(Foto di A.Savin, CC BY-SA 3.0, Link)
(di Simone Bellezza, storico, docente presso l’Università del Piemonte Orientale, Memorial Italia)
10 gennaio 2024
alle 10:40
Il 13 novembre scorso la casa editrice tedesca ibidem Verlag ha pubblicato un volume intitolato Russian Cultural Diplomacy under Putin. Russotrudnichestvo, the “RusskyMir” Foundation, and the Gorchakov Fund in 2007-2022, curato dai ricercatori ucraini Nadiia Koval e Denys Tereshchenko e contenente contributi di molti studiosi di diversi paesi. Il volume è il frutto di una ricerca pluriennale, in parte finanziata anche dallo Ukrainian Institute, l’ente per la promozione della cultura ucraina nel mondo, che aveva già pubblicato un breve report lo scorso anno. Lo studio ha preso in esame tre organizzazioni russe, l’agenzia Russotrudničestvo e le fondazioni Russkij Mir e Gorčakov, che nell’ultimo quindicennio sono state molto attive, anche in occidente, nella promozione di una particolare immagine della Russia e della cultura russa. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare la curatrice, Nadiia Koval, una sociologa che dirige il Dipartimento della ricerca dello Ukrainian Institute.

(foto di: By Dominik Szulc – Own work, CC BY 4.0, Link)
Cosa sono le fondazioni Russkij Mir e Gorčakov?
La Fondazione Russkij Mir (“Mondo russo”) è stata creata nel 2007 come la prima “nuova” istituzione di soft power della politica estera russa dell’era Putin. Il nome della fondazione riflette la sua base ideologica e l’obiettivo strategico della sua attività. L’ideologia vaga e francamente espansionistica del “mondo russo” parte dal presupposto che, a seguito di quella che secondo Putin è stata la più grande catastrofe del XX secolo, il crollo dell’Unione Sovietica, milioni e milioni di russi (definiti dalla lingua, dalla cultura, dalla religione, dall’origine, dall’autodeterminazione o da una combinazione di questi fattori vaghi) sono rimasti fuori dai confini della Federazione Russa. In questa logica, la “vera” Russia è molto più grande di quella attualmente visibile sulle mappe e queste due Russie devono quindi essere riunite in qualche modo. La Russia persegue una politica di graduale reintegrazione delle ex repubbliche dell’Unione Sovietica in una nuova unione regionale attraverso un’ampia varietà di strumenti: pressione politica diretta, accordi sulle “regole di condotta” nella politica internazionale, ricatti economici o energetici. In questo schema, la fondazione Russkij Mir è chiamata principalmente a lavorare per invertire la tendenza negativa del declino graduale ma inesorabile dell’uso e dello studio della lingua russa in generale nel mondo e, più specificatamente, negli stati un tempo dipendenti da Mosca. Pertanto, il suo compito principale è diffondere e rafforzare la presenza della lingua e della cultura russa e di un approccio russocentrico alla storia della regione, soprattutto nelle istituzioni educative e scientifiche dei paesi stranieri. La Fondazione intitolata a Gorčakov, invece, è stata fondata nel 2011 ed è probabilmente l’organizzazione di soft power più semplice della Federazione Russa, poiché lavora per diffondere direttamente il punto di vista russo nell’ambito dei sistemi di sicurezza europeo e mondiale. Sostanzialmente si tratta di diffondere l’idea di un ordine mondiale multipolare, in cui la Russia, in quanto uno di questi poli di potere, “avrebbe diritto” alla propria zona di influenza (i cui confini sono approssimativamente determinati dal “mondo russo”), così come pure un “diritto di veto” quando si discutono questioni internazionali fondamentali. La fondazione lavora principalmente con politici, diplomatici e (giovani) esperti nei più diversi paesi del mondo.
Chi comanda e finanzia le fondazioni Russkij Mir e Gorčakov?
Entrambe le fondazioni non sono formalmente agenzie governative, ciononostante sono interamente controllate dalla presidenza e dal governo della Federazione Russa e sono finanziate in maniera determinante dal bilancio statale russo. La fondazione Russkij Mir, ad esempio, è finanziata al 97% dalla Federazione Russa, è nata su iniziativa di due ministeri russi, mentre il direttore, i suoi vice e i dirigenti dei vari dipartimenti sono nominati personalmente dal presidente Putin. L’elenco dei partner del Russkij Mir è così ampio da poterlo considerare un nucleo o, come dice Marlène Laruelle [sociologa e storica francese, professoressa e direttrice dello Institute for European, Russian and Eurasian Studies (Ieres) della George Washington University], in una struttura ombrello per numerose altre fondazioni per l’allargamento dell’influenza culturale russa all’estero. Dal giorno della sua fondazione, il politico russo Vjačeslav Nikonov, deputato della Duma e nipote del famigerato commissario del popolo agli affari esteri dell’Urss Vjačeslav Molotov, è sempre stato responsabile del Russkij Mir. La fondazione Gorčakov è guidata da un ex diplomatico poco conosciuto, ma le sue attività sono gestite dal Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa e dal vertice dell’Amministrazione presidenziale della Federazione Russa. In altre parole, nessuno cerca nemmeno di nascondere la natura puramente statale di queste istituzioni, che sono saldamente radicate nella verticale del governo russo. E questa spettrale illusione di non statualità è necessaria per compensare le carenze della principale istituzione di soft power della Federazione Russa, l’agenzia statale Russotrodničestvo del Ministero degli Affari Esteri. Rispetto alle altre due, essa è avvantaggiata da una forte storia istituzionale e da un’ampia rete di uffici di rappresentanza in quasi 100 paesi. Questi uffici di rappresentanza operano presso le ambasciate e sono protetti dallo status diplomatico, fatto che ha permesso alla maggioranza assoluta di essi di rimanere nei paesi europei anche dopo che Rossotrudničestvo era stata colpita dalle sanzioni dell’Ue nel luglio 2022. Questa sicurezza è però bilanciata da notevoli limitazioni nelle attività: In particolare, la dipendenza organizzativa dall’ambasciata, l’impossibilità di finanziare direttamente partner locali o lo sviluppo di reti di influenza al di fuori delle capitali degli stati. Per questo motivo sono necessarie le succitate “fondazioni non statali”, che possono aggirare questi ostacoli, penetrando più in profondità nel paese straniero e lavorare in modo autonomo e diretto con i partner che si preferiscono.
In quali paesi operano le fondazioni Russkij Mir e Gorčakov? Chi controlla queste organizzazioni e le loro attività?
La mappa delle attività della fondazione Russkij Mir riflette sia le sue caratteristiche organizzative sia le basi ideologiche sui cui è fondata. Grazie alla libertà organizzativa a cui ho accennato prima, la sua rete è piuttosto ampia.
A marzo 2022 la fondazione Russkij Mir comprendeva 104 centri in 52 paesi e ulteriori 128 uffici in 57 paesi. I centri sono delle realtà istituzionalizzate che lavorano all’interno delle università, spesso dove si insegnano la lingua e la cultura russe, e partecipano attivamente all’organizzazione della vita accademica in senso lato.
Gli uffici vengono aperti attraverso una convenzione con enti pubblici locali, come scuole o biblioteche, e forniscono costantemente materiali e assistenza. V’è anche il concetto di “organizzazioni amiche”, ovvero associazioni locali che si interessano alla lingua o alla cultura russa e che quindi mantengono legami con la Fondazione, anche se non è possibile considerarle come uffici di rappresentanza, e tuttavia possibile integrarle nella rete di relazioni gestita dal Russkij Mir. Dal punto di vista geografico possiamo dire che gli uffici di rappresentanza istituzionale vengono aperti nei paesi che fanno parte di determinate aree di interesse secondo l’ideologia del “mondo russo”: si tratta principalmente di gruppi come le ex repubbliche sovietiche, compresi i paesi baltici, i paesi dell’ex Patto di Varsavia, i paesi in cui è maggioritario il cristianesimo ortodosso, ma anche paesi politicamente importanti dell’Europa occidentale [in Italia ne sono stati aperti quattro: all’Università degli Studi di Milano, all’Università di Pisa, all’Università di Napoli “l’Orientale” e presso l’Associazione “Conoscere l’Eurasia” di Verona, presieduta dal banchiere Antonio Fallico, ndr], la Cina e la Turchia. La facilità con cui sono state aperte queste sedi, tuttavia, è stata bilanciata della facilità con cui sono state chiuse: ad aprile 2023, non meno di 23 centri, soprattutto nei paesi occidentali, sono stati costretti a chiudere a causa delle sanzioni in relazione all’aggressione contro l’Ucraina. La Fondazione Gorčakov non ha molti uffici di rappresentanza e praticamente non è al centro di una rete internazionale. Attualmente funzionano solo due dei suoi uffici di rappresentanza, in Bielorussia e in Georgia, e il lavorio nel mondo politico georgiano si è intensificato negli ultimi anni, non solo per quanto riguarda questa fondazione, ma anche considerando l’intera diplomazia culturale e generalmente politica russa. Nel 2013 c’è stato un tentativo di aprire un ufficio di rappresentanza in Ucraina, ma è stato rapidamente chiuso dai servizi speciali ucraini. E così la fondazione lavora attirando giovani specialisti dall’estero verso programmi di studio in Russia oppure offre loro borse di studio per condurre ricerche su temi russi, e organizza “tavole rotonde” di esperti su importanti aree o questioni di politica estera. La “tavola rotonda” più influente creata dalla Fondazione prima dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina erano i cosiddetti “Potsdam Meetings”, degli incontri con le élite politiche e diplomatiche della Germania.
Le attività del Russkij Mir hanno avuto qualche influenza sul conflitto in Ucraina?
In quanto organizzazione pienamente integrata nella verticale del governo russo, la fondazione Russkij Mir e il suo leader Vjačeslav Nikonov sostengono pienamente e incondizionatamente l’aggressione russa in Ucraina.
Una parte significativa delle notizie sul sito web della fondazione sono le quotidiane “Notizie sull’operazione speciale”, oltre a numerose notizie che criticano le azioni dell’Ucraina e dei suoi alleati nel campo della cultura, oppure sui successi della russificazione nei territori occupati. Quest’ultimo tema è proprio quello più vicino alle aree di interesse delle attività della fondazione e quindi anche quello più promosso e comunicato. Si tratta, per esempio, della conversione forzata delle scuole ucraine ai programmi di studio russi, dell’acquisto di libri di testo ideologicamente verificati e di libri russi al posto di quelli ucraini per le biblioteche, della promozione del cambio di cittadinanza, ecc.
La cultura russa viene quindi utilizzata come strumento di influenza o addirittura dominio della Federazione Russa? Quali sono le ragioni dell’embargo sulla cultura russa richiesto dagli ucraini?
Provo a dare una risposta breve. Sì, la cultura russa viene utilizzata come strumento di influenza e dominio a diversi livelli ed esplicitamente. Per accorgersene basta dare una lettura ad alcuni documenti fondamentali della politica estera della Federazione Russa, come quello intitolato “La concezione della cooperazione umanitaria internazionale della Federazione Russa” del settembre 2022 o il più recente “Concezione della politica estera” del marzo 2023, che teorizzano esplicitamente questo uso della cultura russa come strumento per raggiungere gli obiettivi di politica estera. Il libro che abbiamo curato descrive in modo assai particolareggiato, attraverso l’analisi delle attività di queste istituzioni, proprio la tradizionale strumentalizzazione dell’insegnamento della cultura e della lingua russe per raggiungere gli obiettivi militari e di politica estera del regime, primo fra i quali è la riorganizzazione dello spazio post-sovietico in una nuova entità politica, che in un futuro immaginario diventi la base di una più forte posizione della Russia nel mondo multipolare. Inoltre, ci sono anche altri importanti fattori problematici. Il primo è la contraddizione fra l’idea di cultura come potenziale fattore pacificatore e apolitico, che è molto diffusa nelle società occidentali, e l’utilizzo della cultura a fini di assimilazione culturale che gli ucraini stanno sperimentando in questa guerra e che è del tutto simile all’uso delle armi per la conquista e la distruzione fisica. La base ideologica dell’ultima ondata di aggressione è stato l’articolo di Putin “Sull’unità storica di russi e ucraini” del luglio 2021 sul sito della presidenza della Federazione russa, che postula l’idea in realtà non nuova che esista una “unica nazione”, che è stata divisa artificialmente da confini creati da politici criminali a Kyiv.
La russificazione attraverso la politica storica e linguistica, attraverso i media e le pratiche commemorative, attraverso la creazione di uno spazio culturale unico sono i pilastri della politica culturale russa nei paesi che cerca di annettere, soprattutto nelle regioni già occupate militarmente.
La seconda questione non è tanto la strumentalizzazione della cultura per scopi politici, ma la messa a punto di meccanismi di dominio e sottomissione degli altri nel corpo stesso della cultura russa, nella percezione del suo valore e status rispetto ad altre culture. È stato questo fattore a lanciare il dibattito sulla possibilità o addirittura necessità di decolonizzare gli studi accademici sulla Russia nei paesi occidentali e non solo, sulla necessità di smettere di guardare all’Ucraina e agli altri paesi post-sovietici o dell’Europa orientale attraverso il prisma russo come se la Russia fosse l’unico paese con una legittima tradizione storica. Si tratta, da una parte, di dare voce a questi altri paesi e, dall’altra, di stimolare la riflessione e – possibilmente – l’autoriflessione sugli elementi coloniali della cultura russa.