Jurij Ljapkalo, padre di Hlib, di Mariupol’: “In ogni cortile ci sono tombe di civili uccisi”.

Il toponimo Mariupol’, così come Buča, è divenuto tristemente famoso anche oltre i confini dell’Ucraina ed è assurto a emblema della guerra di annientamento portata avanti dall’esercito russo. Jurij Ljapkalo è padre di un bambino di soli tre anni, Hlib, che è vissuto con lui durante l’occupazione, e racconta la lotta quotidiana per prendersi cura del figlio.

Il toponimo Mariupol’, così come Buča, è divenuto tristemente famoso anche oltre i confini dell’Ucraina ed è assurto a emblema della guerra di annientamento portata avanti dall’esercito russo. Devastazione e morte nel racconto di Jurij Ljapkalo si rendono tangibili, non sono più concetti astratti. Jurij è padre di un bambino di soli tre anni, Hlib, che è vissuto con lui durante l’occupazione. Ora padre e figlio sono in Repubblica Ceca, al sicuro, ma il ricordo della guerra non ha abbandonato il bambino, che è ancora traumatizzato.

Jurij Ljapkalo ha raccontato la sua vicenda a Oleksandr Vasyl’jev per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.

Oleksandr Vasyl’ev
26.01.2024

Jurij Ljapkalo e il figlio Hlib di tre anni hanno tentato di sopravvivere per quasi due mesi ai continui bombardamenti senza cibo regolare, acqua, riscaldamento e comunicazioni. Sono riusciti ad abbandonare la città nell’aprile 2022. Ora vivono in Repubblica Ceca, ma a volte Hlib cerca ancora riparo quando sente il rombo del tuono in cielo.

Guarda il video dell’intervista coi sottotitoli in italiano sul canale YouTube di Memorial Italia

Quando è iniziata l’invasione su vasta scala, vivevo con mio figlio Hlib di tre anni, la mia ragazza e la sua figlia quindicenne. Nei primi giorni di guerra non capivamo cosa stesse succedendo. Nessuno ci credeva, dicevano che era impossibile. Sulla riva sinistra della città erano già cominciati gli scontri, mentre dalla nostra parte arrivavano solo gli echi.

Poi, però, abbiamo iniziato ad accorgerci che la gente faceva i bagagli e scappava. Da un giorno all’altro, anzi da un’ora all’altra, le cannonate diventavano sempre più vicine ma non avevamo un posto dove andare a ripararci, perché di piani di evacuazione non si parlava, non si sapeva niente. Ben presto hanno tagliato l’acqua, le comunicazioni, il gas, l’elettricità. Siamo tornati all’età della pietra. Sono iniziati i saccheggi nei negozi, la gente portava via tutto. Tutto quello che poteva, lo portava via. Stavamo al terzo piano, ma non scendevamo mai nello scantinato, non volevamo morire sotto terra.

Volti di Hlib e di Jurij Ljapkalo in primo piano.
Jurij Ljapkalo col figlio Hlib

In casa la temperatura era bassissima, si moriva di freddo. Cucinavamo con i vicini in cortile, sul fuoco. Ci capitava di ritrovarci sotto i colpi dell’artiglieria. Una volta è scoppiata una cannonata forte, tutti si sono nascosti ma io sono corso fuori per togliere la zuppa dal fuoco. Dovevo dar da mangiare a mio figlio, e altro cibo non ce n’era.

Poi, quando la situazione è peggiorata, e il nostro edificio letteralmente traballava per i continui bombardamenti pesanti, abbiamo deciso di andarcene in un posto più tranquillo. Lì viveva mia zia con mia nonna, mio cugino e il mio figlioccio. In quell’edificio una famiglia aveva lasciato l’appartamento, e così ci siamo stabiliti lì.

Ogni giorno, come si suol dire, uscivamo a caccia: cercavamo viveri, di ogni tipo. Non avevamo acqua, e il pozzo era a un paio di chilometri nella zona residenziale. Quando andavamo a prendere l’acqua, era un biglietto di sola andata. Ci facevamo strada circondati da cadaveri di civili. Erano morti durante i bombardamenti. E nemmeno noi sapevamo se saremmo tornati indietro oppure no. Quando non c’era proprio più niente da mangiare, mangiavamo i piccioni. Almeno era carne, ci facevamo il brodo… E se pioveva, raccoglievamo l’acqua piovana.

Hlib sullo sfondo delle macerie a Mariupol' nel 2022
Il piccolo Hlib nella Mariupol’ distrutta nella primavera del 2022

Un giorno io e mio cugino siamo andati al mercato “Avtostancija-2”, dove tutto quello che si poteva prendere era già stato preso da altra gente, ma io sono riuscito a rimediare qualche mela, un pacchetto di tè, calze per mio figlio e salviette umidificate, che erano essenziali perché non c’era modo di lavarsi. E mentre rovistavamo tra le cose al mercato, all’improvviso sono spuntati due “orchi”, cioè due militari russi.

Ehi voi, sciacalli, tutti in fila!” hanno detto sparando una raffica di mitra in aria. Ci siamo disposti tutti in fila, hanno iniziato a controllare i documenti, ma io non ne avevo con me.

Uno di loro ha minacciato di uccidermi e mi ha sparato una raffica di mitra vicino ai piedi. Poi ci hanno fatti inginocchiare, ci hanno perquisiti, picchiati e quindi lasciati andare. Mentre tornavamo a casa, siamo capitati sotto le bombe.

Col passare del tempo, cibo non se ne trovava da nessuna parte, i piccioni non si vedevano più. Avevamo anche un cane, ma non avremmo potuto mangiarlo perché era il nostro. Poi abbiamo deciso di cercare altrove qualcosa da mettere sotto i denti Abbiamo saputo che vicino al supermercato “Metro” i russi distribuivano aiuti umanitari, o così si diceva. Abbiamo deciso di andarci, per non morire di fame. Abbiamo camminato per circa quattro ore, tutt’intorno c’era solo devastazione, moltissimi cadaveri, tombe in ogni cortile… Siamo entrati nel territorio occupato dai russi. A proposito, giravano un sacco di voci, dicevano che i soldati ucraini sparavano ai civili. Non era così! Io sono passato accanto a loro, erano del battaglione Azov, non hanno detto niente né toccato nessuno.

Alla fine siamo arrivati al “Metro”, quella parte della città era distrutta fino alle fondamenta. Anni fa sono stato a Prip’’jat’, vicino a Černobyl’, che in confronto alla Mariupol’ distrutta è una città fiorente. Intorno a noi c’era l’orrore: i cadaveri non li portava via nessuno, c’erano moltissimi mezzi militari fatti a pezzi. Già, è la guerra…

Hlib a Mariupol' con la carcassa di un camion sullo sfondo.
Mariupol’, primavera 2022

Quando siamo arrivati al “Metro”, ci hanno detto che quel giorno gli aiuti umanitari non c’erano. Ci siamo tenuti la fame, e in più bisognava dormire da qualche parte perché non potevamo più tornare a casa, erano tre-quattro ore di cammino e con noi c’era la nonna, che non avrebbe retto.

Nei dintorni c’erano dei magazzini di generi alimentari, ci siamo andati per passarci la notte, ci siamo infilati in una bugigattolo e d’un tratto abbiamo visto a venti metri da noi un cadavere “seduto”. Be’, che potevamo farci?

Il mattino dopo ci siamo svegliati, siamo tornati al “Metro” e ci hanno detto che anche quel giorno non ci sarebbero stati gli aiuti umanitari. Siamo tornati indietro.

Voglio dire una cosa in particolare sull’aviazione. Era un incubo. Anche dopo essercene andati da Mariupol’, mio figlio, sentendo un tuono in cielo, si metteva a correre per cercare rifugio. Erano bombardamenti terribili, sganciavano bombe dappertutto, colpivano le zone abitate dove non c’era obiettivi militari né infrastrutture. Era spaventoso.

Il piccolo Hlib a Mariupol' sullo sfondo di rottami di automobili.
Mariupol’, primavera 2022

Poi abbiamo saputo che dalla città partivano degli autobus per Taganrog. Ci siamo andati, siamo saliti sull’autobus in modo ordinato, c’era una ressa tremenda. Al primo posto di blocco hanno fatto scendere tutti gli uomini, ci hanno messi in fila. Ognuno veniva portato in un caravan per essere interrogato. Io sono entrato per ultimo, perché il mio bambino continuava a saltar giù dall’autobus e a gridare: “Papà, papà!”.

Alla fine, mi hanno controllato il telefono, mi hanno chiesto chi fosse il bambino che era con me. Poi non gli è piaciuto che il mio telefono fosse troppo pulito e hanno cominciato con le minacce, soprattutto di morte. Mi hanno picchiato e lasciato andare. Durante il viaggio da Mariupol’, in un paesino abbiamo visto un lampione acceso e il mio bambino mi ha chiesto: “Papà, cos’è?”. Immaginate quanto ci eravamo disabituati alla luce.

Alla frontiera siamo rimasti fermi tutta la notte. Le persone dall’aria sospetta venivano convocate separatamente per essere passate al setaccio. Ma è andato tutto bene, siamo arrivati a Taganrog, lì sono venuti a prenderci degli amici che ci hanno portati a Sebastopoli. E da Sebastopoli siamo partiti per la Repubblica Ceca.

Ricordiamo che il 28 agosto l’iniziativa per la difesa dei diritti umani T4P (Tribunale per Putin) ha presentato un rapporto alla Corte penale internazionale in cui si documenta il genocidio commesso dalla Russia nella Mariupol’ ucraina. Il numero di vittime causato dall’occupazione russa di Mariupol’ viene stimato dagli autori di tale rapporto intorno alle 100.000 persone.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Bari, 24 marzo-4 aprile 2025. Mostra “Vivere senza menzogna. Solženicyn”.

Dal 24 marzo al 4 aprile Bari ospita la mostra Vivere senza menzogna. Aleksandr Isaevič Solženicyn, promossa dal Centro interculturale Ponte ad Oriente e dal Dipartimento di ricerca e innovazione umanistica dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro in collaborazione con l’associazione Russia Cristiana. L’esposizione è allestita presso il Centro polifunzionale studenti (ex Poste) in piazza Cesare Battisti 1 ed è visitabile gratuitamente previa prenotazione per gruppi numerosi e percorso guidato. Per maggiori informazioni: A Bari la Mostra “Vivere senza menzogna – Aleksandr Solženicyn”: un viaggio tra libertà e verità. Composta da tre sezioni e trenta pannelli, la mostra ripercorre la vita e il pensiero di Aleksandr Solženicyn, scrittore e premio Nobel per la letteratura nel 1970. Attraverso il suo Arcipelago Gulag Solženicyn racconta il sistema dei campi di lavoro sovietici e denuncia la violenza, l’oppressione dei regimi totalitari e la menzogna che svuota l’uomo della sua libertà. Il percorso espositivo si propone come strumento educativo e di riflessione, capace di stimolare nei visitatori la consapevolezza sulla necessità della verità e della responsabilità individuale, ponendo l’accento sulla lotta dell’uomo contro ogni forma di oppressione e di disumanizzazione.

Leggi

Aleksandr Skobov. L’ultima dichiarazione del 21 marzo 2025.

Il 21 marzo 2025 il Tribunale militare del 1° distretto occidentale di San Pietroburgo ha condannato il dissidente Aleksandr Skobov, 67 anni, a 16 anni di carcere e 300.000 rubli di multa. Skobov, che è stato perseguito penalmente per la prima volta in epoca sovietica, è stato incriminato in base agli articoli sulla partecipazione alle attività di un’organizzazione terroristica (per la sua collaborazione con il Forum Russia Libera) e sulla giustificazione del terrorismo (a causa dei suoi post e delle sue pubblicazioni). Mediazona pubblica l’ultima dichiarazione di Skobov che anche in tribunale non smette di sostenere apertamente l’Ucraina e di definire procuratori e giudici complici dei crimini di guerra di Putin. Presentiamo il testo in traduzione italiana. Ricordiamo che l’ultima dichiarazione – poslednee slovo – è il discorso che, secondo il sistema giudiziario della Federazione Russa, le imputate e gli imputati hanno il diritto di pronunciare prima che sia emessa la sentenza. Con il progetto 30 ottobre / Proteggi le mie parole abbiamo avuto modo di diffondere in italiano alcune di queste dichiarazioni. Sono testi sinceri, forti, coraggiosi, pronunciati da esponenti dell’intera società russa: giornaliste e giornalisti, studenti, artisti, attiviste e attivisti, ma anche uomini e donne comuni, tutte vittime del regime. Foto di copertina: Mediazona. Non mi soffermerò sul fatto che l’organizzazione di cui ho l’onore di far parte – il Forum Russia Libera – è stata bollata come terroristica da chi ha svolto le indagini, nonostante nessun organismo statale si sia ancora pronunciato in questo senso. Ragion per cui al momento resta soltanto un’organizzazione “non grata”. Certi sofismi nemmeno mi interessano, cercando come cerco di parlare di cose essenziali. E l’essenziale, qui, è la piattaforma del Forum Russia Libera, a cui ho contribuito in prima persona e che distingue il Forum da gran parte delle altre organizzazioni all’opposizione. Una piattaforma che, lo ricordo, può essere riassunta in tre punti. Primo: pretendiamo la restituzione incondizionata all’Ucraina di tutti i territori che la comunità internazionale ha riconosciuto come suoi e che la Russia ha occupato, ivi compresa la Crimea; sissignori: Крим це Україна, la Crimea è Ucraina. Secondo. Sosteniamo tutti coloro che si battono per raggiungere questi obiettivi. Compresi i cittadini della Federazione Russa che si sono uniti volontariamente alle Forze Armate ucraine. Terzo. Ammettiamo qualsiasi forma di guerra contro la tirannia di Putin all’interno della Russia, compresa la lotta armata. Siamo ovviamente e profondamente disgustati dai metodi dell’ISIS, quando a essere prese di mira sono persone innocenti, come nel caso dell’attacco al Crocus City Hall. I propagandisti di guerra del Cremlino, invece, sono o non sono obiettivi legittimi? Il Forum Russia Libera non ha discusso nello specifico la questione né ha sottoscritto alcuna risoluzione in merito; dunque, quella che esprimerò è solo la mia opinione personale. Sono convinto che i guerrafondai come, per esempio, il presentatore televisivo Vladimir Solov’ëv, meritino lo stesso trattamento che si meritò a suo tempo il suo analogo hitleriano Julius Streicher, impiccato dal Tribunale di Norimberga. Finché questi reietti del genere umano non finiranno anche loro di fronte a un nuovo Tribunale di Norimberga, finché la guerra continuerà, sono da ritenersi obiettivi legittimi delle operazioni militari in corso. Il paragone tra i fautori della propaganda di Putin e quelli di Hitler non è per me un espediente retorico. Gran parte dei miei scritti pubblicistici è dedicata a dimostrare che il regime di Putin è un regime nazista, con il quale, per principio, non è possibile pensare a una coesistenza pacifica. Ho fatto e faccio appello innanzitutto all’Europa, esortandola a ricordare le origini dell’attuale sistema europeo. Dal 1945 l’Europa si è adoperata a costruire un mondo in cui ai predatori non fosse più permesso di essere padroni, un mondo basato sul diritto, la giustizia, la libertà e i valori dell’umanesimo. L’Europa aveva fatto grandi passi in questa direzione e sembrava essersi liberata per sempre dagli stermini di massa e dalla spartizione dei confini. L’Europa si era ormai abituata a pensare che questo suo mondo sicuro e prospero fosse adeguatamente protetto da un alleato forte e potente al di là dell’oceano. Oggi, invece, questo suo mondo viene sbriciolato da entrambi i lati da due criminali: il Cremlino e Washington. Anche negli Stati Uniti hanno preso il potere individui con un sistema di valori filofascista. Stiamo assistendo a un tentativo disgustoso di collusione di stampo prettamente imperialista fra due predatori. Una collusione ancora più spregevole degli accordi di Monaco del 1938. Se le annessioni di Putin saranno legalizzate, sarà un disastro per la civiltà. Europa, sei stata tradita, svegliati e vai a combattere per il tuo mondo! Morte agli invasori fascisti russi! Morte a Putin, nuovo Hitler, assassino e criminale! Gloria all’Ucraina! Gloria ai suoi eroi! Queste sono le parole con cui di solito concludo i miei discorsi. Fra poco mi verrà chiesto se mi dichiaro colpevole delle accuse. No, sono io che accuso, qui dentro. E accuso Putin e la sua cricca: puzzate di cadaveri e siete voi ad avere ordito, scatenato e condotto questa guerra di aggressione. Vi accuso dei crimini di guerra commessi in Ucraina. Del terrore politico instaurato in Russia. Di avere rovinato, profanato il mio popolo. E una cosa voglio chiedere ai servi del regime di Putin qui presenti, ai piccoli ingranaggi della sua macchina repressiva: vi dichiarate, voi, colpevoli di complicità nei crimini di Putin? Vi pentite di essere suoi complici? Ho finito.

Leggi

Macerata, 26 marzo 2025. Una testimonianza al femminile sull’universo del GULag e sugli orrori del totalitarismo sovietico.

Mi ricordo il nostro primo pasto. Ricevemmo della minestra bol­lente e ci infilammo da qualche parte per mangiarla. Fummo subito circondate dagli uomini: emaciati, sporchi da far paura dopo aver lavorato in miniera. Una mangiava e decine di occhi la fissavano. Bisognava vederli, quegli occhi: voraci, da lupi. I volti emaciati e que­gli occhi che letteralmente ti divoravano. Davano l’impressione di essere disperati, pronti a strapparci quello che avevamo in mano. Se scostavi qualcosa, una lisca o qualche altra cosa, la afferravano im­mediatamente. Succedeva, specie in quei primi giorni, che rimanesse qualcosa di non commestibile, qualche briciola: la prendevano subi­to. E alla fine leccavano le stoviglie ormai vuote. Era uno spettacolo tremendo. Una non ci aveva ancora fatto l’abitudine. Ti procurava un dolore fisico, assistervi. Mercoledì 26 marzo 2025 alle 17:30 presso la libreria Feltrinelli di Macerata (corso della Repubblica 4/6) si tiene la presentazione del volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, compreso nella collana Narrare la memoria, curata da Memorial Italia per Edizioni Guerini. L’ingresso è libero. Intervengono le nostre Barbara Grzywacz e Giuseppina Larocca con Luca Bernardini e Marco Severini.

Leggi