Voci dalla guerra. Hanna Mykolajivna, profuga di Serebrjanka: “Abbiamo visto dal finestrino uomini che reggevano i rottami della ferrovia per farci passare”

Pubblichiamo qui la trascrizione della seconda intervista realizzata per il progetto "Voci dalla guerra". A parlare è Hanna Mykokajivna, costretta a lasciare fortunosamente il paese di Serebrjanka con la nipote per salvarsi dai bombardamenti russi.
 

Pubblichiamo qui la trascrizione della seconda intervista realizzata per il progetto “Voci dalla guerra”. Il video dell’intervista coi sottotitoli in italiano a cura delle traduttrici Luisa Doplicher, Sara Polidoro e Claudia Zonghetti, è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia cliccando qui. A parlare è Hanna Mykokajivna, costretta a lasciare fortunosamente il paese di Serebrjanka con la nipote per salvarsi dai bombardamenti russi. La sua testimonianza è stata raccolta da Taras Vijčuk (foto di Oleksandr Vijčuk).


04.11.2022

 

“Abitavamo nel paese di Serebrjanka, nel distretto di Bachmut, regione di Donec’k”- inizia il suo racconto la signora Hanna.



Com’è arrivata la guerra nella sua vita?


Era la mattina del 24 febbraio. Mi ero svegliata, volevo preparare mia nipote per la scuola. Alle 5:30 sono uscita e ho sentito dei boati che venivano dalla zona della scuola. Ho chiamato la maestra e ho chiesto: “Che succede laggiù? Perché io dovrei portare la bimba a scuola”. Mi ha risposto: “Non venite, ho visto su internet che stanno bombardando l’aeroporto militare di Kramators’k”. Dopo mezz’ora ho sentito che iniziavano a bombardare da Kramators’k a Slov’’jans’k. Kreminna, Rubižne, Lysyčans’k, Sjevjerodonec’k, Popasna. Da quando sono iniziati i bombardamenti, il 24, facevano pause di soli venti minuti: Le bombe sono cadute per trentacinque giorni di fila, giorno e notte, giorno e notte. Quando un aereo è volato verso Popasna, è passato così basso sopra la nostra casa che mia nipote per molto tempo non ha sentito da un orecchio. Grazie a Dio ora ci sente benissimo.


Dove stavate durante i combattimenti?


Stavamo quasi sempre in cantina. Mio figlio aveva costruito un fornello con i mattoni, perché faceva freddo. In cantina stavamo al caldo e a volte ci dormivamo.


Ha assistito alla distruzione di obiettivi civili?


Ho visto bruciare a Rubižne la fabbrica “Zarja”, che produce cartone. C’erano talmente tante fiamme e fumo che si distingueva tutto a venticinque chilometri di distanza. Poi hanno messo a fuoco la raffineria di Lysyčans’k, si vedeva anche quello. Il 6 aprile sono venuti i soldati ucraini e hanno iniziato a controllarci i documenti. Entravano in ogni casa, controllavano i documenti e guardavano se c’erano russi in cantina. Mi sono avvicinata e ho chiesto: “Che posso fare? Tenere mia nipote in cantina è davvero dura. Devo cucinare per lei, lavarla. Non la lavo da un mese, perché ho paura che proprio mentre le faccio il bagno ci sia un bombardamento e venga giù il tetto di casa”.


Nel 2014 davanti a me era esploso un razzo, erano volate via le finestre e si era staccato mezzo tetto.


Succedeva nel paese di Serebrjanka, regione di Donec’k, distretto di Bachmut. Avevo visto tutto questo e avevo paura di altri bombardamenti russi, ma ora c’era mia nipote con me. Ero spaventatissima per lei. E così, quando sono arrivati i nostri soldati, ucraini, e io ho chiesto aiuto, loro mi hanno detto: “Per favore, se ne vada via da qui, lasci Serebrjanka, perché altrimenti sua nipote si spaventerà”. Ho risposto: “Sono d’accordo, ma mi dispiace abbandonare la casa dove ho vissuto per cinquant’anni”. Eppure quella notte ho deciso di andar via, per il bene di mia nipote.


Com’è andata via da Serebrjanka, il suo paese?


Era il 7 aprile, l’Annunciazione. Abbiamo aspettato a lungo alla stazione di Kramators’k; c’erano più di tremila persone. Aspettavamo il treno Kramators’k-L’viv. La sera ci hanno detto che potevamo salire, e siamo saliti sul treno. Verso le 20:00 ci hanno detto che il treno non sarebbe partito. Ero con mia nipote, mio figlio, e mia cognata con tre figli. Quando hanno detto che il treno non sarebbe partito, la polizia ci ha mandati tutti nel parco. Poi si sono avvicinati i soldati ucraini e ci hanno detto che la linea ferroviaria era stata danneggiata, forse in zona Slov’’jans’k o Lozova. Siamo rimasti lì, e dopo quaranta minuti sono venuti di nuovo i soldati a dirci: “Ora potete salire sul treno”. Il viaggio è stato pesante, il treno andava lentissimo, un millimetro alla volta.


A Slov’’jans’k abbiamo visto dal finestrino uomini che reggevano i rottami della ferrovia per farci passare.


Faceva davvero paura, ma grazie a Dio siamo arrivati senza problemi. E l’indomani due missili hanno colpito il posto dove eravamo rimasti in attesa. Se fossimo restati lì, ora non ci saremmo più. Nella città di Sivers’k, vicina al nostro paese, ci sono state vittime.  


In che condizioni è ora Serebrjanka?


Hanno iniziato a chiamarmi quelli che sono rimasti lì. Il fuoco l’ha raso al suolo, non è rimasta illesa neanche una casa. L’asilo dove lavoravo è andato a fuoco. In ogni strada c’è magari una casa distrutta e le altre sono bruciate. Serebrjanka non esiste più.


Qualcuno abita ancora a Serebrjanka?


Forse ci sono rimasti dieci-quindici anziani, ci sono ancora i volontari ad aiutarli. Ieri ho chiamato un amico che nel 2014 ci aveva dato una mano a sistemare il tetto. Dice che porterà via tutti, perché da un mese sono senz’acqua, elettricità e cibo.


Sua nipote soffre ancora di traumi psicologici?


Credo di sì, ma ora sta meglio. Quando non ci sentiva da un orecchio la notte non dormiva, piangeva. Aveva paura, veniva a dormire nel letto con me. Poi ha iniziato ad avere un tic all’occhio. L’aveva spaventata moltissimo quell’aereo [che volava basso], per il gran rumore che aveva fatto. Le dicevo: “Alenka, sbrigati a mangiare, perché adesso devi andare nell’angolo”. In tutti quei trentacinque giorni aveva il letto in un angolo, dove c’erano tre muri, in modo che non le finissero addosso pezzi di vetro delle finestre. Ero molto preoccupata per lei. Poi ha iniziato a torcersi le mani di continuo, era agitatissima. Poco tempo fa sono stata con lei in ospedale (aveva un’intossicazione). Ho parlato con il medico, le ha prescritto vitamine e detto che se se stava ancora male avrebbero dovuto curarla, darle delle medicine, perché è traumatizzata. A ogni rumore mi chiede: “Nonna, che cos’è?”. Addirittura, quando si sentono passare le macchine, va a vedere e dice: “Nonna, non è che arrivano i soldati russi?”. È ancora spaventata.


Qual è l’atteggiamento verso i russofoni dalle vostre parti?


Da noi per lo più si mescolano le lingue: il russo e l’ucraino. Ma la maggioranza parla russo. Molta gente parla russo, la maggioranza. Mia nipote conosce alla perfezione entrambe le lingue. A Serebrjanka viveva molta gente che non parlava affatto ucraino. Ma nessuno se la prendeva con loro, non c’era nessun obbligo, nessuno veniva discriminato per la lingua che parlava. Nel 2014 qui ha iniziato a trasmettere un canale russo. La Russia comunicava queste informazioni: nel Donbas sono arrivati i banderisti (appellativo usato per definire i nazionalisti ucraini oggi, fa riferimento a Stepan Bandera, un nazionalista ucraino vissuto nella prima metà del Novecento, accusato di collaborazionismo con i nazisti – N.d.T.), che vogliono uccidere chi parla russo. La gente ha finito per credere a queste storie e si è spaventata moltissimo. Quando poi sono arrivati i soldati ucraini, che non facevano del male a nessuno, tutti hanno capito che il canale russo diceva fandonie.


Anche adesso hanno iniziato a trasmettere canali russi, che di nuovo sostengono: “Arrivano i banderisti, bisogna spazzarli via, li uccideremo tutti con bombardamenti mirati.”


Ho visto in tv un militare che lo diceva. Così alcuni hanno continuato ad aspettare il “mondo russo”. Ma quando hanno visto che il “mondo russo” si è messo a sparargli addosso, hanno lasciato Serebrjanka. Così è andata. Addirittura qualcuno è venuto a chiedermi: “È vero che sono arrivati i soldati ucraini e che ci uccideranno? Lei lo saprà, dato che viene dall’Ucraina occidentale, no?”. Sono nata nella regione di L’viv, nel distretto di Skole. Per questo chiedevano a me. Ho detto: “Sappiate una volta per tutte che i soldati ucraini non vi torceranno un capello. Li conosco, sono cresciuta in mezzo a loro. So che sono onesti e imparziali. Ti darebbero l’ultimo pezzo di pane e si toglierebbero la camicia di dosso per darla a te. Li conosco bene”. Mi hanno creduto, e così abbiamo vissuto per otto anni. C’erano in giro i nostri soldati ma non trattavano male nessuno.


Ci sono state persone che aspettavano l’arrivo dei militari russi?


La gente era incerta, non sapeva dove andare. All’inizio non capiva chi era che ci sparava addosso. Ma c’erano anche molti che aspettavano l’arrivo dei russi. Dicevano addirittura che presto avremmo usato i rubli. La gente era divisa: chi parteggiava per l’Ucraina, chi per la Russia. Questa era la situazione a febbraio, quando è iniziata la guerra. Alcuni dicevano: “Quando arrivano i russi camperemo meglio, aumenteranno le pensioni e i prezzi scenderanno”. In qualche modo ci hanno creduto finché non hanno visto da dove arrivavano i missili, chi sparava, chi distruggeva Kramators’k, Lysyčans’k e Sjevjerodonec’k. Molti abitanti di queste città sono arrivati da noi, scalzi, mezzi nudi, affamati. Li abbiamo aiutati. Anche a casa mia è arrivato qualcuno, un giovane con moglie e figlio. Pensavano che la Russia sarebbe arrivata e tutto sarebbe andato bene. Ma poi ho parlato con lui: “Capisci che cosa succede e chi è che spara?”. Ha risposto: “Ormai ho capito tutto”.


La guerra ha fatto cambiare idea agli abitanti prorussi di Serebrjanka?


Secondo me dopo questa guerra dovrebbero capire chi è il loro nemico. Dovrebbero capire non solo a parole, ma proprio nel cuore, che l’Ucraina è la nostra patria. Se vogliono essere cittadini russi, prendano l’aereo e vadano in Russia, non li ferma nessuno. Ma se vivono in Ucraina dovranno capire che ad aggredirci è stata la Russia. Non ha iniziato a sparare l’Ucraina. Che senso avrebbe? L’Ucraina non spara sui propri cittadini, non uccide bambini e adulti. Invece la Russia ci ha aggredito e ci spara addosso. Secondo me dopo questa guerra, dopo tutti gli orrori che hanno visto, capiranno tutto. Penso che tutto andrà bene.

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Padova, 5 giugno 2025. Student Advocacy Day. Academic Freedom and Belarus: storytelling and advocacy.

Si tiene giovedì 5 giugno 2025 dalle 9:00 alle 17:30 presso il Complesso Beato Pellegrino (via E. Vendramini 2) dell’Università degli Studi di Padova lo Student Advocacy Day, quest’anno dedicato alla situazione della libertà accademica in Belarus. L’incontro Academic Freedom and Belarus: storytelling and advocacy è l’appuntamento conclusivo dello Scholar at Risk Student Advocacy Seminar dell’Università di Padova, tenuto da Claudia Padovani e Francesca Helm. Le/i partecipanti hanno avuto modo di studiare il caso delle loro colleghe e dei loro colleghi che in Belarus hanno subito persecuzioni da parte del regime di Lukašenkaù, brutali pestaggi e torture fisiche e psicologiche nelle carceri. Nella giornata conclusiva saranno presentati i risultati del lavoro e saranno ascoltate le testimonianze di studentesse e studenti bielorussi perseguitati. Il pomeriggio sarà dedicato invece all’editoria e alla letteratura, con la testimonianza di Ihar Ivanou di Skaryna Press, casa editrice bielorussa costretta a operare all’estero. Sarà presentata l’antologia di poesia bielorussa tradotta in italiano Il mondo è finito e noi invece no, curata dalla nostra presidente Giulia De Florio, i nostri Alessandro Achilli e Massimo Maurizio insieme a Dmitrij Strocev e Maya Halavanava, con la presenza della poetessa Hanna Komar. Infine, studentesse e studenti dell’Università di Padova terranno un reading di poesia bielorussa.

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