Il Donbass e il “genocidio”. Il’ja Nuzov esamina queste accuse assurde

Un articolo di Radio Svoboda tradotto da Luisa Doplicher

Il’ja Nuzov, blog su Radio Svoboda, 1.3.2022

https://www.svoboda.org/a/donbass-i-genotsid-iljya-nuzov-ob-absurdnyh-obvineniyah/31728134.html

 

Per giustificare l’invasione russa in Ucraina, Vladimir Putin ha usato più volte il termine «genocidio» per riferirsi alla situazione del Donbass dal 2014 a oggi. Questo termine giuridico ha una definizione abbastanza precisa, ma purtroppo negli ultimi decenni è stato usato sempre più spesso a scopi politici, senza fondamento. Ma da quando il termine è apparso, i politici russi non l’avevano mai usato con tanto cinismo e così infondatamente come ora.

Secondo la Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, adottata nel 1948, rientrano in questo crimine azioni svolte allo scopo di eliminare un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Le azioni vietate comprendono omicidi o serie lesioni arrecate ai membri di quei gruppi in quanto tale. Il genocidio è un crimine internazionale che porta una responsabilità individuale e anche nazionale. Chi compie un genocidio può essere condannato in qualsiasi paese del mondo, oltre che nella Corte penale internazionale o in un tribunale internazionale temporaneo.

Il termine «genocidio» fu coniato nei primi anni Quaranta da Raphael Lemkin, giurista polacco-statunitense, e uno dei primi utilizzi riguardò proprio l’Ucraina, più di preciso la carestia artificiale (Holodomor) che molti ritengono causata appositamente per annientare i contadini ucraini nell’ambito della campagna stalinista per la collettivizzazione dell’agricoltura. Lemkin definì lo Holodomor «un esempio classico di genocidio sovietico». Questa definizione trovò d’accordo come minimo 16 stati, tra cui l’Ucraina, gli Stati Uniti, il Canada, l’Ungheria e la Polonia. Il termine «genocidio» è divenuto di uso corrente dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando comparve nello Statuto del tribunale internazionale di Norimberga, per riferirsi come crimine di guerra all’eliminazione di massa degli ebrei, oltre che di slavi e zingari. Le deportazioni di massa e l’asservimento dei popoli slavi, oltre alla distruzione degli ebrei, rappresentavano una parte della politica della Germania hitleriana.

A Norimberga l’accusa di genocidio portò a condanne, e alla fine di quei processi il termine «genocidio» si è consolidato come un crimine «separato», presto oggetto di una convenzione distinta. Si formulò un’accusa di genocidio per Adolf Eichmann, uno degli organizzatori dell’Olocausto. Purtroppo questa pratica odiosa non si esaurì con i crimini degli stalinisti e dei nazisti. Negli anni Novanta si sono registrati e dimostrati almeno due casi di genocidio: in Ruanda, verso la minoranza etnica tutsi, e anche nella ex Jugoslavia a Srebrenica, dove i soldati della Repubblica serba si sono macchiati di genocidio contro i bosniaci musulmani.

Anche alcuni eventi del passato recente sono considerati dalla società internazionale come possibili casi di genocidio. Si tratta delle esecuzioni extragiudiziali di massa, degli stupri e della riduzione in schiavitù subite dagli yazidi per mano dei combattenti dell’organizzazione terrorista ISIS nel 2014-2015, oltre alla deportazione dalla Birmania al Bangladesh di quasi un milione di musulmani rohingya, accompagnata da stupri e da esecuzioni extragiudiziali di massa. In entrambi i casi lo scopo era eliminare dal territorio un elemento etnico «indesiderato». Il governo birmano è stato denunciato al Tribunale internazionale dell’Aia che sta considerando il caso, mentre riguardo alla situazione in Siria è stato già emesso il primo atto d’accusa.

Esaminando gli esempi qui esposti si chiarisce una cosa: perché sussista un genocidio (e il crimine venga riconosciuto in tribunale come genocidio) è necessario che i responsabili di quel crimine abbiano un certo controllo del territorio in cui vive il gruppo perseguitato. È un elemento tipico di tutti i casi di genocidio, senza eccezione. In altri termini, l’«annientamento deliberato» di un certo gruppo è praticamente impossibile senza l’accesso fisico prolungato alle future vittime. Questo accesso non è possibile durante i combattimenti; l’annientamento intenzionale di un dato gruppo di persone è difficilissimo proprio perché membri di quel gruppo o loro protettori oppongono una resistenza armata, che non permette al nemico di attuare una politica di sterminio.

Gli avvenimenti nell’Ucraina orientale non sono mai stati un genocidio né avrebbero potuto esserlo. Non ci sono alcune prove che l’Ucraina, svolgendo operazioni militari contro i separatisti nel territorio delle cosiddette «DNR» e «LNR», si sia data l’obiettivo di eliminare gli abitanti del Donbass in base all’etnia o all’appartenenza ad altri gruppi. Il numero di vittime conferma l’assenza di tali intenzioni da parte ucraina. Come mostrano i rapporti dell’ONU, in seguito al conflitto armato nel Donbass le perdite di entrambe le parti ammontano a circa 14000 morti e decine di migliaia di feriti; per di più, è quasi impossibile determinare il numero esatto di vittime di ciascuna parte, la loro appartenenza etnica e, in molti casi, la responsabilità delle parti combattenti nei decessi.

Purtroppo i bombardamenti e i combattimenti nell’Ucraina orientale hanno demolito strutture civili e ucciso abitanti, come succede in ogni conflitto; benché si possa definire ciò un crimine di guerra, secondo il diritto internazionale non si tratta di genocidio. Altrimenti l’esercito russo, accusato ora di aver colpito intenzionalmente asili nido, ospedali e abitazioni civili, nell’ultima settimana avrebbe compiuto più volte atti di genocidio. Per otto anni l’Ucraina ha combattuto a est del proprio territorio contro «combattenti irregolari» sostenuti dalla potenza militare russa. A partire dal 2015 (e fino al 24 febbraio di quest’anno) la linea di contatto non si è praticamente spostata, e l’esercito ucraino non aveva nessun accesso al territorio controllato dai separatisti.

La stessa impossibilità da parte dell’Ucraina di attuare un genocidio rende assurde le affermazioni del presidente russo. È chiaro lo scopo di queste affermazioni infondate: consolidare l’opinione della società russa a sostegno della guerra contro l’Ucraina. Proprio per questo il presidente ucraino Vladimir Zelenskij si è rivolto al Tribunale internazionale dell’Aia, accusando la Russia di aver distorto la nozione di «genocidio» per giustificare l’invasione.

 

Il’ja Nuzov dirige il Dipartimento per l’Europa orientale e l’Asia centrale della FIDH – International Federation for Human Rights. Vive a Parigi.

Traduzione a cura di Luisa Doplicher

Foto: Wikimedia commons

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Palermo, 2-6 settembre 2025. MOST. Memorial Open Society Talks Summer School.

A Palermo dal 2 al 6 settembre 2025 Memorial Italia promuove MOST. Memorial Open Society Talks. MOST è una Summer School pensata per studenti e studentesse e giovani giornalisti/e che vogliono approfondire ed esplorare temi trasversali come l’identità, i diritti umani, i regimi politici e la memoria storica in quella vasta e complessa area sociopolitica sorta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che va dall’Europa Orientale fino all’Estremo Oriente. È possibile inviare la candidatura entro il 20 giugno all’indirizzo email most@memorialitalia.it allegando un breve CV e una lettera motivazionale. Perché MOST? L’aggressione militare russa in Ucraina ha indubbiamente riportato al centro del dibattito pubblico italiano un momento di intenso confronto intorno al significato di alcune categorie politiche e culturali universali: nazione e impero; identità e ideologia; democrazia e autocrazia; e, infine, guerra e pace. Tuttavia, nel linguaggio dei media questa nuova tensione si è trasformata molto spesso in una marcata polarizzazione ideologica che ha rivelato, nel corso degli ultimi anni, un certo livello di astrazione e, in misura ancora più evidente, una carenza di base: molti di coloro che scrivono di storia, società e politica ucraina e russa non hanno alcuna conoscenza dei territori e delle culture dei paesi su cui offrono ampie riflessioni. MOST vuole fornire uno spazio libero e indipendente di formazione e scambio, di analisi e approfondimento. L’ambizione è quella di creare una rete di giovani studiosi/e e giornalisti/e che possano contribuire all’elaborazione di nuovi linguaggi per articolare nel dibattito pubblico italiano un’informazione consapevole: l’intento è aiutare a comprendere non solo quanto avviene oggi in Ucraina, ma anche il significato profondo di eredità storiche, retaggi culturali e dinamiche politiche di lunga durata che hanno caratterizzato la formazione di una regione ampia e complessa come l’area post-sovietica. Cosa è MOST? In molte lingue slave MOST significa ponte, uno spazio di raccordo tra culture e storie. MOST nasce come un vero e proprio laboratorio di idee volto a stimolare il confronto tra i diversi linguaggi con cui oggi possiamo approfondire la conoscenza di un’area geografica tormentata di cui si continua ad avere una conoscenza superficiale e in molti casi prevenuta. MOST è una Summer School pensata per studenti e studentesse e giovani giornalisti/e che vogliono approfondire ed esplorare temi trasversali come l’identità, i diritti umani, i regimi politici e la memoria storica in quella vasta e complessa area sociopolitica sorta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che va dall’Europa Orientale fino all’Estremo Oriente. MOST è costruita intorno a 5 giornate, ognuna delle quali è dedicata a un macrotema diverso. Lingua, identità e cultura: come si relazionano tra loro dinamiche linguistiche e appartenenze identitarie e culturali? Quali sono le radici storiche dell’Ucraina di oggi? Società civile e regimi politici: qual è il ruolo della società civile nel fungere da contrappeso ai regimi politici? In cosa i regimi politici sorti nell’area nel corso degli ultimi decenni differiscono dalle democrazie occidentali? Diritti umani: come si è evoluta la situazione dei diritti umani e la lotta per il loro rispetto dalla caduta dell’Unione Sovietica a oggi? Chi sono i difensori dei diritti umani nella Federazione Russa? Come hanno concepito il proprio lavoro e quali sfide stanno affrontando? Come ha funzionato dagli anni Novanta a oggi il sistema giuridico in Cecenia, Daghestan, Inguscezia? Confini e conflitti: come comprendere il grado di contestazione dei confini politici nella regione nel corso degli ultimi trentacinque anni? Quali eredità storiche e pratiche politiche influiscono sulla loro politicizzazione e sull’emergere di nuovi conflitti?  Memoria storica: perché la memoria, individuale e collettiva, svolge oggi un ruolo fondamentale nel processo di autoidentificazione e nella mobilitazione sociale delle nuove comunità politiche? Chi ‘fa’ MOST? MOST vuole essere un importante momento di incontro tra la comunità scientifica che si occupa a vari livelli di spazio post-sovietico e il mondo del giornalismo e della comunicazione. Per questo motivo abbiamo invitato studiosi/e ed esperte d’area come le giuriste del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e giornalisti/e affermati/e come Anna Zafesova (La Stampa, Linkiesta), Eugenio Cau (Il Post) e Daniele Raineri (Il Post), per imparare a maneggiare gli strumenti propri dei rispettivi settori e a sperimentare nuovi linguaggi.  Durante le giornate di MOST sono previste: lezioni con studiose/i d’area sui macrotemi della Summer School; workshop di carattere pratico curati da giornalisti/e; momenti culturali tra cui visite guidate, presentazioni di libri, dibattiti pubblici e commemorazioni. Come unirsi a MOST? Se sei interessato/a ai temi di cui discutiamo a MOST, vuoi far parte di una rete di giovani studiosi/e e giornalisti/e e conoscere da vicino i relatori e le relatrici dei vari incontri, puoi inviare la tua candidatura entro il 20 giugno all’indirizzo email most@memorialitalia.it allegando un tuo breve CV e una lettera motivazionale (max 400 parole) in cui ci racconti dei tuoi interessi e delle tue aspettative. Durante le giornate della Summer School i costi dell’alloggio sono interamente coperti: ci ospita la Casa di Accoglienza il Carmine Maggiore, nel cuore del centro storico di Palermo. Le spese di viaggio e vitto sono a carico dei partecipanti. La quota di partecipazione, utile a contribuire alle spese organizzative, è di €150. Il pagamento viene effettuato dai partecipanti successivamente alla comunicazione di avvenuta selezione. Perché Palermo? Abbiamo scelto Palermo come sede di MOST perché è una città per molti versi di confine, con un passato ricco di memorie intrecciate e un presente in cui la lotta per i diritti umani è parte viva del tessuto urbano. La collaborazione con alcune associazioni presenti nel territorio, come Libera contro le mafie, impegnata da decenni nella lotta alle mafie e nel ricordo delle vittime innocenti, ci permette di affrontare temi cari a Memorial Italia da una prospettiva molto diversa da quella post-sovietica, ma che presenta tante affinità. La presenza di realtà come MoltiVolti, impresa sociale dedicata all’inclusione, alla convivenza e al dialogo tra persone portatrici di culture diverse, consente di tracciare altri fili rossi nelle questioni che riguardano l’identità, i confini, le migrazioni. In vista della nostra prima Summer School abbiamo inoltre voluto chiedere ai nostri partner per quale motivo abbiano

Leggi

Roma, 9 luglio 2025. Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us?

A Roma mercoledì 9 luglio alle 15:00 presso Europa Experience David Sassoli FIDU Federazione Italiana Diritti Umani, come Memorial Italia partner della campagna People First, Human Rights Centre ZMINA, IPHR International Partnership for Human Rights e Europa Radicale con il sostegno di Crimea Platform Office presentano l’incontro Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us? Mercoledì 9 luglio la sede romana di Europa Experience (piazza Venezia 6c) ospita l’incontro Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us? per discutere della attuale situazione della Crimea con particolare riferimento alle gravi violazioni dei diritti umani in corso nei territori occupati dalla Federazione Russa. L’incontro prevede anche la proiezione di un documentario sulla storia dei tatari di Crimea. L’iniziativa si svolge nell’ambito della quarta Ukraine Recovery Conference. La partecipazione è libera previa registrazione all’indirizzo https://forms.gle/8vZpUYHfdF2ZYdKi6.

Leggi

2 luglio 2025. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale all’interrogazione della deputata Lia Quartapelle in merito al caso di Ruslan Sidiki.

Il 2 luglio 2025 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha risposto all’interrogazione presentata il 20 dicembre 2024 dalla deputata del Partito Democratico Lia Quartapelle a proposito del trentaseienne prigioniero politico Ruslan Sidiki, doppia cittadinanza, russa e italiana, attualmente condannato nella Federazione Russa a ventinove anni di reclusione. Di Ruslan Sidiki abbiamo già avuto modo di parlare. Interrogazione della deputata Lia Quartapelle Ruslan Sidiki, 36 anni, è un cittadino con doppia cittadinanza italiana e russa;il signor Sidiki ha rivendicato la responsabilità per le esplosioni avvenute nella base aerea militare di Djagilevo il 20 luglio 2023, e per un sabotaggio alla linea ferroviaria nella regione di Rjazan’, che ha causato il deragliamento di un treno merci, alcuni mesi dopo. Non sono stati riportati decessi e l’obiettivo dichiarato da Sidiki era quello di danneggiare infrastrutture militari;il signor Sidiki è detenuto in carcere dal 1 dicembre 2023. Il 27 novembre 2024 il tribunale di Mosca ha prorogato la sua detenzione cautelare di ulteriori tre mesi, portandola a un totale di 15 mesi. Viene accusato di compiere un atto terroristico, ma Ruslan lo nega ritenendolo soltanto un atto di sabotaggio;secondo una testimonianza raccolta dal media indipendente russo Mediazona, dopo l’arresto il signor Sidiki sarebbe stato sottoposto a reiterate torture fisiche e psicologiche, tra cui percosse, scosse elettriche tramite dispositivi come telefoni da campo e taser, minacce di mutilazioni genitali e stupro, nonché pressioni psicologiche, al fine di estorcergli confessioni e informazioni. Le torture sarebbero avvenute in più fasi: durante l’interrogatorio iniziale, nei trasferimenti e nei giorni successivi all’arresto;l’avvocato del signor Sidiki ha presentato mesi fa una denuncia per torture al presidente del comitato investigativo russo, senza ricevere alcuna risposta ufficiale. Si ritiene che le torture siano cessate grazie alla tutela dell’avvocato, il quale, tuttavia, opera grazie a raccolte fondi volontarie che potrebbero terminare, mettendo a rischio la difesa legale del signor Sidiki;le autorità russe impediscono alle istituzioni italiane di visitare e assistere il signor Sidiki, in quanto risulta entrato in Russia con il passaporto russo e quindi considerato esclusivamente cittadino russo –:quali iniziative siano state adottate, o si intenda adottare, per garantire che il signor Ruslan Sidiki, cittadino italiano, riceva un processo equo, venendo tutelato da violazioni dei diritti umani durante la detenzione;se il Governo abbia chiesto chiarimenti alle autorità russe in merito alle accuse di tortura denunciate dal signor Sidiki e quali risposte siano state ottenute. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale segue sin dal principio il caso del signor Ruslan Sidiki, doppio cittadino italo-russo, benché non sia mai pervenuta alcuna comunicazione ufficiale dalle Autorità russe in merito al suo arresto.Il signor Sidiki fu fermato presso l’aeroporto di Vnukovo, a Mosca, a fine novembre 2023 in quanto sospettato di aver fatto esplodere l’11 novembre 2023 un treno merci nella regione di Rjazan’, circa 200 chilometri a sud della capitale. Il Consolato generale a Mosca, appresa la notizia da fonti stampa russe nella mattinata del 1 dicembre 2023, si attivò prontamente per le opportune verifiche sul caso.Il signor Sidiki risulta residente a Rjazan’ a seguito del trasferimento, nel 2008, dal comune di Siracusa. È in possesso di un passaporto italiano dal 2012 e rinnovato, da ultimo, nel 2022.Da fonti stampa russe si è appreso che il signor Sidiki si sarebbe dichiarato colpevole durante l’interrogatorio e sarebbero stati aperti a suo carico due procedimenti penali per terrorismo e acquisizione illegale e trasferimento di esplosivi. Gli sarebbero stati imputati il concorso in un attacco con droni all’aeroporto militare di Djagilevo il 20 luglio 2023 e il deragliamento a mezzo esplosivi di un convoglio ferroviario l’11 novembre dello stesso anno.Nel corso delle azioni investigative, al signor Sidiki sarebbero stati sequestrati componenti per la fabbricazione di esplosivi e ordigni esplosivi, mezzi di comunicazione e supporti elettronici contenenti foto e video delle azioni commesse.L’11 dicembre 2023 sono state riformulate le accuse a carico del connazionale. Il signor Sidiki è stato accusato di aver commesso nell’interesse dell’Ucraina i reati, tra gli altri, di possesso, trasporto e vendita illegale di esplosivi, e preparazione di attività terroristica.Il Consolato Generale a Mosca ha in più occasioni sollecitato il Ministero degli esteri russo per ottenere aggiornamenti sul caso, ricevendo solo risposte interlocutorie, e ha formalizzato da tempo una richiesta di visita consolare.L’acquisizione di informazioni risulta particolarmente difficile a causa della doppia cittadinanza del signor Sidiki. Il Governo russo è infatti molto restio nel consentire alle autorità diplomatico-consolari straniere di agire a tutela di doppi cittadini che abbiano anche la cittadinanza russa.Nel caso di specie, la situazione è resa ulteriormente complessa dal fatto che il signor Sidiki ha acquisito la cittadinanza italiana a seguito di quella russa, che invece possiede dalla nascita.Tutto questo avviene, peraltro, nel quadro di relazioni con la Federazione russa gravemente pregiudicate a seguito della ingiustificata aggressione dell’Ucraina.Il Consolato Generale a Mosca si è mantenuto in contatto costante con il legale del connazionale.Il 3 ottobre 2024 l’avvocato ha ricevuto l’autorizzazione – negata due volte in precedenza – ad effettuare una visita al suo assistito nel centro di custodia cautelare di Mosca n. 5.Il 15 aprile 2025 il legale ha informato il Consolato che il signor Sidiki è stato portato a Rjazan’ e che i seguiti del processo si sarebbero tenuti presso il Tribunale Militare di Rjazan’, luogo di nascita del connazionale e di presunto compimento dell’attentato.Il 23 maggio 2025 si è tenuta a Rjazan’ l’udienza dibattimentale del processo al connazionale Ruslan Sidiki, cui hanno partecipato in qualità di osservatori rappresentanti del Consolato Generale a Mosca, in seguito alla quale è stata pronunciata sentenza di condanna a ventinove anni di reclusione in primo grado.Da quanto appreso dal legale del connazionale, il signor Sidiki sarebbe intenzionato a fare ricorso e a richiedere di essere inserito in un programma di scambio di prigionieri.Il Consolato Generale a Mosca continuerà a sollecitare un riscontro dalle autorità russe circa la richiesta di visita consolare e a seguire il caso con attenzione, in stretto raccordo con la Farnesina. Illustrazione in copertina di Marija Tolstova /

Leggi