La guerra e l’università. Testimonianza di un professore russo, costretto a emigrare

Il sistema universitario statale in Russia si è già totalmente screditato; non ci sono più margini di miglioramento e non si capisce come ricostruirlo (o se sia davvero necessario), perché il virus putiniano lo sta penetrando sempre più in profondità.

(di AA, Programme Pause Fellow – Francia e socio di Memorial Italia)

22 febbraio 2023


 

A un anno dal 24 febbraio 2022 è giusto riflettere anche sul sistema educativo e universitario russo per capire come abbia fatto a trovarsi impreparato o, peggio, prono ai capricci di Putin e come ormai sia una struttura forse da ripensare in modo categorico e non statale per quando un giorno i russi si saranno liberati del tiranno che ha portato la Russia a un ennesimo baratro morale e politico. “Prima della guerra lavoravo in una delle più grandi e famose università di Mosca, che un tempo godeva della reputazione di essere ‘liberale’, ma che ora viene gestita da rappresentanti dell’FSB. Dopo il 24 febbraio, ho lavorato ancora per un mese prima di partire per l’Italia dove sono stato invitato come visiting professor. In seguito, a Mosca sono stato sospeso dall’insegnamento, secondo la versione non ufficiale (ma molto probabile), perché mi ero recato in un paese ostile. Da settembre non lavoro più nel sistema educativo russo”. 


È difficile descrivere i giorni successivi all’aggressione russa: mi mancano le parole e i concetti per dare un senso a quanto stava accadendo. Condanno inequivocabilmente la guerra iniqua contro l’Ucraina, sostengo il popolo ucraino e confido nella sua forza. Molto più problematico è il mio atteggiamento nei confronti della mia propria identità. Prima di tutto, resto convinto che occorra smettere di identificarsi con lo stato russo nel senso ampio dell’espressione (in fondo, non credo di essermi mai associato ad esso). Ovviamente, questa mossa non mi esime in alcun modo dalla responsabilità per ciò che è accaduto (posso giudicare la responsabilità solo nel senso individuale e personale, cioè parlare della “mia” responsabilità e non di quella di qualcun altro), ma pone piuttosto la prospettiva per l’ulteriore self-fashioning. Le cose che mi sembravano più importanti, anche in ambito professionale, hanno perso qualsiasi significato dopo il 24 febbraio. Inoltre, secondo il punteggio di Amburgo [il riferimento è a un aneddoto raccontato dal critico letterario Viktor Šklovskij; l’espressione si usa oggi per indicare il vero valore di una persona o una cosa, indipendentemente da condizionamenti contingenti, specialmente all’interno di una gerarchia – N.d.R.], ciò che penso non ha molta importanza: i russi che condannano la guerra provocheranno immancabilmente irritazione per la loro impotenza contro il regime, e la legittimità delle nostre dichiarazioni sarà sempre messa in discussione. Forse la cosa giusta da fare in questa situazione sarebbe rimanere in silenzio, non dire nulla, non scrivere nulla, ma l’esperienza e il mestiere dello storico suggeriscono che qualsiasi testimonianza è essenziale, se non altro perché ha il potenziale per diventare parte di un’analisi più ampia di quanto il mondo sia cambiato nel 2022.


Prima della guerra lavoravo in una delle più grandi e famose università di Mosca, che un tempo godeva della reputazione di essere “liberale”, ma che ora viene gestita da rappresentanti dell’FSB. Dopo il 24 febbraio, vi ho lavorato ancora per un mese prima di partire per l’Italia dove sono stato invitato come visiting professor. In seguito, a Mosca sono stato sospeso dall’insegnamento, secondo la versione non ufficiale (ma molto probabile), perché mi ero recato in un paese ostile. Da settembre non lavoro più nel sistema educativo russo.


Il 25 febbraio dovevo tenere un seminario (i seminari prevedono l’interazione tra studenti e docenti) nell’ambito di un corso sulla metodologia della storia dell’arte nel XX e XXI secolo. Quel giorno il compito era leggere un frammento di un’ottima monografia dello storico dell’architettura italiano Pier Vittorio Aureli, The possibility of an Absolute Architecture. Questo frammento era dedicato all’analisi di Venezia come città-arcipelago, ovvero uno spazio in cui non esiste un centro accentuato, mentre elementi architettonicamente diversi dialogano tra loro piuttosto che entrare in conflitto. Tenere questo seminario è stata la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare all’università. Sullo sfondo di una guerra mostruosa e della trasformazione della Russia in uno stato aggressore, discutere di questioni scientifiche sembrava impensabile. Inoltre, l’etica universitaria impone ai docenti di non esprimere apertamente le proprie opinioni politiche, poiché in classe possono esserci studenti con una visione diversa della vita politica. Gli studenti del nostro programma di studi avevano in genere una posizione nettamente contraria all’invasione russa, ma ho esitato a parlare della guerra. Mi è venuto però in soccorso proprio il testo da analizzare: abbiamo parlato di come dovrebbero essere strutturati i rapporti tra vicini diversi.


La sensazione di buio totale è stata rafforzata dal contesto esterno. Il rettore e l’amministrazione dell’università, com’era peraltro prevedibile, hanno sostenuto le azioni criminali di Putin. I nostri studenti hanno partecipato attivamente alle manifestazioni in piazza contro la guerra, molti di loro sono finiti in arresto e si sono rivolti alla direzione del programma per chiedere le cosiddette “caratteristiche” [ovvero le attestazioni che l’università rilascia agli studenti per il tribunale, per rendere la loro condanna meno severa, N.d.R.] per il tribunale. In genere, in questo periodo i giovani studenti si sono spesso rivolti ai loro insegnanti per avere consigli, poiché è venuto subito fuori che i loro genitori non potevano aiutarli: le madri e i padri di molti studenti approvavano la guerra. Due studenti hanno rischiato di essere arrestati dalla polizia per aver affisso volantini contro la guerra nei pressi dell’università; hanno tentato di rifugiarsi nell’edificio universitario, ma la polizia li ha braccati anche lì. Alla fine, una mia collega li ha nascosti dentro la sua macchina salvandoli così dall’arresto. Un altro studente è stato catturato per strada e detenuto in carcere per 10 giorni per essersi dipinto le unghie con i colori della bandiera ucraina. Ci sono stati diversi casi simili di proteste individuali da parte degli studenti. A un certo punto mi sono reso conto che non ero più fisicamente in grado di insegnare in una situazione del genere: le regole della libera comunicazione in un ambiente educativo erano state di fatto abolite, e non potevo proteggere gli studenti dalla repressione. La corrosione della cultura e della democrazia universitaria nel mio ateneo è iniziata molto tempo fa, certamente non il 24 febbraio: questa data è stata uno spartiacque dopo il quale non ho più potuto svolgere i miei compiti professionali. Nella primavera e nell’estate del 2022 quasi il 70% del personale docente ha lasciato il nostro programma, percentuale ulteriormente cresciuta quando altre persone che hanno lasciato l’incarico dopo l’annuncio della mobilitazione militare nel settembre 2022. Il programma di studi nella sua forma precedente non esiste più.


Allo stesso tempo, però, non si può ignorare che il problema della partenza o della permanenza in Russia non è di facile soluzione. Col passare del tempo è diventato evidente che molti docenti e studenti che pure non hanno accettato la guerra sono stati costretti da varie circostanze a rimanere nel paese e a continuare il lavoro e gli studi. Molti colleghi che ora lavorano nelle università russe percepiscono la loro causa come un tentativo di salvare le ultime vestigia di un’istruzione di qualità, come una specie di missione: resistere all’assalto dell’oscurantismo e dell’ignoranza. Una posizione del genere, a mio avviso, merita tutto il rispetto e il sostegno. Naturalmente, ci sono anche altri casi: molti colleghi, infatti, fanno finta di niente e lavorano con lo stesso zelo di prima. L’accettazione più o meno passiva della politica di Putin sta gradualmente diventando pervasiva. In ogni caso, una cosa è chiara: nonostante il coraggio degli insegnanti consapevoli del fatto che questi sono tempi cupi, che impongono loro nuovi obblighi, la qualità dell’istruzione superiore russa si deteriorerà rapidamente. In Ucraina, quando la guerra sarà finita, le università diventeranno importanti centri intellettuali, svolgendo un ruolo cruciale nel ritorno alla normalità e nella ricostruzione del paese. In Russia, il sistema universitario statale si è già totalmente screditato; non ci sono più margini di miglioramento e non si capisce come ricostruirlo (o se sia davvero necessario), perché il virus putiniano lo sta penetrando sempre più in profondità.


L’unica via d’uscita che mi sembra ragionevole è la seguente: a) come ho già detto, staccare l’educazione dallo stato, smettere di pensare al mondo in termini “statali”: questo aveva poco senso prima e ne ha ancora meno ora; b) porre la riflessione sulle cause e sulle conseguenze dei mostruosi crimini del regime di Putin e l’analisi della reazione della società russa alla guerra al centro della nostra attività intellettuale (anche in termini di responsabilità culturale, ma non certo nella chiave anacronistica di chi cerca di “incolpare” Puškin o Dostoevskij per ciò che Putin e il suo entourage stanno facendo); c) cercare il dialogo tra chi è partito e chi è rimasto, cioè tra tutti coloro che non accettano la guerra, mettendo da parte il moralismo, le infinite recriminazioni reciproche e la predicazione a buon mercato, sostenendo i colleghi e gli amici ucraini, ma anche tutti coloro che continuano a studiare la cultura russa in tutta la sua complessità. Come ho cercato di dimostrare, la modernità ci pone spesso di fronte a un insieme di aporie che in linea di principio non hanno una soluzione “giusta”. Al momento, tuttavia, mi trovo di fronte a un problema diverso: fino al 24 febbraio la cultura russa ha costituito il centro della mia vita professionale e, di fatto, è così ancora adesso, ma ciononostante non posso fare a meno di chiedermi in quali termini si possa pensare ad essa in questo momento.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Udine, 10 aprile 2025. “La mia vita nel Gulag” di Anna Szyszko-Grzywcz.

Mi schiacciai contro la parete di neve e tra me e me non facevo che invocare la Santissima Vergine affinché mi salvasse. Mi strinsi il più possibile il bušlat al corpo. Arrivò la locomotiva e i bulloni delle bielle mi strattonarono. Rimasi in piedi. Di nuovo. E ancora un po’ di volte. Ma continuavo a restare in piedi. Alla fine però mi agganciò il predellino, i gradini mi portarono via, mi trascinarono con sé e mi sbatterono contro una leva dello scambio. Fu allora che il bušlat non resse e si lacerò. A quel punto sono svenuta. All’improvviso sento delle grida: inizio a riprendere conoscenza. Non so quanto sia du­rato. Wanda, quando si accorse che non c’ero più, aveva iniziato a cercarmi disperatamente: “Hanka! Dov’è Hanka?”. Alla fine mi tro­varono. Giovedì 10 aprile 2025 alle 17:30 presso la libreria Feltrinelli di Udine (via Paolo Canciani 15, Galleria Bardelli) si tiene la presentazione del volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, compreso nella collana Narrare la memoria, curata da Memorial Italia per Edizioni Guerini. L’ingresso è libero. Interviene Luca Bernardini, curatore del volume. Moderano Roberta De Giorgi ed Emiliano Ranocchi dell’Università degli Studi di Udine.

Leggi

Modalità e strumenti della propaganda russa. Approfondimenti.

Segnaliamo tre articoli che analizzano e aiutano a comprendere meglio le modalità e gli strumenti utilizzati dalla propaganda russa per seminare incertezza, disinformazione e caos anche ben oltre i confini nazionali. Per Affari internazionali Matteo Pugliese offre un’analisi approfondita delle strategie online della propaganda russa e delle sue “fabbriche di troll”, sorte all’interno di vere e proprie aziende che hanno l’obiettivo di “inquinare l’informazione occidentale”: Il Cremlino appalta la disinformazione ad aziende private russe come SDA. Valigia blu commenta un recente articolo pubblicato su The Hill da Alan J. Kuperman contrapponendo fatti e fonti alle tesi dell’autrice secondo cui “gli ucraini e Joe Biden e non solo Putin hanno responsabilità significative per lo scoppio e il perdurare della guerra in Ucraina”: La guerra in Ucraina e l’articolo di Kuperman: quando la disinformazione si maschera da analisi. Per il nostro spazio su Huffington Post on line Simone Zoppellaro propone un importante approfondimento sulle strategie di manipolazione e disinformazione russe messe in atto in Germania per “seminare divisioni sociali e politiche che mirano a destabilizzare Berlino e l’Europa”: Creare il caos. Le campagne di disinformazione russe in Germania. Ricordiamo che è disponibile online sul nostro canale YouTube la registrazione dell’incontro La guerra ibrida russa in Italia? Analisi del fenomeno con Matteo Pugliese tenutosi di recente a Bologna.

Leggi

Trento, 2 aprile 2025. Ucraina: le antiche radici della guerra attuale.

‘Le storie di Kyiv, la città in cui sono nata, sono storie drammatiche. Se guardo all’indietro per collegare la situazione odierna con il passato, sulla base di libri e documenti, usando le storie della mia famiglia, mi rendo conto che il passaggio da un’epoca all’altra può essere rappresentato in alcuni luoghi di Kyiv come su un palcoscenico teatrale. Sarà sempre illuminato da luci grandiose e fatali. Racconteremo di una zarina che scendeva la scala del suo palazzo, situato su un’alta collina, per organizzare il salvataggio dell’impero russo. Parleremo del geniale scrittore che immaginò di far esplodere una bomba proprio sul belvedere da cui scendeva la zarina. Seguiremo la coraggiosa missione di un’eroina che penetra nel bunker di Putin per convincerlo a fare harakiri’. Kyiv. Una fortezza sopra l’abisso di Elena Kostioukovitch è un viaggio nell’anima della capitale ucraina, che intreccia la storia della città, incastonata nel cuore d’Europa, e quella dell’autrice, partita da Kyiv seguendo la passione per la letteratura. Le pagine di Gogol’ e Bulgakov si mescolano ai ricordi di famiglia, i boulevard di Kyiv attraversano i secoli, le guerre di ieri e quella di oggi, le piazze brillano di vita e bruciano sotto le bombe, come a espiare la condanna di una città eternamente assediata. Elena Kostioukovitch firma un libro prezioso che ci pone davanti alla complessità di un paese, alle sue luci come alle sue ombre, alle diverse voci che da secoli ne animano la cultura, alla forza di un popolo che non si è mai arreso. Mercoledì 2 aprile 2025 alle 17:30 la Biblioteca-Archivio del CSSEO, Centro Studi sulla Storia dell’Europa Orientale di Levico Terme, in collaborazione con la casa editrice La nave di Teseo, organizza nella Sala conferenze della Fondazione Caritro di Trento (via Calepina 1) l’incontro Ucraina. Le antiche radici della guerra attuale in occasione della pubblicazione del volume Kyiv. Una fortezza sopra l’abisso della nostra Elena Kostioukovitch. Massimo Libardi e Fernando Orlandi discutono con l’autrice. È possibile seguire l’incontro on line tramite piattaforma Zoom: https://us02web.zoom.us/j/83908786033.

Leggi