Italiani in URSS

L’EMIGRAZIONE ITALIANA IN URSS: STORIA DI UNA REPRESSIONE

di Elena Dundovich, Francesca Gori, Emanuela Guercetti
(Gulag. Storia e memoria, Feltrinelli 2004).

“Difendi tu la mia memoria, io sono innocente”.

Vincenzo Baccalà a Pia Piccioni, Odessa 1937
(“L’Unità”, lettera di Pia Piccioni, 26 febbraio 1992)

 

Gli italiani furono imprigionati e morirono in molti nei campi più tristemente famosi del sistema concentrazionario sovietico, ma anche in quelli minori, disseminati nelle regioni più remote dell’immenso territorio dell’URSS. Nei campi del nord-ovest: Soloveckij, Belomoro-Baltijskij, Severnyj železnodorožnyj, Mineral’nyj, Severo-Pečorskij, Rečnoj, a Vorkuta, Segeža, Lokčim, Ust’-Vym, Uchta-Pečora, Uchta-Ižma, Inta, Vjatka; in quelli delle regioni centrali: nel Dubravnyj, Temnikovskij, Sibirskij, Severo-Ural’skij e Obskij, a Krasnojarsk e a Karaganda, nonché nella colonia di lavoro dell’NKVD presso il complesso metallurgico di Čeljabinsk; altri conobbero i lager della Russia nord orientale: il Severo-Vostočnyj e il Beregovoj. In questi luoghi scomparvero, stremati dal freddo, dalla fame e dalle torture, molti degli italiani che, soprattutto tra il 1935 e il 1939, rimasero vittime del terrore staliniano. In totale 27 furono i lager in cui vennero imprigionati, 19 le località di confino o i luoghi di deportazione in cui è stato sinora possibile rintracciare la loro presenza.

Altri non giunsero mai né ai campi di transito né tantomeno alle destinazioni finali. Subito dopo l’arresto, infatti, soprattutto negli anni del Grande Terrore, cioè tra il 1937 e il 1938, vennero fucilati, quasi sempre senza processo, in base alla sentenza di una trojka o dell’OSO (Consulta speciale) dell’NKVD. Molti dei loro corpi giacciono nelle fosse comuni di Butovo o della Kommunarka, due luoghi nei pressi di Mosca tristemente noti dopo il 2000, anno della loro scoperta. Altri forse giacciono fra i trentamila corpi della fossa comune di San Pietroburgo individuata di recente. Complessivamente furono circa 1000 gli italiani che, tra il 1919 e il 1951, subirono una qualche forma di repressione latu sensu: fucilazione, internamento in un campo di concentramento, deportazione, confino, espulsione, privazione dei diritti civili. Il numero, se vogliamo esiguo rispetto ai milioni di vittime sovietiche e alle perdite che subirono altre comunità straniere, sembra rimandare a una vicenda apparentemente marginale, che però assume un rilievo del tutto particolare nel contesto di una riflessione sulla storia non solo sovietica ma anche, più in generale, di tutto il XX secolo. In questa vicenda infatti si riassumono alcuni nodi fondamentali di un’intera epoca: il rapporto fra il Terrore sovietico e la posizione del governo bolscevico nel quadro di un sistema internazionale in rapido mutamento nel corso degli anni Venti e Trenta; l’evoluzione del sistema concentrazionario sovietico come esperienza fondante dello stalinismo e delle sue riforme economiche; la dinamica che si istituì, attraverso la Terza Internazionale, tra Mosca e i partiti comunisti, in particolar modo francese e soprattutto italiano, e che rimase costante non solo negli anni in cui l’emigrazione italiana fu colpita, ma anche in quelli del secondo dopoguerra. La storia degli italiani in terra sovietica è dunque una storia che accompagnò, e insieme riflesse, le tragiche dinamiche della storia sovietica di tutto il periodo compreso tra le due guerre.

Per continuare scarica o leggi tutto il saggio