Bollettino della Russia che resiste, 05-11 marzo 2023

Notizie e fotografie raccolte e riportate da volontari di Memorial.

Le notizie riportate in questo Digest sono state raccolte е tradotte da volontari di Memorial

Seguito della storia di Maša Moskaleva

La scritta sul foglio nella foto dice: “Sono contro la guerra!”

Il personale del centro in cui si trova Maša Moskaleva non le dà il telefono per chiamare il padre. Neanche alla deputata Ol’ga Podol’skaja e a una volontaria è stato dato il permesso di vederla. Lo riferisce l’avvocato Vladimir Bilienko, che rappresenta il padre della bambina. Dall’1 marzo non c’è stato nessun tipo di contatto con Maša. Nel frattempo, la Commissione per i minori ha avviato un’azione legale per limitare i diritti genitoriali del padre della 13enne di Tula. Il processo è iniziato il 15 marzo, l’udienza è stata fissata al 6 aprile.

Maša è finita in orfanotrofio dopo che suo padre, Aleksej Moskalev, è stato arrestato per diffamazione dell’esercito russo e messo agli arresti domiciliari. Nell’aprile del 2022 il preside della scuola dove studiava la bambina aveva chiamato la polizia per un disegno contro la guerra che Maša aveva realizzato durante una lezione di arte.

Picchetti

A Voronež hanno arrestato Viktorija Kočkasova per aver tenuto un picchetto con un cartello contro la guerra che diceva “Buona festa delle donne, care signore” accanto al monumento al poeta Ivan Nikitin.

A Nal’čik Pavel Ulibegov è stato incarcerato per cinque giorni (per “diffamazione dell’esercito” e “resistenza a pubblico ufficiale”) per aver tenuto un picchetto con il cartello “No alla guerra”.

L’8 marzo a Mosca davanti al palazzo del Telegrafo Ol’ga Demidova è stata arrestata per aver tenuto un picchetto con un cartello che diceva “Non ci servono fiori. Ci serve la pace!”. L’attivista ha spiegato che con la sua azione voleva far riconsiderare la festa della donna nelle circostanze attuali.

A Samara Vladimir Avdonin è stato condannato al pagamento di una multa di 45 mila rubli (556 euro, circa tre volte il salario minimo) per diffamazione dell’esercito russo perché il 24 febbraio aveva tenuto un picchetto con il cartello “No al terrore di Putin!”.

A Ufa il tribunale ha multato il 24enne Klim Ptašynskij per 30 mila rubli (370 euro, circa il doppio del salario minimo) per diffamazione dell’esercito russo.

Ptašynskij è stato arrestato il 13 gennaio con il cartello “Fermate l’invasione dell’Ucraina” fuori dalla sala delle udienze del presidente della Federazione russa, il giorno in cui Putin era in visita a Ufa.

Altre forme di “diffamazione”

L’opera dell’artista Leša Burston in via Borovaja a San Pietroburgo: “Diffamazione delle forze dell’amore!”

A Ufa la polizia ha arrestato Kirill Rusakov a causa di alcuni adesivi e scritte contro la guerra sul suo pianerottolo.

Nella vetrina della libreria indipendente di San Pietroburgo “Vse svobodny” (Liberi tutti) è comparso un foro, presumibilmente di un proiettile. A provocare questa reazione violenta sarebbe stata la scritta “Pace al mondo” sulla vetrina. “Non riusciamo a credere che ci siano persone che si oppongono con tanta forza all’idea di vivere in pace”, ha commentato il personale.

Machmud Achmedov, residente nel distretto Neftekumskyj di Stavropol’, è stato multato per 30.000 rubli (370 euro, il doppio circa del salario minimo) per l’immagine profilo in WhatsApp. Il tribunale ha concluso che l’immagine pacifista nel profilo di Achmedov, insieme alla didascalia che riporta, diffamino l’esercito russo.

Il tribunale distrettuale Nevskij di Pietroburgo ha imposto ad Andrej Makedonov il pagamento di una multa di 30.000 rubli (370 euro, il doppio circa del salario minimo) per diffamazione dell’esercito, per aver scritto “No alla guerra” sulla bacheca all’ingresso del suo condominio.

Il tribunale regionale di Volgograd ha condannato la blogger ventenne Tusja (Natal’ja Zemljanuchina) al pagamento di una multa di 10.000 rubli (circa 125 euro,  equivalente a due terzi del salario minimo) per incitamento all’odio e alla violenza. La ragazza aveva pubblicato su un canale Telegram alcuni screenshot di una sua conversazione con un’amica ucraina.

Mosca, Arbat, scritta sul Muro di Coj (ricoperto di graffiti dedicati al cantante Viktor Coj): “Fanculo la guerra! 23.02.23”.

Il tribunale cittadino di Pjatigorsk ha condannato Elena Kabakova, docente di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, matematica e sicurezza dell’informazione alla locale Università Statale, al pagamento di una multa di 30.000 rubli (370 euro, il doppio circa del salario minimo) per diffamazione dell’esercito. Durante una lezione, la donna aveva mostrato una fotografia dei suoi parenti che vivono in Ucraina, e aveva affrontato il tema della guerra con uno studente il cui patrigno è stato mobilitato. Sul sito del tribunale sono riportate queste frasi di Kabakova: “Perché andare in Ucraina a uccidere civili? Se io sono qui possono sparare contro di me”; “Avrebbe fatto meglio a scontare 10 anni per renitenza alla leva, piuttosto che andare a uccidere dei civili”.

Contro Dmitrij Boev di Vladikavkaz è stato avviato un procedimento amministrativo per un post sul social russo “Odnoklassniki” in cui, secondo la Corte, l’uomo avrebbe paragonato la lettera Z alla simbologia del Terzo Reich. Boev era già stato multato a febbraio.

Il tribunale regionale di Tula ha multato Irina Terechova per un totale di 41.500 rubli (circa 500 euro, più di due volte e mezzo il salario minimo) a causa di alcuni suoi commenti su Odnoklassniki (“diffamazione dell’esercito”).

Contro Vladimir Ljubimov, deputato del Partito Comunista nella Duma regionale di Ivanovo, è stato avviato un procedimento amministrativo per diffamazione dell’esercito a causa di un post su “Vkontakte” nel quale era raffigurata la bandiera russa con la scritta “moGilizacija (gioco di parole tra moGila, tomba, e moBilizacija, mobilitazione) degli uomini, vedovizzazione delle donne, orfanizzazione dei bambini”.

Nell’area partenze dell’aeroporto Vnukovo di Mosca è stato arrestato il regista e professore di arti cinematografiche Artur Aristakisjan. È stato portato via dalla polizia, che ha confiscato i suoi effetti personali e il suo cellulare. Dal momento dell’arresto non è più stato possibile comunicare con lui. Di recente erano stati pubblicati alcuni post sull’Università Internazionale di Mosca, uno degli istituti dove insegna Aristakisjan, nei quali docenti e quadri dirigenti venivano accusati di propaganda antipatriottica. E in sua assenza la polizia aveva cercato di introdursi nel suo appartamento di Aristakisjan.

Graffito contro la guerra in un ascensore di Mosca: “Guerra Putin”.

Il diritto di non uccidere

20 militari russi della 126ª brigata dellе truppecostiere della Flotta del Mar Nero hanno chiesto il congedo per obiezione di coscienza, ma gli è stato rifiutato.

Denis Vasil’ev, medico militare della regione di Murmansk e tenente medico, si è rifiutato di andare in Ucraina ed è stato perseguito penalmente per essersi rifiutato di prendere parte alle operazioni militari (dai 2 ai 3 anni di reclusione).

Evgenij Ljubenko, obiettore di coscienza e veterinario di San Pietroburgo, ha raccontato che ha evitato la mobilitazione facendo domanda di servizio alternativo, ma è stato licenziato dal lavoro.

Azioni “mirate”

A Novosibirsk è stato incendiato un punto di raccolta aiuti per i mobilitati.

Un mobilitato ha minacciato di far esplodere una granata (che si è scoperto essere finta) nel commissariato militare di Domodedovo.

Un’abitante di Anapa ha cercato di incendiare la filiale di una banca gridando “Gloria ai soldati ucraini”. La donna è stata arrestata, contro di lei è stato redatto un verbale per atti vandalici.

In una base aerea della città di Artёm (territorio del Litorale) ignoti hanno bruciato un aereo militare SU-27.

In Buriazia ignoti hanno danneggiato un tratto ferroviario.

Un cartello nel parсo della Rivoluzione del 1905 a Ivanovo: “Zorro ha completamente perso la testa” (“Zorro” è scritto con la lettera latina Z, simbolo della propaganda ufficiale pro guerra).

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Dmitrij Muratov: “Per favore, scambiate i civili”.

Pubblichiamo in italiano il testo del recente intervento di Dmitrij Muratov, direttore di Novaja Gazeta e premio Nobel per la pace 2021, pubblicato il 25 maggio scorso e indirizzato ai presidenti della Federazione Russa e dell’Ucraina. La traduzione è di Elena Kostioukovitch. Ma guardate che manca poco, credo che presto nel nostro Paese inizieranno a celebrare solennemente la Giornata del boia. I boia riceveranno complimenti, regali, sfileranno tutti orgogliosi nelle loro uniformi da parata. Oggi vi parlerò dei torturatori incaricati dallo Stato. Nel mio Paese è ricomparsa la figura del professionista della tortura, del carnefice. Nell’anno dell’ottantesimo anniversario della vittoria sul fascismo in Russia è tornato il fabbisogno dei carnefici al servizio dello Stato. Chissà se saranno tutti bravi abbastanza… Magari c’è bisogno di facoltà in cui, in aule insonorizzate, si terranno corsi di formazione dove saranno insegnate e applicate, per esercizio, tutte le sevizie, anche storiche, inflitte dall’Inquisizione e dalla Gestapo. I migliori allievi saranno inviati al comando del ministro della giustizia Chujčenko, mentre i peggiori della classe, capaci solo di violentare la gente con il manico della scopa, finiranno nei commissariati di polizia. Una volta il grande scrittore Vladimir Vojnovič mi raccontò di aver incontrato un uomo che nel 1937 era stato prigioniero dell’NKVD e nel 1942 prigioniero della Gestapo. Alla domanda su chi torturasse più ad arte, disse: “Torturavano in ambedue i posti bene, ma c’era una differenza”. Che differenza? “Quelli della Gestapo volevano estorcere ciò che io non volevo dire. Quelli dell’NKVD non avevano bisogno di nulla. Torturavano semplicemente per farlo, e basta”. Questa differenza è semplice e agghiacciante. Le torture inflitte a persone indifese nei centri di detenzione, nei tribunali e nelle prigioni russe servono solo a dimostrare che ogni carnefice esegue ogni ordine che riceve. Torturando, esprime la sua lealtà al Paese e la sua disponibilità a fare qualsiasi cosa per esso. Non senza, ovviamente, provare un certo piacere. Vi racconterò brevemente un po’ di storie. Alcune di esse vi saranno sicuramente note, altre forse le avete dimenticate. Ve le devo rifare presenti, perché a un certo punto smettiamo di prestare l’orecchio alle urla che provengono dalle camere di tortura e dalle aule di tribunale. Proprio come un tempo, negli anni Quaranta del secolo scorso, gli abitanti del villaggio di Dachau non prestavano attenzione all’odore che proveniva dai forni crematori. Uno di loro scrisse nelle sue memorie: “Pensavamo che l’aria dovesse avere quell’odore. Che ci potevamo fare? Era l’odore della nostra patria. Ci eravamo abituati”. Igor’ Baryšnikov, prigioniero politico, pensionato di Kaliningrad, è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione per avere “diffuso notizie false sull’esercito russo”. Ha il cancro, ha la sonda della gastrostomia che gli esce fuori dalla pancia, non può né stare seduto né sdraiato, riesce a malapena a camminare. Per due anni non l’hanno operato e quando finalmente l’hanno fatto sono iniziate gravi complicazioni. Baryšnikov è pressoché cieco, ha già perso la vista da un occhio e quella dell’altro sta peggiorando rapidamente. Quando era libero, Igor’ si prendeva cura della madre anziana e costretta a letto. Quando è morta, lui era in carcere. La giudice, che si chiama Ol’ga, cognome Balanina, gli ha rifiutato il permesso di poche ore per andare al funerale. Vi ho detto il cognome della giudice, vero? Questa persona si chiama Ol’ga Balanina. Andrej Šabanov, 45 anni. È un sassofonista, musicista, viveva a Samara. La sua condanna è per aver pubblicato sui social network alcuni post contro l’”operazione militare speciale”. La condanna ammonta a sei anni (“incitamento all’attività terroristica”). È invalido di seconda categoria, gravemente malato, affetto da psoriasi. Sta letteralmente marcendo vivo. Šabanov si è spogliato in tribunale, ecco la foto, ha chiesto di essere rilasciato in aula, il suo corpo è coperto di piaghe. Il giudice Dmitrij Anan’ev non ha resistito a questo spettacolo e, per non assistere alla scena, ha ordinato che l’imputato fosse riportato in carcere. Nadežda Bujanova, della quale ho già parlato. È una dottoressa di 67 anni, pediatra. È stata denunciata dalla madre di un paziente, secondo la quale la Bujanova avrebbe parlato male del padre del bambino, caduto nel “servizio militare volontario”, e che ciò sarebbe avvenuto in presenza del figlio. In realtà, a giudicare dalle telecamere, il bambino non era nello studio. Non è stata registrata l’audio della visita. Ma quando il bambino di sette anni è stato interrogato da un agente operativo dell’FSB, ha reso una testimonianza in cui, usando parole da adulto e formulazioni tratte dal codice penale, ha spiegato come la dottoressa Bujanova (a parole di quel bambino) “avesse diffuso pubblicamente informazioni palesemente false sulle forze armate della Federazione Russa”. Il bambino non è stato chiamato in tribunale. Bujanova è stata rinchiusa in un centro di detenzione preventiva. Un “attivista patriottico” le ha portato come “dono alimentare” in carcere trenta chili di sale in una spedizione unica, in modo da esaurire il limite delle consegne mensili e lasciarla senza vitamine e cibo. Ora Bujanova è stata condannata. Onestamente, ero sicuro che l’avrebbero lasciata uscire con una multa o una condizionale, la vecchia dottoressa, l’unica non fumatrice costretta a stare in una cella con trenta fumatrici. Ma le hanno dato cinque anni e mezzo di colonia penale. Oleg Belousov, di San Pietroburgo. È anche lui disabile. È stato accusato di “diffusione di notizie false sull’esercito russo” e arrestato. Poi è stato condannato a cinque anni e mezzo di campo. Però lo hanno qualificato come “incline alla fuga”. Cosa significa? Significa che nel corso di ogni notte, diverse volte, a intervalli di due ore, lo svegliano per controllare la sua identità, puntandogli una luce forte nella faccia e obbligandolo a presentarsi. Si creano sofferenze non solo a lui, ma a suo figlio, un ragazzo di 22 anni, che è un disabile mentale. Non ha nessuno oltre a suo padre. Gli investigatori hanno trovato un modo ideale per fare pressione su Belousov. Il figlio è stato fatto passare come testimone nel processo contro il padre. E poiché il figlio è ormai testimone, su questa base, ascoltate!,

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Trenta anni prima: un progetto del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial.

Per provare a capire come e perché la Russia postsovietica si sia trasformata in una dittatura il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial promuove il progetto Trenta anni prima. In Russia la dittatura è eterna? Come hanno fatto a distruggere la libertà di parola in Russia? Perché la Russia non è diventata una democrazia? Come è possibile che Vladimir Putin sia ancora al potere? Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha avviato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina e l’eco di numerose domande ha ripreso a risuonare. È possibile trovare una risposta? Il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial pensa di sì. Nel 2023 il Centro ha compiuto trent’anni. La data è convenzionale: Memorial ha iniziato molto prima a difendere i diritti umani. Il punto di riferimento è l’aprile del 1993, quando fu adottato lo statuto dell’associazione. Ricordiamo che nell’aprile del 2022 le autorità russe hanno chiuso in via definitiva il Centro. Gli attivisti tuttavia hanno ricostituito l’associazione, continuando a portare avanti il loro prezioso lavoro. La Russia postsovietica ha quasi la stessa età del Centro Memorial. Sotto lo sguardo e con la partecipazione degli attivisti di Memorial la Russia è cambiata: la dittatura sovietica è diventata una giovane democrazia e si è poi trasformata in una nuova dittatura. I collaboratori di Memorial sono stati non solo testimoni, ma anche attori degli eventi storici più determinanti della Russia contemporanea. L’attualità per loro è stata storia, una storia che hanno voluto descrivere e documentare. E adesso hanno molto da raccontare. È questo lo spirito che anima il progetto Trenta anni prima. Con la collaborazione di media indipendenti, difensori dei diritti umani, esperti e rappresentanti della società civile i collaboratori del Centro Memorial intendono affrontare le numerose e importanti questioni che riguardano la Russia postsovietica. Tentano di comprendere che cosa abbia condotto all’attuale regime. Cercano di spiegare come sia stato possibile distruggere le libertà dei cittadini russi, come sia potuto accadere che quegli stessi cittadini abbiano rinunciato alle proprie libertà e come sia stato perseguito chi ha tentato di difenderle. Ottobre 1993: come è iniziata la “piccola guerra civile” a Mosca? Siamo nel 1993 quando a Mosca si parla di “piccola guerra civile”. Per molti osservatori i fatti del 3-4 ottobre 1993 segnano il momento dell’autodistruzione di una nascente democrazia nella Russia post-sovietica e della sua trasformazione in uno stato autoritario. Il conflitto tra il presidente Boris El’cin e il Soviet Supremo, iniziato il 21 settembre, raggiunge il culmine nella prima settimana di ottobre, provocando proteste, scontri, attacchi agli uffici del sindaco di Mosca e al centro televisivo di Ostankino e alla fine l’assalto della Casa Bianca russa da parte dell’esercito. Il Centro Memorial ha chiesto ad Aleksandr Čerkasov, membro del consiglio direttivo dell’associazione, di parlare degli avvenimenti dell’ottobre 1993. A Mosca nell’autunno del 1993, tra il 21 settembre e il 4 ottobre, le vittime sono 158, i feriti 423, più di venti persone risultano disperse. La successiva “riforma costituzionale a tappe” attribuisce al presidente Boris El’cin poteri estremamente ampi. Gli accadimenti del 1993 costituiscono il prologo della prima guerra cecena e delle guerre successive. Quanto accade oggi in Ucraina fa parte della stessa catena di eventi. Dal federalismo a uno stato unitario autoritario? Negli anni Novanta la maggior parte delle repubbliche etniche sceglie di continuare a far parte della Federazione Russa, avendo ottenuto dal Cremlino la promessa di poter godere di sovranità ed economia indipendente e della possibilità di crescere senza doversi guardare le spalle dal governo federale. A trent’anni di distanza comprendiamo che quegli accordi hanno avuto vita breve: le repubbliche sono state integrate nella cosiddetta verticale del potere e private di poteri reali, diventando solo simbolicamente differenti dalle altre regioni della Federazione Russa. Nell’ambito del progetto Trenta anni prima la testata giornalistica indipendente russa Vërstka ripercorre le vicende che hanno condotto la Federazione Russa, intenzionata a diventare una federazione democratica, a trasformarsi in uno stato unitario autoritario. Darja Kučerenko ha parlato con attivisti, giornalisti, linguisti, storici e politologi provenienti da Baškortostan, Čuvašija, Burjatija. Prendendo spunto dall’esempio offerto da queste repubbliche, si analizza come il federalismo proposto negli anni Novanta abbia subito graduali restrizioni. Da sinistra a destra durante un incontro in Tatarstan nel giugno del 2000: Murtaza Rachimov, presidente della repubblica del Baškortostan; Mintimer Šajmiev, presidente della repubblica del Tatarstan; Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa; Farid Muchametšin, presidente del parlamento della repubblica del Tatarstan; Kamil Ischakov, sindaco della città di Kazan’. Perché la Russia non rispetta i diritti umani nei conflitti armati? La prima pubblicazione del progetto è dedicata ai crimini di guerra che negli ultimi trent’anni l’esercito della Federazione Russa ha commesso e continua a commettere in Cecenia, Siria e Ucraina. Il report Trent’anni di crimini di guerra della Russia è disponibile on line in russo, inglese, francese e arabo. Negli ultimi trent’anni Memorial è stata attiva in numerose zone di guerra, documentando le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra commessi dall’esercito della Federazione Russa. Attualmente l’esercito della Federazione Russa commette crimini atroci in Ucraina. I nomi delle città ucraine in cui i militari russi hanno torturato e ucciso, “filtrato” e stuprato sono noti a tutti. Di numerosi altri crimini non si ha ancora notizia, ma solo perché la guerra non è finita. I collaboratori del Centro tuttavia conoscono bene le guerre cui la Russia ha preso parte negli ultimi trent’anni. Prima di Mariupol’ ci sono state le rovine di Aleppo e di Groznyj. Le stragi impunite di civili ceceni a Samaški e Novye Aldy hanno condotto all’incubo di Buča. I “campi di filtraggio” sperimentati dai cittadini di Mariupol’ sono gli eredi del “sistema di filtraggio” utilizzato in Cecenia. Perché l’invasione su vasta scala dell’Ucraina è stata definita dalle autorità “operazione militare speciale”? Non è la prima volta che le autorità della Federazione Russa nascondono la guerra dietro formulazioni astruse. Il Centro Memorial intende descrivere cosa sia realmente accaduto nel corso delle “operazioni militari” degli ultimi trent’anni e come tali eventi abbiano condotto all’attuale guerra in Ucraina. Durante la

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Padova, 5 giugno 2025. Student Advocacy Day. Academic Freedom and Belarus: storytelling and advocacy.

Si tiene giovedì 5 giugno 2025 dalle 9:00 alle 17:30 presso il Complesso Beato Pellegrino (via E. Vendramini 2) dell’Università degli Studi di Padova lo Student Advocacy Day, quest’anno dedicato alla situazione della libertà accademica in Belarus. L’incontro Academic Freedom and Belarus: storytelling and advocacy è l’appuntamento conclusivo dello Scholar at Risk Student Advocacy Seminar dell’Università di Padova, tenuto da Claudia Padovani e Francesca Helm. Le/i partecipanti hanno avuto modo di studiare il caso delle loro colleghe e dei loro colleghi che in Belarus hanno subito persecuzioni da parte del regime di Lukašenkaù, brutali pestaggi e torture fisiche e psicologiche nelle carceri. Nella giornata conclusiva saranno presentati i risultati del lavoro e saranno ascoltate le testimonianze di studentesse e studenti bielorussi perseguitati. Il pomeriggio sarà dedicato invece all’editoria e alla letteratura, con la testimonianza di Ihar Ivanou di Skaryna Press, casa editrice bielorussa costretta a operare all’estero. Sarà presentata l’antologia di poesia bielorussa tradotta in italiano Il mondo è finito e noi invece no, curata dalla nostra presidente Giulia De Florio, i nostri Alessandro Achilli e Massimo Maurizio insieme a Dmitrij Strocev e Maya Halavanava, con la presenza della poetessa Hanna Komar. Infine, studentesse e studenti dell’Università di Padova terranno un reading di poesia bielorussa.

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