poco prima del suo arresto era consapevole dei rischi legati all’attività politica di opposizione, eppure le circostanze in cui L’hanno arrestata, costringendo l’aereo appena decollato ad atterrare, e l’accusa che le hanno mosso hanno segnato un nuovo livello di ferocia. Come si è sentito quando ha appreso su cosa si fondava l’accusa? Secondo lei, quando il sistema è degradato fino a questo punto? Come si è arrivati a ciò?


Ora, sullo sfondo di tutto ciò che è accaduto, sembra un fatto secondario, ma nel 2021 da noi si sono svolte le elezioni per il rinnovo della Duma di Stato, uno degli eventi chiave di quell’anno. Certamente, si capiva che le autorità avevano cominciato a prepararsi in anticipo. Si intentavano cause penali contro i potenziali candidati, se ne intimidivano altri, qualcuno veniva costretto a lasciare il paese. La legislazione era sempre più repressiva, grazie all’introduzione di emendamenti al Codice Penale fatti apposta per colpire “Open Russia”. Tuttavia, persino in queste condizioni, ho ritenuto giusto partecipare alle elezioni. Nonostante i leader dell’opposizione fossero stati esclusi dalle elezioni, perché arrestati, emigrati, o impossibilitati a proporre la propria candidatura, dalla quantità di voti per la cosiddetta “opposizione di sistema” [partiti diversi da “Russia Unita”, ammessi a partecipare alle elezioni per creare una parvenza di regolarità, N.d.R] si vedeva già allora che l’esigenza di cambiamenti nella società era enorme. Solo mediante i brogli e il voto elettronico il regime è riuscito a fabbricare i risultati voluti. Sono certo che ci sia ancora più voglia di cambiamento. Quando mi hanno fermato, ho capito che il vero motivo del mio arresto era la mia intenzione di candidarmi. Ovviamente questo non è stato scritto negli atti processuali, ma nessuno lo nascondeva. Il fatto che mi fosse contestato l’articolo 284.1 del CP, certo, mi ha sorpreso, perché anche sulla base di questa norma repressiva non c’erano le basi per accusarmi. Secondo quest’articolo, una persona che ha volontariamente interrotto la collaborazione con una organizzazione considerata indesiderata è esente da responsabilità penale. Prevedendo l’inasprirsi delle repressioni, i colleghi ed io già due giorni prima dell’inizio della causa avevamo chiuso “Open Russia”, credendo così di metterci al riparo da qualunque possibilità di persecuzione penale. “Open Russia” non poteva essere considerata “organizzazione indesiderata” sotto alcun punto di vista, ma abbiamo ritenuto opportuno chiuderla per tutelarne i membri. Capivo che l’accusa era inconsistente e che, in un qualunque procedimento giudiziario obiettivo, a questa causa non sarebbe stato dato seguito. Nello stesso tempo, però, capivo anche che si trattava di una causa squisitamente politica e che era stato dato l’ordine di mettermi in carcere. Quando il procuratore e l’inquirente in tribunale hanno dichiarato che il mio crimine (e ricordo che inizialmente mi avevano accusato per un post su Facebook) rappresentava una minaccia per l’ordine costituzionale e la sicurezza del paese, ho chiesto loro di non offendere il mio paese. Ritenevo una vergogna che ci fossero persone che affermavano che la sicurezza del paese era minacciata da un post su Internet. A mio parere, già dalla metà degli anni Duemila gli organi di pubblica sicurezza e il sistema giudiziario sono diventati docili esecutori della volontà del potere esecutivo. La divisione e l’indipendenza dei poteri sono state gradualmente distrutte a partire da quel periodo e verso la metà degli anni Dieci il processo è giunto a compimento. Nei fatti, gli inquirenti, la procura, i giudici, che dovrebbero essere autonomi e vigilare gli uni sugli altri, agiscono invece di concerto per portare ai risultati richiesti. La percentuale di assoluzioni nelle cause penali nel nostro paese è inferiore all’1%, una statistica molto eloquente… In Russia è stato programmaticamente costruito un modello autoritario, che si basa sui superprofitti derivanti dal petrolio e su un apparato di forze dell’ordine in continua crescita. Allo stato non servivano né tribunali indipendenti, né elezioni regolari, né mass-media liberi per conservare il potere, anzi: tutti questi elementi non erano che ostacoli. I detentori del potere, desiderando un controllo sempre più stretto e capillare sulla popolazione e sulle risorse naturali, si sono costruiti un apparato di repressione e hanno estromesso dal sistema chi aveva una posizione indipendente, autonoma.


Secondo lei, come è possibile realizzare il transito della Federazione Russa a un regime democratico? Che cosa bisogna fare nel periodo di transizione? Putin potrebbe anche essere sostituito da qualcun altro, ma ciò non significa automaticamente che il sistema in sé cambierebbe.


In Russia c’è un governo di tipo superpresidenziale. Se lo si conserverà, anche la più progressista delle persone che dovesse ricoprire questa carica, dopo un po’ di tempo scivolerebbe nell’autoritarismo. Non è importante la singola persona in sé, ma la transizione a una struttura parlamentare che funzioni bene.


Solo una reale divisione dei poteri, la creazione di un sistema di freni e contrappesi, ampie deleghe alle regioni e una loro rappresentanza a livello federale permetteranno di creare un sistema statale equilibrato e soprattutto funzionante.


Secondo me, è necessario iniziare le riforme da tre aspetti: la giustizia, le elezioni e i vincoli posti ai mass media. Non che questo garantisca rapidi cambiamenti positivi, ma certamente instraderà il paese nella direzione giusta. Se in Russia comparirà un sistema giudiziario di cui ci si possa fidare (ricordo il dato del 99% di sentenze di condanna…), cominceranno a operare commissioni elettorali oneste e mass media liberi, il sistema comincerà da sé a rinnovarsi. Non m’illudo certo che il successore di Putin sia un democratico. Ma al momento attuale il regime in carica è così personalistico che sostituire una persona con un’altra è impensabile. Il sistema sarà in ogni caso costretto a trasformarsi e inevitabilmente cominceranno dei cambiamenti. Il compito della società civile, però, non è quello di stare ad aspettare che le cose succedano da sé, ma quello di far arrivare alla gente il messaggio che ciò che sta succedendo adesso è la conseguenza diretta dell’annientamento dei loro diritti fondamentali: di scelta, di voto, di riunirsi liberamente. Ed è necessario ripristinare questi diritti.


Lei insiste molto sul sistema parlamentare come mezzo per introdurre e preservare la democrazia, ma non è detto che i sistemi presidenziali si trasformino per forza in regimi autoritari. Ci sono paesi democratici con un sistema di potere presidenziale. Non potrebbe essere così anche in Russia?


Concordo sul fatto che ci sono non pochi esempi in cui dietro il paravento del parlamentarismo prospera l’autocrazia. E, per converso, un regime presidenziale non ostacola la democrazia. Per la situazione in Russia, però, mi sembrano opportuni due rilievi. In primo luogo, il nostro è un caso di superpresidenzialismo. Putin o chi per lui si trovano a disporre attualmente di un potere illimitato, può emanare le leggi e i decreti che vuole, gode di immunità e, a meno che non si verifichino eventi imponderabili, può regnare finché vuole. Non esiste un sistema di freni e contrappesi, di vigilanza, e non c’è alcun modo legale, secondo le norme vigenti, per annullare una decisione del presidente o fargli assumere le sue responsabilità. È proprio questo che ha portato alla catastrofe cui assistiamo ora. E stando così le cose, chiunque al suo posto, anche la persona più liberale, finirà per imboccare la strada dell’autoritarismo. Il potere è una droga da cui è facile diventare dipendenti, ma da cui non ci si può disintossicare. Il secondo motivo per cui in Russia è necessaria una vera repubblica parlamentare è la questione della rappresentanza. La Russia è un paese enorme con una grandissima quantità di territori e popoli diversi. Oggi gran parte delle prerogative delle regioni è stata ceduta al centro; è lì che vanno i soldi, ed è da lì che vengono redistribuiti sulla scorta di lealtà o preferenze personali. La redistribuzione delle risorse e dei fondi segue schemi non trasparenti e solo in rari casi si fonda su un criterio di efficienza. Ciò conduce a un degrado dei poteri locali. Il criterio principale è la fedeltà al centro della Federazione, non il tenore di vita della gente. Le regioni non possiedono una vera rappresentanza, non hanno leve da usare per difendere i loro interessi né la certezza dei poteri di cui disporre (il centro federale può in ogni momento decidere di avocare a sé la gestione di una questione). In un paese enorme e disomogeneo come la Russia solo una sapiente distribuzione dei poteri, una vera rappresentanza, un vero assetto federale possono essere il presupposto per un paese fiorente, il benessere dei cittadini e la sicurezza per gli altri stati.


Lei sottolinea anche il ruolo della riforma del sistema giudiziario per un paese democratico. Può spiegare in cosa consiste la specificità di tale sistema nella Federazione Russa?


Come ho già detto, praticamente ogni causa che arriva in tribunale finisce con una sentenza di condanna. Non è possibile venire assolti. Ciò non dipende affatto da un eccellente lavoro degli inquirenti e della procura, al contrario: a causa della totale assenza di vera conflittualità fra le parti in giudizio, il livello di questi organi è degradato. La legge prevede l’indipendenza dei giudici, la vigilanza della procura sull’inchiesta e il contraddittorio di accusa e difesa. Nella realtà, invece, inquirenti, procuratore e giudice agiscono all’unisono. Del resto, spesso i giudici provengono dagli organi di polizia.


In caso di sentenza diversa da una condanna, l’inquirente e il giudice ricevono dei rimproveri, i giudici non intendono correre questo rischio e preferiscono pronunciare sentenze di condanna anche in cause che non stanno in piedi piuttosto che mettere in difficoltà i colleghi “dell’accusa”.

Le decisioni riguardanti la maggior parte delle cause di maggior risonanza o rilievo, poi, vengono prese ancora prima che esse siano esaminate. Durante l’assegnazione delle cause all’interno del tribunale il giudice riceve l’impianto o addirittura l’intera formulazione della sentenza da emettere. Insomma: non esiste l’indipendenza del potere giudiziario e di conseguenza nemmeno il diritto a un giusto processo.


Secondo Lei, come è possibile rianimare la società civile in Russia? Da molti anni la propaganda convince i cittadini che nulla dipende da loro, che non vale la pena d’interessarsi alla politica. Come si può contrastare il fenomeno?


Penso che la ricetta principale sia dire alla gente la verità.


La propaganda ora ama raccontare di nemici che avrebbero distrutto il sistema sovietico, ma il punto è un altro. Pensiamo alla fine degli anni Ottanta. La glasnost’, la verità è diventata il principale propulsore dei cambiamenti. Certo, c’erano anche l’economia di piano e altre errate previsioni, ma per la gente l’elemento decisivo è stato proprio avere informazioni attendibili su come stavano vivendo e venire a sapere che era possibile vivere diversamente. Attualmente in Russia sono state distrutte tutte le strutture dell’opposizione, i leader sono stati incarcerati o indotti ad abbandonare il paese. È stata introdotta la censura, sono stati vietati i raduni. Ciò però non significa che il malcontento e l’esigenza di cambiamenti siano spariti. Al contrario, sullo sfondo di ciò che sta accadendo, il potenziale di protesta non fa che crescere e talvolta come in passato riesce a emergere. Ma è solo la punta dell’iceberg. La parte sommersa, che resta confinata tra le mura domestiche, è enorme. Il prezzo che si paga per scendere in piazza ora è troppo alto, la macchina delle repressioni lavora a pieno regime, ma anche la protesta cresce. Sia per diffusione, sia per intensità. Prevedere dove riuscirà a fare breccia è impossibile sia per me, sia per le autorità. Posso solo supporre che se le operazioni belliche continueranno, le perdite potranno costituire un punto di tensione molto serio. Persone che hanno perso i loro cari non si lasciano facilmente spaventare dalla Guardia Nazionale. Perciò raccontare, spiegare alla gente ciò che sta accadendo è la via più giusta. Lo vedo anche qui in prigione. Per molti l’unica fonte d’informazione è il televisore. Volente o nolente, la gente comincia a ripetere le tesi della propaganda. Ma quando cominci a spiegare, a portare esempi, anche della vita qui, a smascherare le menzogne, ecco che allora il castello di carta della propaganda crolla in un batter d’occhio. Nella vita fuori di qui farlo è ancora più semplice. La propaganda vive nel televisore, ma nella vita la gente vede prezzi e bollette assolutamente reali, vede i commissari per l’arruolamento.


Come tranquillizzare quella parte della società che invece teme i cambiamenti e desidera la stabilità? Cosa dire loro per convincerli a sostenere la trasformazione del sistema?


Il potere ora non porta alcuna stabilità. Se verso la fine degli anni Duemila e soprattutto negli anni Dieci, grazie ai prezzi alti degli idrocarburi, c’era denaro a sufficienza sia per riempirsi le tasche, sia per distribuire qualcosa alla popolazione, ora per riempirsi le tasche bisogna sottrarre risorse alla gente: ciò significa innalzamento dell’età pensionistica, delle imposte, dei pedaggi per i camion per le strade a lunga percorrenza [nel 2014 è stato introdotto un pedaggio extra a carico degli autotrasportatori che ha determinato un aumento generalizzato dei prezzi delle merci trasportate, innescando scioperi e proteste, N.d.R.] ecc. Ora a tutto ciò si è aggiunta la mobilitazione generale con tutto ciò che ne consegue, le sanzioni, il rallentamento e l’incertezza in ambito economico e molto altro. Anche i sondaggi ufficiali dicono che i russi sono meno sicuri del futuro, che cresce il livello d’inquietudine. Sono due decenni che il Cremlino si presenta a ogni appuntamento elettorale con lo slogan della stabilità, ma ora è diventato la principale fonte di problemi e di calo del tenore di vita dei cittadini. In queste circostanze la proposta di passi e decisioni comprensibili, di un chiaro programma di riforme che assicuri quella stessa stabilità rappresenterà una soluzione per coloro che solo fino a poco tempo prima avevano sostenuto il regime. I cambiamenti per le persone diventeranno la via verso la stabilità, per uscire dal caos in cui l’attuale direzione del Cremlino ha trascinato il paese. Prima ho parlato di come la glasnost’ abbia sconfitto l’Unione Sovietica. L’esempio mi sembra calzante anche in questo caso. La gente alla fine degli anni Ottanta voleva cambiamenti perché vedeva come si viveva nei paesi democratici e desiderava lo stesso. Anche noi dobbiamo mostrare alla gente che la vita può essere diversa, i politici onesti, i giudici indipendenti, i diritti umani rispettati. Bisogna dare alla popolazione un’idea chiara di ciò cui aspiriamo. Se si osserva con attenzione la propaganda, si capisce perché il partito al potere stia perdendo su tutti i fronti. Semplicemente è incapace di formulare obiettivi, un’idea di futuro. È tutto rivolto al passato. Ma questo è il sogno solo dei gerontocrati degli uffici dei piani alti, mentre il futuro è necessario alla popolazione, che è la maggioranza. In primo luogo, ai giovani.


Mi sembra che in Russia ci sia un duplice senso di isolamento: la società è frammentata, atomizzata, le persone non riescono a unirsi. Quando la gente è isolata, quando si sente sola, è facile spaventarla. Ha anche Lei quest’impressione? E poi c’è l’isolamento internazionale. Pensa che in futuro sarà possibile ricostruire i rapporti con gli altri paesi?


Sono d’accordo. Il Cremlino ha distrutto tutti i partiti d’opposizione e le aggregazioni, stroncando ogni tentativo visibile di formare nuovi raggruppamenti e le forme di autoorganizzazione della società civile, anche le più neutre e non politicizzate. Negli ultimi decenni, attraverso la propaganda, il potere riesce a marginalizzare il dissenso. Alla gente è fatto credere che tutti siano a favore, allo scopo di indurre a ritenere che chi è contrario rappresenti un caso singolo. Bisogna dire che la propaganda in Russia è forte e ha avuto successo. Ma la realtà ha dimostrato il contrario. L’origine di tutto sono state le proteste in Piazza Bolotnaja con decine di migliaia di partecipanti [il riferimento è a una serie di manifestazioni tenutesi in questa piazza negli anni 2011-2012 per protestare contro i brogli alle elezioni parlamentari e presidenziali, N.d.R.], e poi molto spesso sia le manifestazioni, sia le elezioni non sono andate nella direzione sperata dal potere. Si è capito che di questi “casi singoli” ce n’erano troppi. Un completo isolamento oggi, anche in assenza di strutture e aggregazioni, è impossibile. Dai tempi dell’URSS, di cui si sente favoleggiare in TV, il mondo ha fatto enormi passi avanti: ci sono Internet e i social network. Le persone si rendono conto che la pensano come loro personaggi come Dmitrij Muratov [il direttore di “Novaja Gazeta”, insignito del Premio Nobel per la Pace nel 2021, N.d.R.], Michail Chodorkovskij [oligarca che ha trascorso 10 anni in carcere in seguito a processi motivati politicamente, N.d.R.], Il’ja Jašin [oppositore attualmente in prigione, N.d.R.]. E i video di Jurij Dud’ [blogger molto popolare, famoso per le sue interviste; ha intervistato, fra gli altri, anche Naval’nyj e Il’ja Jašin, N.d.R.] hanno milioni di visualizzazioni. Perciò le persone capiscono che in Russia sono in molti a pensarla nello stesso modo. Anzi, forse sono già la maggioranza. Non ho dubbi sul fatto che la questione dell’isolamento internazionale si risolverà abbastanza rapidamente dopo che la Russia avrà cessato di minacciare i vicini. È complicato dire di più scrivendo dalla prigione, ma esiste una buona regola: le democrazie non fanno la guerra ad altre democrazie. Penso che la chiave sia tutta qui.


Qual è la Sua posizione rispetto a ciò che sta succedendo in Ucraina?


La mattina del 24 febbraio la guardia che effettuava il controllo del mattino ha dato per prima la notizia di quanto stava succedendo. Il suo commento è stato molto sintetico ed efficace: “Bella merda!”. Finora ritengo che questa sia la definizione migliore e più esaustiva che ho sentito. [Qui Pivovarov scrive che ha dovuto astenersi dal rispondere più approfonditamente perché la censura del carcere sarebbe sicuramente intervenuta, N.d.R.].


La situazione mondiale non desta ottimismo, nemmeno in Russia. C’è ancora posto per la speranza? E da dove trarla?


Vedo due motivi per essere ottimisti. In primo luogo, malgrado la propaganda estremamente aggressiva, la censura e i divieti di critica, ciò che sta succedendo non trova un grande sostegno nella società. I personaggi ufficiali possono dire quello che vogliono, ma in realtà vediamo che la gente non ritiene ciò che accade qualcosa che le appartiene. Per le manifestazioni a favore del governo bisogna pagare la folla perché partecipi; si è scritto già molto su come è avvenuta la mobilitazione generale e su quanti hanno deciso di lasciare il paese. Se nel 2008 e nel 2014 le azioni del regime [il riferimento è alla guerra russo-georgiana e all’occupazione della Crimea, N.d.R.] godevano effettivamente del sostegno della popolazione, ora anche gli elettori fedeli al Cremlino iniziano a chiedersi che senso abbia quello che sta succedendo, a interrogarsi sulla sensatezza degli obiettivi. Il malcontento cresce in gente di due orientamenti opposti: sia in chi non è d’accordo con quanto sta avvenendo, sia in chi ritiene che non si stia intervenendo con la necessaria intensità [il riferimento è a un gruppo di cosiddetti “falchi”, politici e attivisti che spingono per un’azione militare ancora più decisa e mirata ad assumere il controllo di Kyiv, N.d.R.]. Il secondo fattore che ispira ottimismo è l’economia. Qualche giorno fa la Duma ha approvato un bilancio in deficit per i prossimi tre anni, per la prima volta in 20 anni. Le spese per le forze dell’ordine e la difesa sono aumentate moltissimo e i funzionari dicono apertamente che cresceranno ancora. Le entrate provengono principalmente dalla vendita di idrocarburi e minerali. È chiaro che ci sarà un netto calo. L’isolamento del paese porta all’interruzione dei rapporti fra grandi imprese, alla rottura delle catene tecnologiche e logistiche. Praticamente tutte le grandi (ma anche piccole) imprese non legate all’industria bellica stanno soffrendo molto per quanto sta accadendo. La comunità degli imprenditori non ha una grande influenza in Russia come negli altri paesi, ma alcuni suoi rappresentanti hanno accesso al Cremlino. Non va dimenticato che anche molti funzionari, attraverso parenti o in altri modi, sono proprietari di imprese.


A mio parere questi due fattori – l’assenza di un sostegno reale da parte della popolazione e la diminuzione delle entrate – spingeranno come minimo al congelamento del conflitto.


Stiamo realizzando quest’intervista per il pubblico italiano. Qual è il suo messaggio agli italiani?


In un paese dalle salde tradizioni democratiche può essere difficile capire cosa succede da noi. Nei social network e nei diversi interventi si può spesso sentire: perché i russi, se non sono d’accordo, non protestano in massa, non cambiano il regime? Segue poi la “logica” deduzione: dato che non ci sono proteste, significa che a loro sta bene ciò che accade. Inoltre, la propaganda ufficiale è ben contenta di contribuire a diffondere questa convinzione. Ma è un errore grave. Il prezzo per le proteste in un regime autoritario, fra poco totalitario, è alto. C’è chi è disposto a correre il rischio, a ricevere multe stratosferiche, a essere arrestato, a finire sulla branda accanto alla mia. Ma per la maggioranza questo prezzo per ora è troppo alto. Scrivo “per ora” non senza motivo. Mi rendo conto che c’è chi soffre incommensurabilmente di più, ma provate a pensare a un cittadino italiano medio: sarebbero molti quelli disposti a sacrificare la libertà in nome di una causa?


Non ho dubbi sul fatto che la situazione in Russia cambierà. Il numero di persone libere e pensanti sta raggiungendo la soglia critica.


Vorrei che per gli italiani, per gli europei, i russi non fossero una massa uniforme che appoggia ciecamente le decisioni del Cremlino. Fra i miei concittadini, c’è un’enorme quantità di persone oneste, che desiderano cambiamenti; penso, anzi, che siano la maggioranza. E queste persone non sono dei nemici. Sono certo che molto presto la situazione comincerà a cambiare. Ora dobbiamo tutti resistere, non recedere dai nostri principi. Sono certo che ci riusciremo. Auguro tanta forza per percorrere questa strada a tutti noi, europei nello spirito.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

18 luglio 2025. Stop alla propaganda russa in EU: appelli alle istituzioni.

Stop alla propaganda russa in EU: premi Nobel, artisti e cittadini scrivono a Ursula von der Leyen, Memorial Italia chiede ai presidenti di Camera e Senato di istituire una commissione speciale. Oggi, 18 luglio 2025, Memorial Italia ha consegnato due lettere per chiedere alle istituzioni europee e italiane di adoperarsi per interrompere il dilagare della propaganda russa in Europa. La prima lettera, indirizzata a Ursula von der Leyen e a Vincenzo De Luca, chiede non solo la cancellazione del concerto del 27 luglio a Caserta diretto da Valery Gergiev, ma anche l’istituzione di un’inchiesta sull’utilizzo di fondi pubblici per eventi legati alla propaganda russa nel territorio dell’Unione Europea e la promozione di un fondo culturale dedicato agli artisti che si oppongono al regime putiniano. La petizione è stata sottoscritta da più di 700 persone in poco meno di un giorno: tra i firmatari illustri figurano Oleksandra Matviichuk (direttrice del Centro per le Libertà Civili di Kiev, Premio Nobel per la pace 2022), Oleg Orlov, Svetlana Gannushkina e Irina Scerbakova di Memorial (Premio Nobel per la pace 2022), gli scrittori Herta Müller (Premio Nobel per la letteratura 2009), Jonathan Littell (Prix Goncourt 2006) e Mikhail Shishkin (Russian Booker Prize 2000), il coreografo Alexei Ratmansky (New York City Ballet, Dutch National Ballet), la storica Anna Foa (Premio Strega saggistica 2025), i direttori d’orchestra Michail Agrest e Nazar Kozhukhar, il regista d’opera Eugene Lavrenchuk, i violinisti Misha Nodelman e Michel Gershwin, la vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno, i deputati Lia Quartapelle, Benedetto Della Vedova e Federica Onori, gli scienziati Eugene Koonin e Igor Aizenberg, la regista Helga Landauer, il collezionista d’arte Marat Gelman, gli studiosi Mikhail Epstein, Nicolas Werth, Andrea Graziosi, Lara Lempert e Gian Piero Piretto, il biologo Eugene Koonin e il matematico e informatico Igor Aizenberg. Numerose anche le firme delle associazioni dedicate alla difesa dei diritti umani: Ivar Dale (Norwegian Helsinki Committee), Eleonora Mongelli (Federazione Italiana Diritti Umani), Leonid Sudalenko (Vjasna, Belarus, l’associazione del Premio Nobel per la pace 2022 Ales’ Bialiatski, ora in carcere in Belarus). Tra i tanti firmatari ucraini, anche il pittore Matvii Vaisberg, l’attivista per i diritti umani Evgenij Zacharov e Mikhailo Savva del gruppo per i diritti umani Sova. To the President of the European Commission Mrs. Ursula von der LeyenTo the President of Campania Mr. Vincenzo De LucaOpen Letter to contrast Valery Gergiev’s performance in Caserta We, the undersigned, write to express our deepest concern over the scheduled performance of Valery Gergiev — a public and official supporter of Vladimir Putin — at the Un’estate da Re festival in Caserta, Italy, on the 27th of July 2025.This concert, subsidized by public funds, marks Gergiev’s symbolic return to Europe’s cultural arena. It is not a neutral act. It is a political gesture — one that risks legitimizing the regime he represents and the violence it continues to unleash.Our request has nothing censorious in itself. We are not asking to silence art, but to remove visibility from a figure who is openly conniving and complicit with a political line that Europe, on the other hand, abhors and contrasts.Gergiev has consistently aligned himself with the Kremlin. He is not only an artist — he is a visible agent of cultural propaganda for a regime internationally accused of war crimes.After the invasion of Ukraine in 2022, major cultural institutions across Europe and North America have severed ties with him. His removal from the Munich Philharmonic, the Rotterdam Philharmonic Orchestra and other leading stages was not censorship — it was a moral stand against war propaganda cloaked in cultural prestige. Because of Gergiev’s stance on Mr. Putin and his politics, personal sanctions against him were recently adopted by Canada.This return on a prestigious stage in the heart of Europe, thanks to the support of public institutions, signals a dangerous shift. It normalizes an effective weapon in hybrid war: cultural propaganda. As widely documented, the Russian regime makes extensive use of such events internally to justify its aggression against Ukraine and its war against Western values. On the other hand, such events have a detrimental effect on the European Union, as they discredit the same countries and institutions that have been engaged for years in a longstanding fight against the threat posed by the Russian regime on European values, culture, and security.Art is never apolitical in times of war. Cultural spaces are not neutral zones; they shape public memory, values, and legitimacy. Hosting Gergiev while war crimes continue — while Ukrainian cities are bombed and civilians are killed and deported — turns theaters into platforms for whitewashing brutality. For all of the above reasons, we call for: • The cancellation of the 27th of July 2025 event in Caserta. • A transparent investigation by the European Commission into the use of public funds, including EU funding, for cultural events featuring Valery Gergiev or other active supporters of the Russian regime. • The launch of initiatives by the European Commission aimed at promoting a culture of peace through art, as a response to the use of culture as a propaganda tool by the Russian regime. La seconda lettera è stata consegnata ai presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa. Memorial Italia, a fronte delle ormai numerose occasioni in cui la propaganda russa ha avuto la possibilità di trovare spazio in Italia (oltre al caso Gergiev, si nominano le proiezioni dei documentari prodotti da Russia Today, sottoposta a sanzioni UE e altri casi), richiede la creazione di un apposito organismo di controllo parlamentare per contrastare il dilagare della propaganda russa in Italia, anche alla luce dell’uso strumentale che il regime putiniano fa della propaganda sul fronte interno. Alla c.a. del Presidente del Senato della Repubblica On. Ignazio La Russa e del Presidente della Camera dei Deputati On. Lorenzo FontanaMisure urgenti contro la propaganda russa e la guerra ibrida del Cremlino in relazione all’aggressione dell’Ucraina Egregi Presidenti,la nostra associazione, Memorial Italia, è espressione nel nostro paese della ONG russa Memorial, impegnata dai

Leggi

15 luglio 2025. Sedici anni dalla morte di Natal’ja Estemirova.

Il 15 luglio 2009 è stata uccisa Natal’ja Estemirova, attivista per i diritti umani e giornalista. Le circostanze della sua morte non sono ancora state chiarite. Estemirova era direttrice della sezione cecena del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, si è occupata di crimini di guerra, torture e rapimenti di civili durante la Seconda guerra cecena. Per celebrare la memoria della nostra collega Natal’ja Estemirova, MOST Summer School di Memorial Italia (2-6 settembre 2025) sarà ospite di Alloro Fest, festival organizzato dal Giardino dei Giusti di Palermo. Il Giardino dei Giusti di Palermo è stato inaugurato il 25 febbraio 2008 in via Alloro, nel centro storico della città e nei pressi del vecchio quartiere ebraico della Moschita. Grazie alla collaborazione con Gariwo il 4 settembre verrà posata nel Giardino una maiolica in ricordo dell’impegno di Natal’ja per i diritti umani, la libertà di informazione e la memoria degli oppressi. La cerimonia avrà luogo alle 17:00 alla presenza delle autorità cittadine e di tutta la cittadinanza. Natal’ja Estemirova nasce il 28 febbraio 1958 nella città di Kamyšlov nella regione di Sverdlovsk in una famiglia di origine ceceno-russa. Si laurea in storia all’università di Groznyj e lavora come insegnante. Dopo la Prima guerra cecena si occupa di giornalismo, difesa dei diritti umani, assistenza agli ex prigionieri dei “centri di filtraggio” in Cecenia. Nell’autunno del 1999 Estemirova inizia a collaborare con il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, lavora nella sede del Centro Memorial aperta a Groznyj, indaga su rapimenti e uccisioni di civili in Cecenia. Nel 2001 si avvicina alla giornalista Anna Politkovskaja e all’avvocato Stanislav Markelov. Dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja inizia a scrivere per Novaja gazeta sotto pseudonimo. Estemirova documenta i crimini di guerra commessi dalle forze armate della Federazione Russa in Cecenia, i “rastrellamenti”, le esecuzioni sommarie di civili e gli attacchi indiscriminati sui centri abitati. Grazie al suo lavoro il mondo può vedere le immagini della cittadina di Novye Aldy, nei pressi di Groznyj, distrutta dalle forze armate della Federazione Russa, e può ascoltare le testimonianze degli abitanti. Il 5 febbraio 2000 le forze armate della Federazione Russa uccidono almeno 56 persone (secondo le informazioni del Centro Memorial) nel corso di un “rastrellamento” a Novye Aldy: anziani, donne e bambini. Tra le vittime non c’è nessun combattente. Si tratta di uno degli episodi più sanguinosi della Seconda guerra cecena. A venticinque anni dalla tragedia i colpevoli non sono ancora stati trovati né sono state individuate le responsabilità. Nel 2009 Estemirova torna a Novye Aldy per parlare con gli abitanti. Nell’occasione viene girato Aldy. Bez sroka davnosti (Aldy. Non c’è prescrizione), documentario del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, che uscirà dopo la morte di Natal’ja. Grazie alle inchieste di Estemirova si apprende anche del bombardamento sul paese di Rigach, avvenuto l’8 aprile 2004, nel corso del quale muoiono una donna e i suoi cinque bambini. Le forze armate della Federazione Russa negano i fatti. Estemirova fotografa le conseguenze del bombardamento, le case distrutte, i frammenti della bomba con la marcatura. Di propria iniziativa gli abitanti aprono la tomba per permetterle di fotografare e riprendere i cadaveri. Si apre un procedimento penale, ma il processo non viene istituito. Estemirova fa parte della Commissione di ispezione carceraria, per un mese presiede il Consiglio pubblico di Groznyj, ma il presidente ceceno Ramzan Kadyrov la “dispensa” dall’incarico. Due volte, dopo avere avuto una “conversazione” con il presidente ceceno che la minaccia personalmente, Natal’ja lascia per alcuni mesi la Russia, ma poi fa ritorno in Cecenia. La mattina del 15 luglio 2009 ignoti rapiscono Natal’ja Estemirova nei pressi della sua abitazione a Groznyj. Lo stesso giorno il suo cadavere viene ritrovato intorno alle tre di pomeriggio in Inguscezia, nella località di Gazi-Jurt. Il corpo di Natal’ja riporta ferite da arma da fuoco al torace e alla testa. Il funerale di Natal’ja Estemirova si tiene a Groznyj il giorno successivo. Partecipano centinaia di persone. I mandanti, gli organizzatori e gli esecutori dell’omicidio non sono ancora stati individuati. La versione ufficiale dell’istruttoria, grossolanamente prefabbricata, parla di “vendetta dei combattenti”. Natal’ja Estemirova sul ruolo dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani in situazioni di guerra: “Capisci che la forza è impari: la forza sta dalla parte dei cannoni e un giornalista ha solo l’arma della parola. E vedi che le persone hanno priorità differenti. I giornali e le persone istruite dicono che stiamo con i separatisti, con i combattenti, ma per gli abitanti dei villaggi di montagna la cosa importante è non essere ammazzati. Lo devo dire, sono una pacifista assoluta, sono contro la guerra in ogni forma, senza alcuna riserva. Sono contro l’avere un’arma in casa: di sicuro sparerà e di certo non salverà nessuno. Da noi il pacifismo non è popolare. E non lo è nemmeno la difesa dei diritti umani. Ma questo non significa che la situazione sia disperata. Lo ripeto, più di una volta nella mia esperienza ho visto che proprio la parola è stata più che efficace, soprattutto quando si sono unite le voci di giornalisti di provenienza diversa, di paesi diversi”.  

Leggi

8 luglio 2025. Perquisizioni e arresti per Revol’t Centr a Syktyvkar.

Ultimo aggiornamento al 10 luglio 2025. Come riferisce la testata indipendente 7×7 Gorizontal’naja Rossija, già il 10 luglio il tribunale di Syktyvkar ha rilasciato Dar’ja Černyšova, direttrice di Revol’t Centr, cui è stato tuttavia vietato di accedere alla sede di Revol’t Centr, comunicare con i testimoni del caso e con i collaboratori di Revol’t Centr e 7×7 Gorizontal’naja Rossija. Le è stato inoltre vietato l’utilizzo di Internet e telefono. * * * Ieri, martedì 8 luglio 2025, a Syktyvkar, capoluogo della Repubblica dei Komi nella Russia europea nordoccidentale, le forze dell’ordine hanno perquisito i collaboratori e i locali di Revol’t Centr, spazio culturale indipendente dedicato a Revol’t Pimenov, matematico e dissidente, tra i fondatori di Memorial Komi e del movimento Memorial stesso, scomparso nel 1990. È stata perquisita anche l’abitazione di Igor’ Sažin (nella foto), come Pimenov tra i fondatori di Memorial Komi. Sažin è stato prelevato e quindi interrogato in qualità di testimone. Inoltre, nel corso della mattina, attivisti, difensori dei diritti umani e giornalisti sono stati perquisiti e interrogati a Petrozavodsk, Kaliningrad, Novgorod, Irkutsk e Joškar-Ola: alcune di queste perquisizioni sembrano essere collegate a quella svolta presso Revol’t Centr. Così si è espresso Memorial Komi: Nella mattina dell’8 luglio 2025 le forze dell’ordine hanno effettuato perquisizioni ingiustificate nei confronti dei collaboratori dello spazio culturale indipendente Revol’t Centr a Syktyvkar. Non esiste alcuna spiegazione di carattere pubblico circa le motivazioni di queste perquisizioni. Riteniamo illecite tali azioni. Revol’t Centr è uno spazio culturale che ospita fiere del libro, conferenze di storia, mostre fotografiche e molto altro. Per tutti noi Revol’t Centr promuove i valori della libertà, della creatività e dell’amore per la nostra città! Condividiamo le parole di solidarietà, sostegno e gratitudine di Memorial: per noi Revol’t Centr è simbolo di libertà e intraprendenza nella terra del Gulag, simbolo di memoria e superamento delle difficoltà, ma anche simbolo di una natura fatta di erica, muschio e licheni. Come riportato dalla testata giornalistica indipendente Vot Tak, in seguito alle perquisizioni è stata arrestata Dar’ja Černyšova, direttrice di Revol’t Centr, accusata di avere violato le norme previste in quanto agente straniera. In realtà Černyšova non è mai stata iscritta nel cosiddetto registro degli agenti stranieri, ma nel 2023 è stato iscritto nel registro il portale d’informazione indipendente 7×7 Gorizontal’naja Rossija con il quale Černyšova ha collaborato fino al 2022. Contestualmente è stato avviato un procedimento per tradimento della patria nei confronti di Pavel Andreev. Andreev, oltre a essere uno dei creatori di 7×7 Gorizontal’naja Rossija e di Revol’t Centr, è anche uno degli attivisti di spicco di Memorial, essendo stato membro del consiglio direttivo di Memorial Internazionale fino alla sua chiusura imposta dal governo russo nel 2022. Il nostro collega al momento non si trova nella Federazione Russa.

Leggi