Il’ja Jašin. Udienza del 20 giugno 2024.

Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 20 giugno da Il’ja Jašin in collegamento video con il tribunale Mosgorsud di Mosca in occasione dell’udienza del processo che lo vede imputato per il rifiuto di apporre la qualifica di agente straniero alle proprie comunicazioni sui social network. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina.


Foto: Aleksandra Astachova.


Vostro onore!

La legge sugli agenti stranieri, nella sua prima stesura, è stata approvata dalla Duma ormai dodici anni fa. Allora non c’erano state proteste di massa nel paese, come quelle che abbiamo visto di recente in Georgia, dove decine di migliaia di persone hanno letteralmente preso d’assedio il parlamento locale. Questo perché, in primo luogo, i georgiani hanno imparato dal nostro esempio come funzionano leggi simili ed è chiaro che non vogliono dividere la società tra amici e nemici. E in secondo luogo, all’epoca i russi erano stati convinti che la legge in questione era del tutto innocua e non limitava i diritti di nessuno. A molti sembrava una dichiarazione formale, che non comportava minacce concrete.

Ricordo bene il mio dibattito alla radio nel 2012 con uno degli autori della legge sugli agenti stranieri, un deputato di Edinaja Rossija. Il suo tono pacifico mi colpiva. Lui assicurava che nessuno aveva intenzione di reprimere le opposizioni e la società civile, che nel nostro paese c’era piena libertà e niente l’avrebbe minacciata, e che la legge era necessaria soltanto per regolamentare i rapporti tra lo stato e le organizzazioni senza scopo di lucro.

Ma io, che non avevo gli occhi foderati di prosciutto, spiegavo al pubblico che questa legge era uno strumento per la lotta al pensiero non allineato, che ogni sua nuova rettifica avrebbe limitato sempre più duramente i diritti dei cittadini e spaventato le voci critiche del potere. E come risultato avremmo ottenuto la legalizzazione del sopruso e molte persone si sarebbero ritrovate a essere emarginate nel proprio paese.

Purtroppo il tempo ha confermato i miei timori. Oggi centinaia di nostri connazionali sono inclusi nel registro degli agenti stranieri per ragioni campate in aria e persino in mancanza di una sentenza di tribunale: basta un tratto di penna di anonimi impiegati del ministero della giustizia. A queste persone è proibito insegnare o pubblicizzare qualsiasi cosa, i loro libri vengono tolti da librerie e biblioteche, i loro nomi cancellati dai cartelloni dei teatri. Oltre al divieto concreto di esercitare la loro professione, sono costretti a contrassegnare con quel marchio infame ogni loro espressione pubblica e a rendere conto di ogni copeco speso per gli acquisti al supermercato. E ora il presidente Putin ha firmato l’ennesima rettifica alla legge, che impedisce agli agenti stranieri di candidarsi alle elezioni di qualunque livello…

E cosa ne deriva? Che il presidente, tramite il ministero della giustizia da lui controllato, può dichiarare agente straniero qualsiasi oppositore e in tal modo privarlo del diritto di partecipare legalmente alla lotta per il potere. Molto comodo. Quando si profila un candidato promettente, basta uno schiocco di dita ed eccolo diventare un agente straniero, che non può essere ammesso alle elezioni. Non serve più nemmeno ucciderlo.

Il cinismo di una tale pratica lesiva dei diritti consiste anche nel fatto che la propaganda putiniana continua a dichiarare a gran voce che l’influenza sociale dei cosiddetti agenti stranieri è insignificante, ma contemporaneamente a queste persone viene impedito di partecipare alle elezioni, perché è evidente che si teme la loro concorrenza. Anche se verrebbe da chiedersi cosa ci sia da temere visto che sarebbero tanto impopolari. Ma è questa l’essenza della legge sugli agenti stranieri: è stata creata per conservare il potere personale di Putin, escludendo ad arte qualunque possibile concorrenza. È del tutto palese che questa legge ha un carattere antigiuridico e discriminatorio. È per questo che per principio mi rifiuto di eseguire le richieste del ministero della giustizia e non mi definisco agente straniero.

Allo stesso tempo capisco che i tribunali sono obbligati a emettere le sentenze sulla base delle leggi, per quanto dannose e barbare siano. In tal senso, la posizione del presidente dell’udienza di oggi non mi sembra invidiabile. Tuttavia intravedo una via d’uscita ragionevole.

Chiedo a questo tribunale, durante l’esame del mio caso, di farsi guidare innanzitutto dalla legge fondamentale del nostro paese, la Costituzione russa. Certo, negli ultimi anni ha subito varie violenze e ora non si trova nella sua forma migliore. Ma la Costituzione continua a garantire ai cittadini i diritti e le libertà basilari. Garantisce a me, in quanto politico d’opposizione, il diritto di criticare il potere, di esprimere liberamente il mio pensiero e di diffondere informazioni. Non parla affatto di agenti stranieri né di limitazione dei loro diritti.

Se una qualche norma federale contraddice la legge fondamentale, i tribunali sono tenuti ad applicare alla lettera i dettami della Costituzione. Così è nel mio caso, pertanto vi chiedo di giudicarmi in base alla legge, alla legge fondamentale della Russia, vostro onore. Rispettate la Costituzione e non assecondate gli oscurantisti che siedono al Cremlino.

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Il 23 maggio 2025 presso il tribunale militare di guarnigione di Rjazan’ il pubblico ministero Boris Motorin ha chiesto per Ruslan Sidiki – 36 anni e doppia cittadinanza, russa e italiana – di cui abbiamo già avuto modo di parlare, una condanna a trent’anni di reclusione. Dopo di lui ha preso la parola Igor’ Popovskij, l’avvocato di Sidiki. Il difensore ha spiegato nel dettaglio perché la versione dell’accusa non corrisponde ai fatti e, perciò, a verità. Nei casi in esame la definizione giuridica delle azioni del suo assistito non può rientrare negli articoli riguardanti il “terrorismo”. Quanto da lui compiuto può far capo, piuttosto, alla categoria “sabotaggio”. In due punti, a sostenere le accuse di terrorismo sono le invenzioni degli inquirenti e le deposizioni estorte sotto tortura. L’avvocato Popovskij ha infine ricordato che, in base alla Convenzione di Ginevra e a quanto da essa affermato “in data 12 agosto 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra”, Ruslan Sidiki andrebbe considerato come tale. L’anarchico Ruslan Sidiki è stato alla fine condannato a 29 anni di carcere. Si tratta della pena più severa mai inflitta per azioni contro infrastrutture militari e, in genere, per azioni che non hanno causato vittime. È l’ennesimo atto intimidatorio contro i dissidenti. Riportiamo in italiano il testo dell’ultima dichiarazione pronunciata da Ruslan Sidiki prima della lettura della sentenza. Mi rincresce che le mie azioni abbiano messo in pericolo Bogatyrëv*, Tarabuchin** e Unšakov***. Non erano loro il mio obiettivo e sono lieto che la loro salute non abbia subito danni gravi. Il mio obiettivo erano i mezzi militari russi e gli anelli della logistica militare per il trasporto di mezzi e carburante. Era il modo che avevo scelto per ostacolare le operazioni militari contro l’Ucraina. Naturalmente la notizia di un’esplosione e il clamore suscitato possono spaventare le persone. Lo stesso vale per i missili che sorvolano le case e per le prime operazioni militari: anche loro hanno lo scopo di intimidire la popolazione del Paese contro cui tali azioni sono dirette. Come ho già ampiamente ripetuto, non era mia intenzione intimidire nessuno. Ho scelto io gli obiettivi: ho attaccato la base aerea militare con l’intento di distruggerne i velivoli. Ho fatto saltare il treno per mettere fuori uso la linea ferroviaria su cui avevo individuato un discreto movimento di mezzi militari. Vorrei che fosse chiaro che ho studiato attentamente il movimento dei treni sulla linea che ho fatto saltare per assicurarmi che non ci fossero treni passeggeri. Per maggiore sicurezza, ho controllato visivamente il tutto prima dell’esplosione. Se non mi importasse della vita altrui, avrei potuto far deragliare il treno senza un mio intervento diretto. Non ho avuto nulla a che fare con chi ha tentato di fabbricare, poi, un nuovo ordigno esplosivo per far deragliare un altro treno. L’esplosione dell’11 novembre 2023 aveva già suscitato molto clamore ed ero perfettamente consapevole che le misure di sicurezza sarebbero state rafforzate. Inoltre, avevo già la morte di mia nonna a cui pensare. Con la popolazione russa ho rapporti neutrali. Dal 2014 ho con loro alcune divergenze su certi fatti, ma non è, per me, un motivo sufficiente per odiare qualcuno. L’impossibilità di influenzare pacificamente le azioni di chi ci governa, così come il tribunale che attende coloro che non condividono la politica dello Stato inducono alcuni a lasciare il Paese e altri a restare e a passare all’azione. Indipendentemente dalla gravità del reato, l’uso della tortura durante gli interrogatori è inaccettabile in qualunque caso, se diciamo di vivere in uno Stato di diritto. Torturare con scariche elettriche e picchiare una persona legata sono atti riprovevoli in massimo grado, la cui responsabilità ricade non solo su chi ha applicato metodi in questione, ma anche su chi è consapevole che essi vengono usati, non li contrasta e, anzi, è complice nel tenerli nascosti. Concludo recitandovi un frammento di una poesia di Nestor Machno: Che ci seppelliscano anche subito: ciò che davvero siamo non diverrà Oblio, risorgerà al momento dovuto e vincerà. Ne sono certo, io. * Aleksandr Ivanovič Bogatyrëv, camionista presso la Avargard s.r.l.. Il 23/07/2023 trasportava erba falciata da un campo vicino al villaggio di Tjuševo, regione di Rjazan’. Uscendo su una strada sterrata vicino al campo, centrò con una ruota un drone esplosivo. Che scoppiò. Bogatyrëv non rimase ferito. ** Sergej Aleksandrovič Tarabuchin, assistente macchinista dello stesso treno. A seguito dello scoppio del finestrino, ha riportato graffi al viso e a un braccio. *** Dmitrij Nikolaevič Unšakov, macchinista del treno merci n. 2018, che l’11 novembre 2023 era ripartito dalla stazione di Rybnaja. Si trovava nella cabina di guida al momento dell’esplosione sui binari. A seguito dell’esplosione ha riportato escoriazioni alla mano.

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