Garofani per i morti in Ucraina. Artem, 17 anni, russo, multato e minacciato

"Sapevo quello che rischiavo, ma non potevo restare indifferente". Lo studente è stato fermato e condannato a pagare 20 mila rubli per aver deposto, insieme a quattro amici, dei fiori. "A scuola sono dalla mia parte, i miei genitori no, girano con la Z sulla macchina".


08 giugno 2023 
alle 10:23


Proponiamo in questo articolo un approfondimento della nostra rubrica “Bollettino dalla Russia che resiste”, grazie a un’intervista del 31 marzo 2023, pubblicata in originale su sibreal.org (la cui redazione ringraziamo per l’autorizzazione alla traduzione italiana, curata per noi da Damiano Rebecchini), al coraggioso diciassettenne russo Artem Sacharov – sostenuto dai compagni di scuola ma non dalla famiglia – punito per aver commemorato con dei fiori tutte le vittime civile della folle guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina.


La scorsa settimana uno studente di 17 anni di Barnaul, Artem Sacharov, è stato multato della somma di 20.000 rubli per aver pubblicamente commemorato i civili uccisi nella guerra contro l’Ucraina. Insieme a quattro amici ha portato dei fiori nella piazza centrale del capoluogo della regione dell’Altaj e li ha deposti vicino a delle cornici sulle quali era scritto: “A tutte le vittime…”, “24.02.2022”, “Più di 7000 civili sono morti dall’inizio della guerra”.


Il 24 febbraio i ragazzi sono stati fermati dalla polizia. Un mese dopo, il 23 marzo, un tribunale ha dichiarato Artem Sacharov colpevole di aver organizzato una protesta non autorizzata.


Piazza dei Sovet a Barnaul
Piazza dei Sovet a Barnaul (Foto: Aleksej Bondarenko. , CC BY-SA 3.0) )


“L’unica cosa che mi dispiace è che la nostra commemorazione sia durato troppo poco e che la gente sia stata privata della possibilità di deporre fiori e onorare la memoria di chi ha perso la vita per la guerra,” ha commentato lo studente. Dopo 24 ore era stata già raccolta la somma necessaria per pagare la multa.


“Ci hanno interrogato e fatto pressioni per diverse ore. Per tutto quest’anno di guerra io e il mio gruppo di amici, vedendo l’orrore di quello che sta succedendo in Ucraina, abbiamo provato dolore e paura per i civili che sono stati feriti o uccisi. In questo periodo qui, in Russia, la protesta in quanto tale è stata ridotta praticamente a zero. Non c’è stato modo di protestare senza rischiare di essere arrestati e condannati.”


“Per l’anniversario della guerra abbiamo deciso che dovevamo comunque reagire in qualche modo, dimostrare che non siamo indifferenti, che siamo contrari. Ho proposto alla mia ragazza e a un paio di amici del nostro circolo letterario di creare un monumento alle vittime nel centro di Barnaul.”


Abbiamo deciso che dovevamo opporci in qualche modo alla crudeltà di questo Stato. Abbiamo deciso che ci saremmo opposti, manifestando tutta la nostra solidarietà, empatia, esprimendo il nostro dolore e commemorando i civili morti durante quest’anno di conflitto”.


Come sono andate le cose?


Siamo arrivati in cinque in Piazza dei Sovet, abbiamo messo le nostre cornici, deposto i garofani, siamo riusciti a restare là per 20 minuti. C’erano dei passanti che si sono avvicinati, ci hanno fotografato. Alcuni passanti hanno deposto anche loro dei fiori.


Come è potuto succedere? Non ne avevate dato notizia su internet?


No, pensavamo di fare quest’azione solo per noi. Ma in piazza dei Sovet anche quando fa brutto tempo passa sempre un sacco di gente. All’inizio è passata una donna che ci ha guardato e poi poco dopo è ritornata. Là vicino, a due passi c’è un negozio di fiori, e lei è tornata con dei fiori, ha deposto i suoi garofani, sarà rimasta là di fronte qualche minuto e poi se n’è andata. E gli altri hanno fatto lo stesso, anche una donna, un uomo, gente che passava per caso di là. Altri si sono solo avvicinati, c’era chi faceva una fotografia, chi semplicemente stava un po’ là. Comunque la nostra commemorazione ha attirato una certa attenzione fra la gente.


Poi sono arrivati gli agenti di polizia, ci hanno detto quel che ci dovevano dire e ci hanno chiesto di seguirli. All’inizio ci hanno detto che non ci avrebbero fermato, che ci portavano via in modo che rilasciassimo una dichiarazione scritta. Ma ci hanno detto che dovevamo togliere il nostro monumento: “Prendete i fiori, le scritte, e venite con noi”.


Gli abbiamo chiesto apposta: “Per quale ragione ci tenete in stato di fermo?” Ci hanno risposto: “Non siete in stato di fermo, rilasciate la vostra dichiarazione e ve ne potete andare”. Ci hanno portato al commissariato del quartiere Ferrovia e ci hanno interrogato per alcune ore. E poi mi hanno fatto il verbale.


Per quante ore siete stati in stato di fermo?


Ci hanno preso alle quattro e mezza e siamo tornati a casa più o meno verso le nove.


Cosa vi hanno chiesto esattamente?


“Perché avete voluto fare quest’azione?” Ci hanno chiesto quale fosse la nostra posizione sulla guerra in Ucraina. Ci hanno chiesto se facevamo parte di qualche organizzazione, tipo “Vesna”. Ci hanno minacciato di rovinarci la vita: “Niente studi, niente” (Artem frequenta l’ultimo anno di scuola superiore). Ci hanno quasi minacciato di accusarci di reati penali.


Ci hanno diviso. Le ragazze che erano con me sono state messe da una parte. Io che ero l’organizzatore mi hanno messo in un’altra stanza. Per questo, non sono molto al corrente di quello che hanno detto le ragazze. Io ho risposto a tutte le loro domande, perché non aveva senso nascondere quello che pensavo. Ho detto loro chiaramente che ero contrario a questa guerra.


Ci hanno preso i telefonini, hanno visto i nostri profili, i nostri social, messaggi. Non so se hanno trovato qualcosa o no.


Vi hanno fatto sbloccare i telefonini?


Con me non ci sono riusciti. Io partecipo da un bel po’ di tempo a queste azioni. La prima volta è stato quando frequentavo la settima-ottava classe, era una protesta contro l’innalzamento dell’età della pensione. Le ragazze, invece, era la prima volta che erano alla polizia. Si immagini un gruppetto di poliziotti quarantenni che se la prendono con una ragazza di 17 anni, iniziano a metterla sotto torchio. È normale che la cosa faccia un certo effetto, che si diano loro i telefoni, che si acconsenta a tutto pur di levarseli di torno.


Ovviamente ti tengono parecchio sotto il torchio, ti minacciano di tutto. Per esempio, la mia ragazza è stata portata in una stanza. Là c’erano tre poliziotti d’una certa età e hanno iniziato a dirle: “Verrai cacciata dal tuo liceo. Lascia perdere quel ragazzo, non lo frequentare, altrimenti verrai punita”. A un certo punto hanno iniziato ad alzare la voce. È stata interrogata un po’ di volte. La prima volta è stata il giorno stesso, la seconda volta qualche giorno dopo. Appena è arrivata, hanno iniziato ad alzare la voce. “Ammetti che sai chi è quel tipo che ha lasciato i fiori! Ci servono informazioni su di lui”. È circolato un video dove si vedeva un uomo che deponeva dei fiori. Era uno che passava di là, per caso. Lei non conosceva nemmeno tutte le persone del circolo letterario che erano venute. Comunque sia, i poliziotti le hanno gridato addosso, hanno minacciato di farle problemi. È chiaro che là, al commissariato, ci sono tipi poco piacevoli. Iniziano a discutere con frasi come “capiamoci” e quando inizi a portare argomenti contrari ai loro, passano subito al “se la metti così, noi ti accusiamo dell’articolo x” oppure “non ti facciamo entrare all’università”. Sono queste le loro controargomentazioni.


In quale università vorrebbe entrare?


Vorrei entrare all’Università Statale dell’Altaj, oppure da qualche parte a Pietroburgo. Seguire corsi di storia della cultura, scienze politiche, oppure storia.


Ha creduto al fatto che le avrebbero impedito di entrare in qualsiasi università?


No, capivo che probabilmente avrei avuto dei controlli da parte dell’amministrazione e basta. Se avessi voluto entrare in qualche istituto particolare per poi andare a lavorare “in divisa”, certo non mi avrebbero mai preso, dopo quello che era successo. Ma per il tipo di corsi universitari che vorrei seguire credo che le loro minacce siano fiato sprecato.


E gli altri partecipanti hanno preso sul serio quelle minacce?


Sì, deve essere stato duro per loro. Non avevano mai avuto a che fare con la polizia.


Alcune delle ragazze hanno dovuto cedere. “Ci hanno costretto a scrivere che siamo a favore della guerra”. Cioè, le hanno obbligate a dichiarare che non sono contrarie all’“Azione Militare Speciale” per potersene andare senza conseguenze. Io più o meno ero preparato, perciò mi sono rifiutato.


Quando lo avete fatto vi rendevate conto che avreste avuto come minimo una multa e di certo sareste stati fermati?


L’ignoranza ovviamente è presente, ma spesso è accompagnata da un desiderio di ignoranza: vogliamo solo informazioni che confermino i nostri pregiudizi, l’idea astratta ci siamo fatti di un paese che non fa parte della nostra esperienza immediata. Questo spiega la forte resistenza ad accettare il racconto degli insuccessi dell’esercito russo in Ucraina, cosa che adesso dopo la mobilitazione “parziale” è ancora più evidente.


Di sicuro lo abbiamo pensato. In Russia non ci sono garanzie su nulla, in modo particolare sulla propria incolumità. Consideri che non abbiamo scritto neanche uno slogan del tipo “No alla guerra!”. Nelle scritte che abbiamo messo per quella commemorazione non abbiamo nominato né la Russia né l’Ucraina. “A tutte le vittime di questa guerra. Sono morte più di 7 mila abitanti in un anno di guerra”.

Ovviamente mi rendevo conto che probabilmente ci avrebbero fermato, per questo abbiamo cercato di fare attenzione.


Ma avevamo poche speranze, comunque si tratta della piazza principale della nostra città, è il posto dove prima c’erano sempre le manifestazioni. È proprio di fronte all’amministrazione comunale, della nostra regione. A marzo, quando la gente ancora manifestava apertamente contro la guerra, là si veniva arrestati anche se ti presentavi con un cartello bianco e venivano fermati anche quelli che stavano là senza cartelli o slogan.


Poi lì hanno iniziato a manifestare anche gruppi più piccoli, che erano contro la chiamata alle armi.


In generale, arrestano ovunque, ma in piazza dei Sovet, “nel posto più importante, dove vengono gli attivisti a fare le manifestazioni, ovviamente non si riesce a rimanere a lungo” dice lo studente.


Il 23 marzo Artem Sacharov è stato convocato presso la Commissione per i reati minorili.


Artem racconta: “È un grosso ufficio, 10-12 persone, la metà in divisa. Mi hanno fatto un paio di domande. Mi hanno detto: “È stato fortunato, perché non è stato accusato di aver discreditato il paese. Perché nel nostro paese non si discutono le azioni del comando supremo e del nostro esercito”. Questo è tutto, questo è l’articolo di legge che avete infranto, questa è la multa. La “seduta” sarà durata quindici minuti”.


In commissione non vi è stato domandato quale fosse la vostra posizione nei confronti della guerra?


In commissione no. A una delle prime domande ho risposto che non vedevo niente di male nella nostra azione. “Volevamo onorare la memoria di persone”. Credo che abbiano capito subito che non mi sentivo colpevole.


Come pagherà la multa?


Ho un canale di Telegram dove ho annunciato che raccoglievo fondi per pagare la multa. “OVD-Info” ha dato la notizia dicendo che c’era bisogno di aiutare un attivista a pagare una multa. Ne ha scritto “Sibreal” su un canale Telegram. Questa pubblicità è stata davvero di grande aiuto e la gente ha iniziato a entrare nel canale, a scrivere decine di messaggi, a prestare un aiuto sia morale che finanziario. In meno di ventiquattr’ore abbiamo raccolto 15 mila rubli, però ne servivano 20. Allora ho deciso che 5 mila li mettiamo di tasca nostra. Sono stato fortunato da questo punto di vista. Sono molto grato alle persone che mi hanno aiutato, ai progetti che ci hanno sostenuto, dando informazione della cosa.


Non le sembra che anche se la gente ha paura di esporsi in prima persona con azioni di protesta, in questo modo, aiutandola a pagare la multa, di fatto la gente si dichiara d’accordo con le sue posizioni, protesta contro la guerra?


Sì, certo. È evidente che si tratta di persone che sono contro la guerra. Quando hanno mandato i soldi o sul canale Telegram hanno scritto commenti come: “Artem, le persone come te rappresentano la coscienza morale della nostra città, vuol dire che non tutto è perduto per il nostro paese”. “C’è almeno una buona notizia da Barnaul (sulla nostra azione), altrimenti non vediamo altro che arresti e svastiche”.


Un ragazzo di 15 anni, anche lui contro la guerra, mi ha scritto di quello che è successo a lui, anche lui è stato portato alla Commissione penale minorile. Perché aveva scritto dei post su VKontakte, aveva confrontato quanto fatto dalla Germania nazista con quanto fa lo stato russo. Ma visto che non aveva ancora 16 anni, non gli hanno fatto niente, pare che lo abbiano lasciato stare.


Oppure qualcuno ha scritto: “Grazie per il tuo coraggio. Siamo di Kemerovo”. Messaggi del genere, brevi, ma che fanno piacere, ce ne sono stati tanti.


Persino a scuola sono dalla mia parte, mentre i miei genitori no.


A scuola parlate di questi temi?


Sì, è da quando è iniziata la guerra che se ne parla. E prima della guerra si parlava del conflitto che c’era in Ucraina, non si parla d’altro. Dopo quel che è successo il 24 febbraio 2022, siamo tutti afflitti, scossi. È importante che ne parliamo, perché se ci chiudiamo è finita.


La maggior parte degli insegnanti e degli alunni sono a favore delle proteste contro la guerra. Mentre i miei parenti sono per lo più con Putin, per la guerra.


Anche i suoi genitori?


Sì, al cento per cento, hanno la Z sulla macchina e tutto il resto. E fanno la loro parte nel farmi pressioni. Quando non solo lo Stato, ma anche i tuoi parenti ti sono contro.


Da quando è iniziata la guerra praticamente non ci parliamo più, abbiamo iniziato a litigare subito. E comunque sia, qualche volta, quando si cena insieme in famiglia, il tema viene fuori lo stesso. Però, in genere, cerchiamo di non parlarne, perché capiamo che queste discussioni non portano a nulla di buono.


Come ha saputo dell’inizio della guerra?


Frequentavo il penultimo anno di scuola, eravamo in classe a far lezione. Pochi giorni prima che iniziasse la guerra, in autunno, non appena si è saputo degli spostamenti delle truppe ho capito subito che, sì, ci sarebbe stata una guerra. Anche se nessuno nel mio giro ci credeva. Già a febbraio, quando c’è stato il riconoscimento della “DNR” (Repubblica popolare del Donec’k) e “LNR” (Repubblica Popolare di Luhans’k), c’è stata l’evacuazione e sono iniziate tutte quelle provocazioni, ho capito subito che sarebbe iniziato qualcosa di terribile.


Stavamo in classe, e vediamo il discorso di Putin sul fatto che inizia la guerra, quelle immagini ripugnanti, da incubo, in cui bombardano Charkiv, Kyiv, Mariupol’. Quel giorno lo ricorderò tutta la vita. Stai tutto il tempo a guardare le notizie, con le mani tremanti, incredulo, non ci puoi credere che abbiano bombardato un’altra città. Te ne rendi conto solo postfactum, dopo qualche giorno. Da quel giorno sono entrato in contatto con degli ucraini di Černihiv e ancora ci sentiamo. E questo pure ha contribuito ad avere un quadro più completo di quello che sta succedendo. Ricevevo notizie sui continui bombardamenti letteralmente da testimoni oculari.


L’esercito russo è andato via da Černihiv fra aprile-maggio, e loro a marzo, febbraio sono rimasti in cantina. Mi raccontavano per filo e per segno ogni sparo che colpiva il centro della città. Storie da incubo, non lo consiglierei a nessuno.


Erano rimasti a Černihiv, non se ne sono andati. Ora la situazione là è più o meno tranquilla, a parte il fatto che continuano ad esserci gli allarmi aerei.


Stanno già risistemando parti della città. Vere e proprie azioni militari là non ci sono più da aprile.


Ha detto che vorrebbe studiare all’università scienze politiche. Ritiene che studiare politica nel nostro paese, oggi, abbia senso?


Ritengo che prima o poi queste tenebre si dissolveranno. Credo che avverrà nei prossimi anni. In un prossimo futuro. Penso che quando avrò finito gli studi universitari, vivremo già in un altro paese, in un altro sistema.


Il nostro sistema statale mostra di avere paura e con questo rivela la sua debolezza. Sono pronti a sollevare un polverone per qualche persona che vuole ricordare la memoria di qualcuno e depone dei fiori. E si passa subito alla polizia, interrogatori, multe. Sono talmente tante le persone che hanno subito questa repressione, che obbligano a emigrare, che vengono riconosciuti come “agenti stranieri”.

E non parlo di Naval’nyj, che ha un elettorato enorme, qualche personalità precisa, no, anche gente comune, sconosciuti, che sono contrari, il potere ne ha così paura che impiega tutte le sue forze per reprimerli.


Per questo non mandano in guerra quelli del corpo della Guardia, del FSB e simili, perché c’è bisogno di loro qui, per tenere in pugno tutto ciò. È un’ennesima dimostrazione di quanto abbiano paura. E c’è di che aver paura.


I vostri insegnanti, a scuola, non vi chiedono di fare dichiarazioni contrarie alle vostre convinzioni?


In genere, no. Ma anche da noi, come in altre scuola, hanno introdotto le “Discussioni importanti”. Meno male che non dovrò ascoltarle ancora per molto. Anche se le vogliono introdurre anche all’università l’anno prossimo.


Quando si inizia a parlare dei vari “la popolazione della Crimea, il giorno dei difensori della Patria, l’esercito russo come modello di valori spirituali e morali”, volenti o nolenti si finisce sempre per litigare con gli insegnanti. E dopo un po’ loro finiscono gli argomenti e si arriva sempre a “Artem, per favore, stai un po’ zitto, altrimenti avrai delle grane”. Non credo che siano minacce velate, si preoccupano per me, perché si rendono conto della realtà in cui viviamo.


Per lo meno, non ti denunciano.


No, non ti denunciano, anche se, pensando anche ad altre storie, mi sorprende che non lo abbiano ancora fatto. Lo sa mezza città come la penso, credo. Ma non mi denunciano.

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