La resistenza dei buriati e la diversità come antidoto alla Russia di Putin

Da più di due anni la Free Buryatia Foundation lotta per una Russia senza guerra e una Buriazia capace di autodeterminarsi. Aleksandra Garmažapova, Presidente della Fondazione, spiega a Memorial Italia la connessione tra imperialismo, xenofobia e guerra nel paese di Putin.

(di Marco Simonetti, Memorial Italia)


04 settembre 2024 
ore 09:51


Etimologicamente, la parola “paradosso” deriva dal greco e significa “contro l’opinione comune.” La Russia dittatoriale di Vladimir Putin, dove la dissonanza con l’opinione comune – quella imposta dal Cremlino – può essere fatale, è densa di paradossi. Primo fra tutti la guerra per la “denazificazione” dell’Ucraina, in una Russia piagata da un’ideologia sciovinista considerata da molti come vicina al fascismo; secondo, il mandare a morire per il russkij mir – il mondo russo – persone che, in realtà, russe non sono; un terzo paradosso riguarda invece la forma di governo della Federazione Russa che, di fatto, non è una federazione ma uno stato unitario.


L’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel febbraio 2022, tragico “atto secondo” del conflitto scatenato da Mosca nel 2014, ha innescato dei movimenti sussultori degni di nota nella società civile russa, anche e soprattutto tra le popolazioni delle ventuno unità amministrative (“Repubbliche”) che prendono il nome da altrettante minoranze etniche che compongono la popolazione della Federazione Russa.


La Free Buryatia Foundation è una delle realtà che, a due anni dall’invasione dell’Ucraina, si battono per una Russia inclusiva e democratica, in cui le persone appartenenti alle minoranze etniche non siano discriminate. Le dinamiche che riguardano le minoranze etniche in Russia sono complesse: è importante sottolineare che non tutti gli attivisti appartenenti alle minoranze etniche in Russia sono “attivisti decoloniali” (dekolonal’nye aktivisty), cioè a favore della decolonizzazione politica totale, ovvero dell’indipendenza delle Repubbliche non-russe da Mosca.


Mobilitazione e resistenza, per una Russia federale


La Free Buryatia Foundation, che in Russia è la “prima organizzazione etnica contro la guerra,” come si legge sulla pagina Instagram della Fondazione, è un’organizzazione schierata contro la guerra di Mosca in Ucraina, che si batte per l’autodeterminazione della Repubblica di Buriazia all’interno di una Russia inclusiva, democratica e realmente federale. La Fondazione divenne nota a livello internazionale nel corso del 2022, quando denunciò come il numero di persone di etnia buriata morte in Ucraina fosse sproporzionatamente alto rispetto al resto della popolazione russa. La questione è ancora attuale: secondo le autorità russe, al 1° marzo 2024 erano 560 i buriati uccisi in Ucraina, a fronte di 688 caduti moscoviti. Sebbene il numero di morti sia più elevato in termini assoluti tra la popolazione della capitale, il dato più significativo è la proporzione sulla popolazione totale. I moscoviti sono poco più di 13 milioni, i buriati etnici sono appena 464mila; dunque, la mortalità tra i buriati è 23 volte maggiore rispetto a quella dei moscoviti, come ricorda Marija Vjuškova, ex attivista della Free Buryatia Foundation.


Come spiega a Memorial Aleksandra Garmažapova, giornalista e Presidente della Fondazione, l’inizio della mobilitazione a settembre 2022 ha reso impossibile rescindere un contratto con l’esercito. La Free Buryatia Foundation è attiva nel fornire aiuto legale per eludere la mobilitazione: “Siamo regolarmente contattati dai residenti della Buriazia, e non solo,” afferma Garmažapova. Inizialmente, secondo la Presidente, il Cremlino non si aspettava una tale resistenza da parte delle popolazioni non-russe della Federazione, soprattutto considerando l’efficacia della propaganda di Mosca e le forti disuguaglianze economiche – la Buriazia è tra le ultime regioni russe per qualità della vita – che, spesso, spingono i cittadini a diventare kontraktniki, ossia a firmare un contratto lavorativo con il Ministero della Difesa, quindi ad arruolarsi nell’esercito.


Partecipiamo regolarmente a tutte le principali piattaforme della società civile russa e delle istituzioni internazionali, e spieghiamo come l’imperialismo, la xenofobia e la guerra in Ucraina siano collegati l’uno con l’altro,”

aggiunge Garmažapova.


L’aggressione di Mosca contro Kyiv, infatti, ha contribuito a rendere esplicita tale connessione. Non è un caso, dunque, che la Free Buryatia Foundation definisca la guerra in Ucraina xenofoba e imperialista. Si è già visto come, nella guerra per il russkij mir, in proporzione, a morire siano soprattutto i non-russi. Ma non è solo una questione di vittime: la guerra in Ucraina è xenofoba e imperialista dal momento che il Cremlino concepisce come illegittima l’esistenza stessa dell’Ucraina in quanto stato-nazione, la cui lingua, cultura e storia esistono a prescindere da Mosca. Garmažapova spiega come, tra i buriati, la delegittimazione all’esistenza dell’idea stessa di Ucraina sia stata percepita come affine a quella che Mosca porta avanti contro la cultura, la lingua e la storia delle popolazioni indigene della Russia.


Le istituzioni buriate (il governo della Buriazia è composto per il 60% da persone di etnia buriata) mettono a disposizione del governo centrale le proprie risorse, umane e non. Anche la Sangha buddista tradizionale, la principale istituzione buddista russa – de facto ridotta a un dicastero del Cremlino, al pari della Chiesa Ortodossa – appoggia esplicitamente l’invasione dell’Ucraina. La Buriazia, storicamente buddista, è sede dell’Ivolginskij Datsan, un importante complesso monastico, nonché principale centro buddista della Russia. Il capo spirituale della Sangha, Damba Ajušeev, è un convinto sostenitore della guerra in Ucraina: per Ajušeev, difendere il russkij mir significa difendere i valori tradizionali buriati dai fantomatici “valori corrotti” dell’Occidente.


Foto di Marco Simonetti 


Da Kyiv a Ulan-Ude: sciovinismo e discriminazioni


Il caso ucraino e quello buriato “sono sicuramente collegati,” afferma Aleksandra Garmažapova. Ucraini e buriati, che hanno condiviso decenni di storia sovietica, sono entrambi vittime dello sciovinismo russo, le cui origini vanno in parte rintracciate nelle politiche dell’Impero russo e dell’Unione Sovietica. Dopo la cosiddetta “indigenizzazione” (korenizacija) degli anni Venti, negli anni Trenta del Novecento il Partito comunista dell’Urss adottò la linea della “russificazione.” Fu proprio in questo periodo che la lingua buriata passò dall’antica scrittura mongola prima all’alfabeto latino, poi a quello cirillico nel 1939. L’inizio della russificazione scandì chiaramente la gerarchia linguistica nell’Urss, conservatasi nella mentalità dei governanti a Mosca e nel subconscio delle popolazioni non-russe: immaginando una piramide, il russo occupa la cima, in quanto lingua della nazione titolare; le altre lingue, incluse l’ucraino e il buriato, erano e sono considerate lingue minori, “da contadini.” Garmažapova racconta di come, al tempo dell’Unione Sovietica, non fosse inusuale sentire persone di etnia buriata vantarsi di non saper parlare buriato. La consapevolezza e il superamento di questo “trauma,” ancora presente tra le minoranze etniche, è parte di un processo di autocomprensione, di scoperta delle proprie radici storiche e culturali che, secondo Garmažapova, sono le fondamenta di una Russia ben diversa da quella di Putin, priva di cittadini “di seconda categoria.”


Dopo l’inizio della mobilitazione, molti buriati hanno abbandonato la Buriazia. La regione, storicamente, è una terra di partenze. Per un buriato, trasferirsi nelle grandi città della Russia occidentale – Mosca e San Pietroburgo in primis – spesso significa essere vittima di discriminazioni e violenze. Non è raro per un buriato – cittadino della Federazione Russa tanto quanto un moscovita – sentirsi dire “tornatene in Cina,” o non riuscire ad affittare una stanza perché non-slavo; o addirittura essere sottoposto a violenza fisica, come accaduto a ottobre del 2022 all’imprenditore Sajan Galsandoržiev, pestato nella capitale russa per essere di etnia buriata. I crimini d’odio razziale e xenofobo sono, difatti, i più diffusi in Russia: nel proprio rapporto annuale su “Xenofobia, libertà di coscienza e antiestremismo in Russia nel 2023,” il SOVA Research Center (precedentemente conosciuto con il nome di Sova Center, quest’ultimo liquidato nel 2023 dalle autorità russe) ha segnalato 69 crimini d’odio razziale e xenofobo a danno di persone “di aspetto non-slavo,” un numero significativamente più elevato rispetto ai crimini d’odio motivati dall’orientamento sessuale (18), dall’ideologia (15) e dalla religione (1).


Come spiega Garmažapova, il paradosso per eccellenza quando si parla di minoranze etniche come quella buriata è il seguente: da un lato, i buriati sono dipinti dalla propaganda del Cremlino come degli eroi, uno dei volti del “popolo multinazionale” (mnogonacional’nyj narod) della Federazione Russa che combatte contro il regime nazista di Kyiv; dall’altro lato, i buriati sono vittima di razzismo, discriminazioni e violenze, dipinti dalla propaganda di guerra del Cremlino come dei selvaggi ai quali addossare la responsabilità dei crimini più efferati e dell’inumanità della guerra. Da qui, il rapporto contraddittorio con la varietà linguistica e culturale della popolazione russa, cui si contrappone la xenofobia alimentata dall’ideologia del regime, mentre il Cremlino millanta di fare la guerra in Ucraina per difendere i “russofoni” discriminati.


La diversità come antidoto


Per Aleksandra Garmažapova, lavorare in un’organizzazione che difende gli interessi di un gruppo etnico nella Russia di Putin vuol dire cercare di “distruggere le sue fondamenta: la violenza, lo sciovinismo e la mancanza di diversità.”


La Free Buryatia Foundation ripudia i valori della Russia di Putin e si impegna a coltivare la diversità, vedendo in essa un antidoto alla propaganda del Cremlino e alla percezione, interiorizzata da molti buriati, di chi appartiene a una minoranza etnica come una persona “di seconda categoria.”


Per Garmažapova, conoscere le proprie origini vuol dire conoscere e rispettare sé stessi e gli altri; tuttavia, aggiunge la Presidente, la comunità buriata dovrà impegnarsi considerevolmente nell’approfondire la propria conoscenza di sé. A questo proposito, la Free Buryatia Foundation è impegnata nel diffondere e promuovere sistematicamente la conoscenza di storia, cultura e tradizioni buriate.


Per quanto riguarda la lingua buriata, la situazione è, anche in questo caso, complessa. Come spiega la Presidente, “è sbagliato affermare che le istituzioni della Repubblica di Buriazia non sostengano in alcun modo la lingua buriata.” Il problema centrale della diffusione della lingua buriata sta nell’assenza di un robusto ambiente linguistico (jazykovaja sreda): in Buriazia, oggi, non c’è la necessità di imparare il buriato, la cui conoscenza non porta vantaggi nella vita quotidiana e lavorativa. E mentre l’insegnamento scolastico delle lingue nazionali – qualsiasi lingua che non sia il russo – è stato reso facoltativo con una legge del 2018, a giugno 2024 l’Associazione culturale Pan-Buriata (Vseburjatskaja associacija razvitija kul’tury) – presieduta dal buriato Čimit Balžinimaev, membro del partito di Putin, Russia Unita – lancerà il reality show a premi “Impara il buriato.”


Ma le attività della Free Buryatia Foundation vanno oltre l’aiuto legale e la divulgazione. Nonostante la Fondazione non offra concretamente servizi di supporto psicologico, il suo lavoro ha ricadute positive sul morale dei buriati, in Buriazia e nel mondo. Come spiega Aleksandra Garmažapova, con il tempo la Fondazione ha “formato una sorta di comunità, nel tentativo di sostenere psicologicamente i buriati che si schierano contro la guerra. Per molti versi, i materiali che pubblichiamo sono dedicati a loro: cerchiamo di mostrare loro che non sono soli.”


Una società diversa, tollerante e consapevole “è pericolosa per Putin,” afferma la Presidente, “perché la rende immune alla propaganda.”



Organizzazione indesiderata


Non sorprende, dunque, che le autorità russe percepiscano la Free Buryatia Foundation come una minaccia. Il 10 marzo 2023, la Fondazione è stata dichiarata “agente straniero” (inoagent); il 1° settembre dello stesso anno è stata dichiarata “organizzazione indesiderata” (neželatel’naja organizacija) e definita dalle autorità una “minaccia all’integrità territoriale della Russia,” nonché uno “pseudo-gruppo per i diritti umani” che starebbe in realtà fomentando sentimenti separatisti e collaborando con i governi occidentali all’introduzione di sanzioni contro le autorità russe. Aleksandra Garmažapova, lei stessa condannata in absentia a sette anni di carcere per aver violato la legge liberticida sulle “fake news,” afferma che le misure persecutorie del Cremlino non influenzano il lavoro della Fondazione, anzi “testimoniano la sua efficacia.”


Allo stesso tempo, tuttavia, gli abitanti della Buriazia devono prestare attenzione. “Siamo a conoscenza di casi,” racconta Garmažapova, “in cui delle persone sono state convocate presso il Servizio federale di sicurezza (Fsb) in Buriazia e interrogate per sospetta collaborazione con la Free Buryatia Foundation. Dopo gli interrogatori, diverse persone sono state costrette a lasciare la Russia.” Al momento, dato che la Fondazione è sia “agente straniero,” sia “organizzazione indesiderata,” i suoi attivisti sconsigliano a lettori e sostenitori ancora in Russia di ripubblicare i suoi materiali, proprio perché questo espone chi lo fa a procedimenti giudiziari, anche penali. Per questo motivo, la Fondazione non coinvolge nelle proprie attività persone che vivono in Russia. Aleksandra Garmažapova, che al momento non si trova nel Paese e subisce in prima persona le persecuzioni del Cremlino, racconta: “Ovviamente, queste persecuzioni influiscono sulla mia vita: non posso tornare a casa, mi è sconsigliato di visitare molti Paesi da cui potrei essere estradata in Russia, e nel centro di Ulan-Ude [la capitale della Buriazia, NdR] è appesa la mia foto, con su scritto ‘ricercata’.”


Dal suo esilio forzato, Garmažapova sottolinea l’importanza che gli oppositori delle grandi città e delle regioni centrali della Russia collaborino, comunichino e ascoltino quelli che vivono nelle regioni più periferiche perché, come spiega la Presidente, le due parti, spesso, perseguono gli stessi obiettivi, ma usano parole diverse. Da parte sua, la Free Buryatia Foundation lotta per una Buriazia democratica, capace di autodeterminarsi e di vivere al di fuori della spirale xenofoba: la Fondazione, infatti, si schiera a difesa di tutti i dissidenti, a prescindere dall’etnia, come nel caso della pensionata di etnia russa Natalia Filonova, arrestata a Ulan-Ude a settembre del 2022 per le proprie posizioni contro la guerra in Ucraina. L’astio del Cremlino è la prova che il regime teme realtà come la Free Buryatia Foundation, perché perseguono obiettivi nobili e lungimiranti, che promuovono un cambiamento profondo e sistemico proveniente dal basso, oltre qualsiasi forma di razzismo e violenza. Per una Russia più inclusiva e meno discriminatoria, senza spazio per i paradossi.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Torino, 16 maggio 2025. Memorial Italia al Salone internazionale del libro. “La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956” di Anna Szyszko-Grzywacz.

In occasione del Salone internazionale del libro di Torino venerdì 16 maggio alle 18:00 presso l’Auditorium Polo del ‘900 (via del Carmine 14) Memorial Italia in collaborazione con Comunità polacca di Torino, Consolato generale di Polonia in Milano, Consolato di Polonia in Torino, Fondazione di studi storici Gaetano Salvemini, Università di Torino, Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università di Torino presenta il volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, ultima pubblicazione della collana Narrare la memoria curata da Memorial Italia per Edizioni Guerini. La presentazione prevede i saluti istituzionali di Ulrico Leiss de Leimburg, console onorario di Polonia in Torino, e Caterina Simiand, direttrice della Fondazione Salvemini, l’introduzione di Victoria Musiolek-Romano della Fondazione Salvemini e gli interventi di Krystyna Jaworska dell’università di Torino, Luca Bernardini dell’università di Milano e curatore del volume, e Barbara Grzywacz, figlia dell’autrice. Per maggiori informazioni: Presentazione e lettura del volume “La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956” di Anna Szyszko-Grzywacz | Salone Internazionale del Libro di Torino. Una testimonianza al femminile sull’universo del Gulag e sugli orrori del totalitarismo sovietico. Arrestata nel 1945 a ventidue anni per la sua attività nell’AK (Armia Krajowa), l’organizzazione militare clandestina polacca, Anna Szyszko-Grzywacz viene internata nel lager di Vorkuta, nell’Estremo Nord della Siberia, dove trascorre undici anni. Nella ricostruzione dell’esperienza concentrazionaria, attraverso una descrizione vivida ed empatica delle dinamiche interpersonali tra le recluse e della drammatica quotidianità da loro vissuta, narra con semplicità e immediatezza la realtà estrema e disumanizzante del Gulag. Una realtà dove dominano brutalità e sopraffazione e dove la sopravvivenza per le donne, esposte di continuo alla minaccia della violenza maschile, è particolarmente difficile. Nell’orrore quotidiano raccontato da Anna Szyszko-Grzywacz trovano però spazio anche storie di amicizia e solidarietà femminile, istanti di spensieratezza ed emozioni condivise in una narrazione in cui alla paura e alla dolorosa consapevolezza della detenzione si alternano le aspettative e gli slanci di una giovane donna che non rinuncia a sperare, malgrado tutto, nel futuro. Anna Szyszko-Grzywacz nasce il 10 marzo 1923 nella parte orientale della Polonia, nella regione di Vilna (Vilnius). Entra nella resistenza nel settembre 1939 come staffetta di collegamento. Nel giugno 1941 subisce il primo arresto da parte dell’NKVD e viene rinchiusa nella prigione di Stara Wilejka. Nel luglio 1944 prende parte all’operazione “Burza” a Vilna come infermiera da campo. Dopo la presa di Vilna da parte dei sovietici i membri dell’AK, che rifiutano di arruolarsi nell’Armata Rossa, vengono arrestati e internati a Kaluga. Rilasciata, Anna Szyszko cambia identità, diventando Anna Norska, e si unisce a un’unità partigiana della foresta come tiratrice a cavallo in un gruppo di ricognizione. Arrestata dai servizi segreti sovietici nel febbraio 1945, viene reclusa dapprima a Vilna nel carcere di Łukiszki, e poi a Mosca alla Lubjanka e a Butyrka. In seguito alla condanna del tribunale militare a venti anni di lavori forzati, trascorre undici anni nei lager di Vorkuta. Fa ritorno in patria il 24 novembre 1956 e nel 1957 sposa Bernard Grzywacz, come lei membro della Resistenza polacca ed ex internato a Vorkuta, con cui aveva intrattenuto per anni all’interno del lager una corrispondenza clandestina. Muore a Varsavia il 2 agosto 2023, all’età di cento anni.

Leggi

Forlì, 16 maggio 2025. La russofonia in divenire: identità, cultura, storia attraverso la lente di Kyiv.

Venerdì 16 maggio dalle 13:00 alle 15:00 si svolge a Forlì presso il campus dell’università di Bologna (aula 1.4, padiglione Morgagni, via Della Torre 5) il seminario La russofonia in divenire: identità, cultura, storia attraverso la lente di Kyiv. Intervengono i nostri Elena Kostioukovitch, Marco Puleri e Sara Polidoro. La lingua e la cultura russa sono tra le principali protagoniste (e vittime) della drammatica guerra che ha avuto inizio in Ucraina nel 2014. La difesa della lingua e della cultura russa rivendicata dalle autorità russe, il genocidio dei russofoni nel Donbas denunciato dai gruppi separatisti nell’Ucraina orientale, l’identificazione della lingua e della cultura russa quale lingua del nemico a difesa dell’integrità territoriale ucraina: narrazioni, queste, strumentalizzate nel discorso politico per inquadrare il ruolo e lo status delle prassi culturali in una vera e propria narrazione bellica. Marco Puleri (Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali) e Sara Polidoro (Dipartimento di Interpretazione e Traduzione) discuteranno delle diverse sfaccettature della lingua e cultura russa in Ucraina con Elena Kostioukovitch, scrittrice ucraina di lingua russa, saggista e traduttrice residente in Italia, nota in particolare per avere tradotto le principali opere di Umberto Eco in russo e creato un ponte tra le culture italiana e russa. Nel suo libro Kyiv. Una fortezza sopra l’abisso (2025) Kostioukovitch ripercorre la storia moderna dell’Ucraina attraverso la lente della storia della sua famiglia e della sua città natale, Kyiv. Nel corso del dibattito si parlerà di come si sono sviluppate storicamente la lingua e la cultura russe in Ucraina, di cosa significa oggi parlare e praticare il russo nella vita quotidiana e dell’atteggiamento degli ucraini nei confronti dell’eredità della lingua e della cultura russa durante la guerra. L’evento si tiene in italiano con interpretazione simultanea in inglese. Per maggiori informazioni: Russophonia in-the-making: Identity, Culture, History through the lenses of Kyiv — East european and eurasian studies – Laurea Magistrale – Forlì.

Leggi

Trento, 14 maggio 2025. Vorkuta: una donna nel Gulag sovietico.

I blatnjaki avevano la loro casta e tra di loro c’era il blatnoj anziano, che gli altri ascoltavano, dal momento che la sua parola contava, in quel démi-monde malavitoso. Aveva la sua “moglie” nel campo, l’ucraina Zoja, credo orientale. Rivestita con un montone, sicuramen­te sottratto a qualcuno, se ne stava sempre seduta con lui accanto al focolare. Lui aveva del cibo e se lo mangiavano davanti al fuoco. Una volta, quando ero oramai davvero sfinita, mi recai da loro e gli dissi: “Ascoltami, devi far qualcosa per quel Semën. Perché mi rende la vita impossibile. Io non voglio niente da nessuno, non ho rapporti con nessuno, non c’è niente che mi leghi a nessun uomo. E lui mi perseguita, semplicemente. Non posso fare un passo. Ho paura. Mi picchia. Ma che vuole, da me? Ho o non ho il diritto di decidere con chi voglio vivere?” “A ty obeščala emu čto-to?” (“Ma tu gli hai pro­messo qualcosa?”) mi chiede. “Non gli ho promesso niente!” “Hai accettato qualcosa, da lui?” “No.” “Ma che dura, stupida, che sei! Con lui avresti potuto vivere come un topo nel formaggio. Te ne staresti seduta al kostër (fuoco) come Zoja. Non faresti un bel nulla e avresti tutto fino al gorlo, al collo. Staresti al calduccio e sarebbe tutto così piacevole…”, mi dice. E non aggiunse altro. Signore! Per poco non venni meno. Mercoledì 14 maggio alle 17:30 a Trento (sala conferenze della Fondazione Caritro, via Calepina 1) la Biblioteca Archivio del CSSEO, in collaborazione con Memorial Italia, Edizioni Guerini e il Consolato generale della Repubblica di Polonia in Milano, ospita la presentazione del volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, ultima pubblicazione della collana Narrare la memoria, curata da Memorial Italia. Intervengono le nostre Francesca Gori e Barbara Grzywacz, figlia dell’autrice. Introduce Fernando Orlandi. È possibile seguire l’incontro anche on line tramite piattaforma Zoom, utilizzando il link us02web.zoom.us/j/83008261955.

Leggi