L’arte non è fuori dalla politica. Gergiev, tenace sostenitore di Putin, non dovrebbe esibirsi a Caserta.

Il direttore d'orchestra torna così su un grande palco europeo, finanziato anche da fondi pubblici, a dispetto delle sanzioni che lo hanno colpito in molti paesi. Se in tempi normali, la separazione tra arte e politica può sembrare un principio nobile e difendibile, in tempi di guerra, come quella della Russia in Ucraina, ogni pretesa di “neutralità culturale” suona ingenua, se non complice.

Foto: La Reggia di Caserta
(Carlo Pelagalli, CC BY-SA 3.0,
via Wikimedia Commons)


(di Katia Margolis)


8 luglio 2025 
aggiornato alle 15:20


È notizia di questi giorni che Valerij Gergiev, il direttore d’orchestra russo fedelissimo di Putin, è stato invitato a esibirsi al festival Un’estate da Re nella Reggia di Caserta il 27 luglio. I biglietti sono già in vendita. Un ritorno sul palcoscenico europeo clamoroso e scandaloso dopo anni di boicottaggi dovuti al suo sostegno alla guerra in Ucraina. Gergiev torna così su un grande palco europeo, finanziato anche da fondi pubblici, a dispetto delle sanzioni che lo hanno colpito in molti paesi.


Il direttore d'orchestra Valerij Gergiev
Il direttore d’orchestra Valerij Gergiev
(fonte: Kremlin.ru, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons)

A differenza della Germania, del Regno Unito, dei Paesi Bassi o della Scandinavia, dove molti enti culturali hanno interrotto i rapporti con artisti russi apertamente filo-Cremlino, in Italia si è spesso mantenuta una linea “tollerante” o “neutra” verso chi serve gli interessi del Cremlino, anche se proprio Gergiev dovette rinunciare a una conduzione alla Scala nel febbraio 2022 per essersi rifiutato di condannare l’invasione russa dell’Ucraina. 


In Germania, Gergiev è stato licenziato dalla Filarmonica di Monaco di cui era direttore principale. Nel Regno Unito, dove era stato direttore principale della London Symphony Orchestra prima di trasferirsi a Monaco, è stato escluso dal Festival di Edimburgo, e anche altre collaborazioni sono state annullate. Negli Stati Uniti sono stati cancellati un tour e collaborazioni con orchestre americane. In Francia è stata terminata la sua collaborazione con il Théâtre des Champs-Élysées e con altre istituzioni. In Canada Gergiev è soggetto a sanzioni personali.


L’Italia, invece, è disposta e prontissima a ospitare Gergiev, sottolineando l’importanza del “dialogo culturale”.


Il “dialogo”, però, non è cosa che interessi Gergiev per primo. Valerij Gergiev ha sempre sostenuto pubblicamente il regime di Putin: ha più volte espresso ammirazione per il presidente russo, lodando la sua politica e il suo impegno a “restaurare la grandezza della Russia”. Nel 2014 ha plaudito pubblicamente all’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa. Questa presa di posizione ha suscitato forti critiche a livello internazionale, ma è stata ovviamente accolta con grande favore dall’opinione pubblica russa e dalle autorità preposte, che non hanno lesinato a Gergiev numerosi finanziamenti, promozioni e supporto per le sue attività artistiche. Gergiev è così diventato uno strumento del regime, che ne ha utilizzato la fama internazionale per promuovere una visione politica favorevole al Cremlino.


Nel 2008, Gergiev, che è di origine osseta, ha diretto un concerto a Tskhinvali, in Ossezia del Sud — una regione della Georgia allora sotto il controllo militare russo — presentato come un omaggio alle vittime civili della guerra in Georgia. 


Nel 2014, dopo l’annessione della Crimea, Gergiev ha partecipato a eventi dal chiaro significato politico e di sostegno al governo, come il concerto che ha tenuto a Mosca in onore delle forze armate russe. E, da sostenitore fedele qual è, nel 2023 si è visto affidare la direzione del teatro Bol’šoj di Mosca, il più importante del paese (fin dagli anni Novanta Gergiev dirige anche il secondo più importante teatro russo, il Mariinskij di San Pietroburgo). 


Di conseguenza, nell’attuale discussione sull’opportunità o meno di invitare il direttore russo in Italia, si tende a dimenticare che Gergiev non è semplicemente un artista. È invece e soprattutto un uomo di potere all’interno di istituzioni artistiche nelle quali chi esprime opinioni difformi sulle avventure imperialiste di Putin rischia il posto di lavoro e la libertà personale.


Nel 2016, il direttore si è prestato a un evento artistico-politico funzionale alle alleanze di Mosca con altri regimi dittatoriali. Nella primavera di quell’anno, dopo la conquista di Palmira da parte delle forze siriane fedeli a Bashar al-Assad e di quelle russe, il governo russo organizzò un concerto diretto da Gergiev nel teatro romano della città per celebrare la liberazione della città dall’ISIS. Il concerto fu trasmesso in diretta dalla televisione russa ed ebbe un impatto mediatico notevole. L’evento, in cui vennero eseguite musiche di Sebastian Bach, Sergej Prokof’ev e Rodion Ščedrin, fu interpretato da molti osservatori come una celebrazione propagandistica della presenza militare russa in Siria e come un modo per rafforzare l’immagine di Putin come “leader globale contro il terrorismo”. Di fatto, è stata una strumentalizzazione della cultura per giustificare l’intervento militare russo in Siria, a sostegno del regime di Bashar al-Assad, accusato di crimini di guerra.


Nel 2022, dopo l’inizio dell’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, molti artisti, musicisti e istituzioni culturali hanno chiesto il boicottaggio delle esibizioni di Gergiev, accusandolo di essere complice del regime di Putin.  


E ora, nel luglio 2025, la strumentalizzazione arriva in Campania, con il festival Un’estate da Re (Fondi Coesione Italia 21/27), organizzato e promosso dalla Scabec (Società Campana Beni Culturali), in collaborazione con il Ministero della Cultura, la Direzione della Reggia di Caserta, il Comune di Caserta e il Teatro Municipale “Giuseppe Verdi” di Salerno. Un’Estate da Re è stata presentata nella sede della Regione Campania, a Napoli. Sono intervenuti la direttrice della Reggia di Caserta Tiziana Maffei, il direttore artistico di Un’Estate da Re Antonio Marzullo e il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.


Considerato quanto sopra, è assolutamente necessario intervenire e dire con fermezza: l’arte non è mai fuori dalla politica, soprattutto durante un conflitto sanguinoso in cui civili innocenti vengono uccisi ogni giorno. Non si può ignorare che Gergiev è un sostenitore dichiarato del regime capeggiato da un criminale di guerra, e il suo ritorno in Europa non può essere visto come un evento culturale “neutrale”.


Inoltre, non può essere passato sotto silenzio un altro punto inquietante: il maestro possiede in Italia un vero e proprio impero immobiliare. Il team dell’oppositore russo Aleksej Naval’nyj, ucciso l’anno scorso in prigionia, stima che le proprietà di Gergiev in Italia valgano oltre 100 milioni di euro. Questa ricchezza affonda le radici in un’eredità controversa. La fonte di questo “tesoro” italiano è l’arpista e mecenate giapponese Yoko Nagae Ceschina (1932-2015) che ha vissuto a lungo a Venezia, vedova del conte Renzo Ceschina, morto nel 1982. Anni dopo la morte del marito, la contessa si legò profondamente al direttore russo, tanto da nominarlo suo erede (sembra che Gergiev abbia ereditato un quarto circa delle fortune di Nagae Ceschina). Nel lascito, figurano beni di pregio come il Palazzo Barbarigo sul Canal Grande, decorato con mosaici in vetro di Murano, il Caffè Quadri in piazza San Marco, una villa con 18 stanze all’Olgiata, terreni in Romagna e anche una villa sulla costiera sorrentina. Recentemente, poi, il gruppo Alajmo – celebre dinastia della ristorazione italiana – ha rinnovato per sette anni l’affitto del Caffè Quadri, sborsando 3,5 milioni di euro. Gergiev è l’attuale proprietario dell’immobile. 


Alla luce di tutto ciò, dopo tre anni di una guerra mirante a cancellare la stessa identità ucraina, di bombardamenti di civili, di missili su parchi giochi, di torture e uccisioni di prigionieri, e di innumerevoli crimini di guerra ormai ampiamente documentati, il concerto in Campania rischia di rappresentare un’ulteriore tessera nel mosaico della normalizzazione della crudeltà e della disumanità.


Molti in questi giorni ripetono uno slogan trito e ritrito: “L’arte è fuori dalla politica”. Certo, in tempi normali, la separazione tra arte e politica può sembrare un principio nobile e difendibile.


Ma in presenza di un’aggressione come quella perpetrata dalla Russia contro l’Ucraina fin dal 2014 e poi trasformatasi in una spietata guerra di conquista nel 2022, ogni pretesa di “neutralità culturale” suona ingenua, se non complice.


È inaccettabile che figure pubblicamente legate a un regime che bombarda civili, annienta città, deporta bambini e reprime ogni forma di dissenso, possano continuare a esibirsi nelle sale europee finanziate con fondi pubblici e, peggio ancora, con fondi dell’Unione Europea destinati alla coesione sociale.


L’arte non è mai scissa dalla politica o dalla morale. I teatri, i festival, i palazzi restaurati non sono solo contenitori estetici: sono spazi simbolici, che possono essere strumenti di bellezza, sì, ma anche veicoli di legittimazione politica. Non si tratta di censura, come sostengono con facile e connivente leggerezza alcuni esponenti della politica italiana: la presenza di Valerij Gergiev in Italia è, piuttosto, un fallimento etico da parte delle istituzioni che lo accolgono o lo finanziano. 


L’invito a Gergiev a Caserta, sostenuto anche da fondi europei, appare dunque come una grave contraddizione, un cedimento al soft power russo che rischia di cancellare il confine tra arte e propaganda. Come sottolinea la Vicepresidente del Parlamento Europeo Pina Picierno, usare denaro pubblico europeo per finanziare esibizioni di un noto alleato di Putin è inaccettabile e contribuisce a normalizzare una guerra imperialista e un regime responsabile di atrocità. Mentre De Luca cerca di addobbare questa esibizione con le vesti della tolleranza e del dialogo, Pina Picierno lo mette di fronte a un argomento difficilmente confutabile: dato che esistono molti musicisti russi o bielorussi famosi e talentuosi che hanno condannato la guerra, il fatto che la Regione Campania inviti proprio Gergiev ha un significato anche politico.


Non è un caso che questa futura esibizione venga ampiamente celebrata dai media russi, parte di una narrazione che mira a legittimare e normalizzare l’aggressione. L’arte viene strumentalizzata proprio per questo motivo. Fin dai tempi sovietici, l’arte, la musica e il balletto sono stati mezzi privilegiati della propaganda: interi dipartimenti del KGB lavoravano per costruire un’immagine positiva del regime attraverso queste manifestazioni culturali.


La questione non riguarda la libertà creativa o l’espressione artistica in senso stretto, bensì il ruolo che l’arte gioca nel costruire narrative politiche e nel sostenere o mascherare la violenza e la repressione. 


Quale messaggio invia al mondo l’Italia, che a livello politico sostiene l’Ucraina e condanna l’aggressione russa, quando permette a figure come Gergiev di tornare su un palcoscenico internazionale senza alcuna condizione, a differenza di quanto fatto dalle istituzioni milanesi all’inizio del 2022?


Le sanzioni artistiche, oltre alla revoca del visto o il titolo di soggiorno, sono una risposta necessaria e doverosa per non far diventare l’arte un’arma al servizio dell’oppressione. La cultura ha un potere immenso, ma con esso arriva anche una grande responsabilità: quella di non legittimare chi calpesta diritti umani e libertà fondamentali. 


Chi sostiene che “l’arte deve restare fuori dalla politica” dovrebbe chiedersi: fuori da quale politica? Da quella dei diritti umani, della solidarietà, della difesa delle democrazie? Allora è una neutralità comoda, e amorale. In un tempo in cui le sanzioni sono una delle poche armi pacifiche per fermare un’aggressione militare, ogni forma di indulgenza culturale diventa un segnale di complicità. 

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