Dell'Oglio Paolo

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Cognome: Dell’Oglio

Nome: Paolo

Figlio di: Francesco

Luogo e data di nascita: Nato a Kerch’ nel 1927.

Percorso professionale/politico in URSS: Prende il cognome della moglie Shkuropatov.

Condanna: Deportato con la famiglia in Kazachstan nel gennaio-febbraio 1942.

Liberazione: Torna a Kerch’.

Fonti archivistiche: Su testimonianza di Margherita Le Conte.

 

 

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Grazie a Radio Popolare siamo onorati e felici di ospitare a Milano Oleg Orlov, cofondatore di Memorial ed ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. In copertina: Oleg Orlov durante la lettura della sentenza presso il tribunale distrettuale Golovinskij di Mosca. Foto: Svetlana Vidanova / Novaja Gazeta. In occasione della festa di Radio Popolare All you need is love che si svolge a Milano nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini (via Ippocrate 47) domenica 8 giugno alle 15:30 Oleg Orlov parteciperà all’incontro I confini dell’impero di Putin con Anna Zafesova, giornalista e scrittrice, autrice del recente volume Russia. L’impero che non sa morire, e Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati. Modera Michele Migone di Radio Popolare. Oleg Orlov è stato scarcerato dal centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara il 1 agosto 2024 nel contesto di un ampio scambio di prigionieri politici tra Russia e Occidente. Il 27 febbraio 2024 Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e membro della neoricostituita Associazione Internazionale Memorial, era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario in base all’articolo del codice penale della Federazione Russa che punisce il “vilipendio reiterato delle forze armate”. Orlov è diventato un obiettivo della repressione dopo la pubblicazione dell’articolo Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto. Ricordiamo che nel 2014 l’allora Centro per i diritti diritti umani Memorial e poi nel 2016 Memorial International erano stati dichiarati agenti stranieri e che nel 2021 entrambe le associazioni sono state chiuse in via definitiva con sentenza della Corte suprema della Federazione Russa secondo la quale Memorial avrebbe “diffuso un’immagine falsa dell’Urss come Stato terrorista”. Chi è Oleg Petrovič Orlov? Carattere schivo ma deciso, Oleg Petrovič Orlov è una delle anime del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, nonché membro del Movimento democratico unitario Solidarnost’. Nato a Mosca nel 1953 e biologo di formazione, tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, mentre lavora all’Istituto di fisiologia vegetale dell’Accademia delle scienze, stampa e diffonde volantini con appelli contro la guerra in Afghanistan e riflessioni sulla situazione polacca e sul sindacato Solidarność. Nel 1988 entra formalmente nel gruppo di iniziativa della nascente associazione Memorial di cui diventa di fatto uno dei fondatori. Continua a leggere. “Ci sono momenti in cui è impossibile tacere”Il documentario Ritorno alle repressioni. Oleg Orlov, pubblicato il 22 aprile 2023, fa parte del progetto Priznaki žizni (Segni di vita) di Radio Free Europe / Radio Liberty. In una lunga intervista, a più di trent’anni di distanza dalla fondazione di Memorial, Orlov ammette che le speranze di allora non si sono concretizzate. La Russia è tornata a una situazione di illibertà ancora più grave di quella della sua gioventù, vissuta negli ultimi anni dell’Urss di Brežnev. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il giro di vite del Cremlino all’interno della Federazione Russa è stato violento. In base ai nuovi articoli di legge sulle fake news e sul vilipendio delle forze armate, le pene detentive per diffusione di informazioni indipendenti sulla guerra sono diventate abnormi. Orlov ritiene che le ragioni del ritorno della Russia a una situazione di illibertà siano il militarismo e il mito dell’impero, l’idea che lo stato sia più importante della vita e dei diritti dei cittadini.

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Dmitrij Muratov: “Per favore, scambiate i civili”.

Pubblichiamo in italiano il testo del recente intervento di Dmitrij Muratov, direttore di Novaja Gazeta e premio Nobel per la pace 2021, pubblicato il 25 maggio scorso e indirizzato ai presidenti della Federazione Russa e dell’Ucraina. La traduzione è di Elena Kostioukovitch. Ma guardate che manca poco, credo che presto nel nostro Paese inizieranno a celebrare solennemente la Giornata del boia. I boia riceveranno complimenti, regali, sfileranno tutti orgogliosi nelle loro uniformi da parata. Oggi vi parlerò dei torturatori incaricati dallo Stato. Nel mio Paese è ricomparsa la figura del professionista della tortura, del carnefice. Nell’anno dell’ottantesimo anniversario della vittoria sul fascismo in Russia è tornato il fabbisogno dei carnefici al servizio dello Stato. Chissà se saranno tutti bravi abbastanza… Magari c’è bisogno di facoltà in cui, in aule insonorizzate, si terranno corsi di formazione dove saranno insegnate e applicate, per esercizio, tutte le sevizie, anche storiche, inflitte dall’Inquisizione e dalla Gestapo. I migliori allievi saranno inviati al comando del ministro della giustizia Chujčenko, mentre i peggiori della classe, capaci solo di violentare la gente con il manico della scopa, finiranno nei commissariati di polizia. Una volta il grande scrittore Vladimir Vojnovič mi raccontò di aver incontrato un uomo che nel 1937 era stato prigioniero dell’NKVD e nel 1942 prigioniero della Gestapo. Alla domanda su chi torturasse più ad arte, disse: “Torturavano in ambedue i posti bene, ma c’era una differenza”. Che differenza? “Quelli della Gestapo volevano estorcere ciò che io non volevo dire. Quelli dell’NKVD non avevano bisogno di nulla. Torturavano semplicemente per farlo, e basta”. Questa differenza è semplice e agghiacciante. Le torture inflitte a persone indifese nei centri di detenzione, nei tribunali e nelle prigioni russe servono solo a dimostrare che ogni carnefice esegue ogni ordine che riceve. Torturando, esprime la sua lealtà al Paese e la sua disponibilità a fare qualsiasi cosa per esso. Non senza, ovviamente, provare un certo piacere. Vi racconterò brevemente un po’ di storie. Alcune di esse vi saranno sicuramente note, altre forse le avete dimenticate. Ve le devo rifare presenti, perché a un certo punto smettiamo di prestare l’orecchio alle urla che provengono dalle camere di tortura e dalle aule di tribunale. Proprio come un tempo, negli anni Quaranta del secolo scorso, gli abitanti del villaggio di Dachau non prestavano attenzione all’odore che proveniva dai forni crematori. Uno di loro scrisse nelle sue memorie: “Pensavamo che l’aria dovesse avere quell’odore. Che ci potevamo fare? Era l’odore della nostra patria. Ci eravamo abituati”. Igor’ Baryšnikov, prigioniero politico, pensionato di Kaliningrad, è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione per avere “diffuso notizie false sull’esercito russo”. Ha il cancro, ha la sonda della gastrostomia che gli esce fuori dalla pancia, non può né stare seduto né sdraiato, riesce a malapena a camminare. Per due anni non l’hanno operato e quando finalmente l’hanno fatto sono iniziate gravi complicazioni. Baryšnikov è pressoché cieco, ha già perso la vista da un occhio e quella dell’altro sta peggiorando rapidamente. Quando era libero, Igor’ si prendeva cura della madre anziana e costretta a letto. Quando è morta, lui era in carcere. La giudice, che si chiama Ol’ga, cognome Balanina, gli ha rifiutato il permesso di poche ore per andare al funerale. Vi ho detto il cognome della giudice, vero? Questa persona si chiama Ol’ga Balanina. Andrej Šabanov, 45 anni. È un sassofonista, musicista, viveva a Samara. La sua condanna è per aver pubblicato sui social network alcuni post contro l’”operazione militare speciale”. La condanna ammonta a sei anni (“incitamento all’attività terroristica”). È invalido di seconda categoria, gravemente malato, affetto da psoriasi. Sta letteralmente marcendo vivo. Šabanov si è spogliato in tribunale, ecco la foto, ha chiesto di essere rilasciato in aula, il suo corpo è coperto di piaghe. Il giudice Dmitrij Anan’ev non ha resistito a questo spettacolo e, per non assistere alla scena, ha ordinato che l’imputato fosse riportato in carcere. Nadežda Bujanova, della quale ho già parlato. È una dottoressa di 67 anni, pediatra. È stata denunciata dalla madre di un paziente, secondo la quale la Bujanova avrebbe parlato male del padre del bambino, caduto nel “servizio militare volontario”, e che ciò sarebbe avvenuto in presenza del figlio. In realtà, a giudicare dalle telecamere, il bambino non era nello studio. Non è stata registrata l’audio della visita. Ma quando il bambino di sette anni è stato interrogato da un agente operativo dell’FSB, ha reso una testimonianza in cui, usando parole da adulto e formulazioni tratte dal codice penale, ha spiegato come la dottoressa Bujanova (a parole di quel bambino) “avesse diffuso pubblicamente informazioni palesemente false sulle forze armate della Federazione Russa”. Il bambino non è stato chiamato in tribunale. Bujanova è stata rinchiusa in un centro di detenzione preventiva. Un “attivista patriottico” le ha portato come “dono alimentare” in carcere trenta chili di sale in una spedizione unica, in modo da esaurire il limite delle consegne mensili e lasciarla senza vitamine e cibo. Ora Bujanova è stata condannata. Onestamente, ero sicuro che l’avrebbero lasciata uscire con una multa o una condizionale, la vecchia dottoressa, l’unica non fumatrice costretta a stare in una cella con trenta fumatrici. Ma le hanno dato cinque anni e mezzo di colonia penale. Oleg Belousov, di San Pietroburgo. È anche lui disabile. È stato accusato di “diffusione di notizie false sull’esercito russo” e arrestato. Poi è stato condannato a cinque anni e mezzo di campo. Però lo hanno qualificato come “incline alla fuga”. Cosa significa? Significa che nel corso di ogni notte, diverse volte, a intervalli di due ore, lo svegliano per controllare la sua identità, puntandogli una luce forte nella faccia e obbligandolo a presentarsi. Si creano sofferenze non solo a lui, ma a suo figlio, un ragazzo di 22 anni, che è un disabile mentale. Non ha nessuno oltre a suo padre. Gli investigatori hanno trovato un modo ideale per fare pressione su Belousov. Il figlio è stato fatto passare come testimone nel processo contro il padre. E poiché il figlio è ormai testimone, su questa base, ascoltate!,

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