Voci dalla guerra. Paul Hughes, volontario canadese: “Resteremo in Ucraina fino alla fine”

Denys Volocha ha intervistato il volontario canadese Paul Hughes, presente in Ucraina con l’associazione HUGS, da lui fondata col figlio. Hughes ha rischiato di essere imprigionato dai russi mentre tentava di recuperare una bambina ucraina, ma dopo sette ore d’interrogatorio è stato rilasciato. Nell’intervista racconta della sua attività in Ucraina.

Denys Volocha ha intervistato il volontario canadese Paul Hughes, presente in Ucraina con l’associazione HUGS, da lui fondata col figlio. Hughes ha rischiato di essere imprigionato dai russi mentre tentava di recuperare una bambina ucraina, ma dopo sette ore d’interrogatorio è stato rilasciato. Nell’intervista racconta della sua attività in Ucraina.

La testimonianza di Hughes è stata raccolta per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.

Denys Volocha
15.02.2024

L’organizzazione del canadese Paul Hughes ha compiuto oltre trecento missioni in Ucraina: durante una di queste, è stato interrogato per sette ore dai russi.

«È stato il momento più spaventoso della mia vita. Ero sicuro che sarei morto». Così Paul Hughes (59 anni) descrive l’episodio più drammatico dei suoi due anni di volontariato in Ucraina.

Nel luglio 2022, mentre era nella zona di Borodjanka, ha ricevuto la richiesta di evacuare una bambina di sei anni dalla “zona di Zaporižžja”. Non poteva dire di no. Una volta a destinazione, però, ha scoperto che la bimba si trovava nella parte della regione di Zaporižžja occupata dai russi. L’uomo, un ex militare, ha deciso di rischiare, ma ben presto se n’è pentito.

A un posto di blocco è stato fermato dai russi. Quando sono riusciti a trovare una persona che parlava inglese, Paul ha capito che volevano portarlo via e requisire il suo veicolo. «Non considero mai niente come un gioco, però quel gioco per me era finito» commenta.

Il cinquantanovenne canadese gestisce un’organizzazione di volontari da un garage di Charkiv, dove riparano automobili militari.
Denys Volocha/Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv

L’hanno portato a Vasylivka, dove gli occupanti avevano già allestito un loro presidio. È iniziato un lungo interrogatorio. Ritenevano che Paul fosse una spia occidentale, mentre lui provava a dimostrare di essere soltanto un volontario.

Quando il comandante è entrato nell’edificio, Paul ha pensato di trovarsi davanti al suo boia. La comunicazione tra i due è stata facilitata dall’hockey.

«Quindi lei è del Canada?» ha chiesto il russo. «Le piace l’hockey?».
«Sì, certo, adoro l’hockey, da bravo canadese».
«Qual è il suo giocatore preferito?»
«Ovečkin» ha risposto Paul, pensando all’hockeista apprezzato da Putin.
«Ovečkin?! Ma Ovečkin fa schifo!» ha replicato il comandante russo con tono inaspettatamente sdegnato.
«Tret’jak?» ha rilanciato Paul che, dopo un attimo di riflessione, ha optato per un famoso giocatore russo (sovietico).
«Oh, Tret’jak è bravissimo!» ha risposto il tizio, rabbonendosi all’istante.

Malgrado la sua aria burbera, Paul riferisce di aver percepito comprensione da parte del capitano quando, dopo sette ore di interrogatorio, sono usciti a fumare: «Ho capito che dietro quella corazza e quella divisa c’era effettivamente una brava persona». Alla fine Paul ha chiesto che ne sarebbe stato di lui e delle sue cose e si è sentito rispondere che gli avrebbero restituito tutto e l’avrebbero lasciato andare.

© Denys Volocha, Gruppo per la Difesa dei diritti umani di Charkiv

Quella volta Paul Hughes ha avuto davvero fortuna: è persino tornato nel loro presidio per farsi rilasciare una sorta di dichiarazione. Non voleva che la vicenda si ripetesse al successivo posto di blocco, anche se è facile immaginare quante volte, quel giorno, il suo cuore grande avrebbe battuto.

Con l’aiuto di uno del luogo, Paul si è collegato al wi-fi e ha capito di essere soltanto a un chilometro e mezzo dal posto dove avrebbe dovuto prelevare la bambina e le altre persone. Si è diretto subito verso il punto indicato da Google Maps e ci ha trovato un vecchio garage e un distributore bombardato.

«Ho gridato: ‘Ehi! C’è nessuno?’. Qualcuno si è affacciato a guardare, ed era proprio la bambina che cercavo. Ha visto me, la mia automobile e la bandiera canadese, si è messa a correre e mi è saltata in braccio. Tremava tutta».

Paul aveva appena sistemato la bimba e le altre tre persone nel veicolo quando è iniziato un cannoneggiamento. Senza esitare un attimo, è partito di corsa e ha lasciato l’area occupata, e alla fine è riuscito a portare la bambina fino alla frontiera ucraino-polacca dove l’attendeva la madre.

«Sembrava divertirsi mentre io guidavo a tutta velocità. Era una bambina coraggiosissima». Così Paul commenta l’evacuazione.

È stata una delle oltre trecento missioni svolte dall’organizzazione HUGS, fondata da Paul Hughes insieme al figlio Mac.

Hanno riparato più di trecento automobili

Abbiamo incontrato Paul nel loro garage a Charkiv, dove volontari di diverse parti del mondo riparano veicoli sia militari che privati. Paul ci mostra una parete di truciolato costellata di fotografie e numeri relativi ai viaggi compiuti in due anni. Qualcuno chiede informazioni su Vovčans’k, e lui gli dice subito il tempo esatto che occorre per arrivarci. L’organizzazione HUGS, che sta per “Helping Ukraine Grassroot Support” (Aiuto e sostegno di base all’Ucraina), ha programmi di aiuto destinati ai bambini delle regioni lungo il fronte, agli sfollati interni e così via.

© Denys Volocha, Gruppo per la Difesa dei diritti umani di Charkiv
© Denys Volocha, Gruppo per la Difesa dei diritti umani di Charkiv

IPrima dell’inizio delle nostre riprese va via l’elettricità, cosa frequente nella Charkiv odierna. Ci viene in aiuto un altro canadese di nome JP, che gestisce Pollute Free, una piccola azienda che si occupa di ambiente: è un installatore di pannelli solari ed è riuscito a risanare parte del garage, che nel corso della guerra ha visto passare oltre trecento automobili per lo più militari, aggiustate gratuitamente. «Le persone collaborano a vari livelli», commenta Paul.

© Denys Volocha, Gruppo per la Difesa dei diritti umani di Charkiv

Il garage è tappezzato di bandiere, c’è persino il poster della Global Marijuana March. Nell’ultimo anno e mezzo sono passate di qui persone di oltre quaranta paesi diversi. Paul è orgoglioso che la sua organizzazione sia riuscita a crescere e a stabilire contatti. E non lo si può negare: il garage dà l’impressione di un formicaio, dove continua ad arrivare gente diversa con cui Paul interagisce sempre, fumando sigarette e ogni tanto bevendo della birra ucraina, che gli piace molto (very good beer). A una parete si vede una fotografia di Paul insieme al sindaco di Charkiv con indosso le maglie da hockey dell’Ucraina e dei Calgary Flames, la squadra della città nella provincia dell’Alberta dove Paul viveva prima di trasferirsi in Ucraina.

In Canada, Paul Hughes gestiva una fattoria e svolgeva attività di beneficenza. È un’esperienza che, a suo dire, l’ha aiutato nella creazione della HUGS. L’organizzazione è attiva anche a Cherson, il figlio di Hughes ne è il responsabile.

“Un’epoca orwelliana”

Chiedo a Paul: «Cosa risponderesti alle persone che in Occidente continuano a essere scettiche nei confronti della guerra in Ucraina?».

«Non sono sicuro di poterla dire davanti a una videocamera, ma probabilmente la primissima cosa che direi è: ‘Smettetela di guardarvi soltanto l’ombelico’».

© Denys Volocha, Gruppo per la Difesa dei diritti umani di Charkiv

«Ora lo abbiamo sperimentato di persona, abbiamo visto con i nostri occhi cosa succede qui», continua Paul, con tono più diplomatico. «Si tratta di una palese e grave invasione di uno stato sovrano, l’Ucraina. Sai, tento di parlarci, con quelle persone, ma il mondo e la maniera in cui la gente recepisce le informazioni sono un po’ cambiati. Persino davanti a un’enorme massa di dati che confermano come questa aggressione sia un atto infondato e banditesco, e segnato da crimini di guerra, le persone non riescono a capire cosa succede. Hanno i paraocchi. Se anche gli fornisci i fatti, i dati empirici, trovano comunque da discutere».

«Viviamo in un’epoca stranissima. George Orwell ha scritto 1984 e La fattoria degli animali, dove ha raccontato come la macchina della propaganda possa deformare la realtà. E io mi riferisco proprio a questo quando dico che viviamo in un’epoca orwelliana, in cui i russi mentono. Non fanno altro che mentire! Lo sappiamo già da 40, 50, 60 anni»

Avendo passato mesi a indagare sulle fake news russe in materia di biolaboratori e armi chimiche, capisco benissimo cosa intende Paul.

«La Russia deve restituire tutti i territori e risarcire i danni»

«In linea di principio io credo nella pace» continua il canadese, che a giugno compirà 60 anni. «Però a quali condizioni? L’Ucraina paga un prezzo altissimo per questa guerra: morti, bombardamenti di case, chiese, ospedali, scuole. Purtroppo, al momento non si può dire che la pace sia un’opzione. Per la pace deve esserci un accordo che preveda un risarcimento completo per l’Ucraina. Devono anche restituirle tutti i territori: la Crimea e le altre parti degli oblast’. I russi, però, questo non lo contemplano».

«Finché non si troverà un’intesa in questo senso, non ci potrà essere un accordo di pace. Si può stabilire un cessate il fuoco, ma parlare di una pace a pieno titolo è quasi impossibile nelle condizioni attuali»

Durante il suo primo mese in Ucraina, non c’è quasi stato giorno in cui Paul Hughes non sia arrivato a sera emotivamente provato. «Ci mettevo il cuore ed era tristissimo vedere la gente soffrire a causa delle azioni di un maniaco psicotico. Anche in Canada avevo visto persone disperate che avevano perso la casa per via degli incendi, ma qui parliamo di numeri molto più elevati».

«Adesso va meglio dal punto di vista emotivo, ma mi fa ancora male assistere a queste cose ogni giorno. Tutte le volte che vedi una casa distrutta, con i quadri, le foto, i giocattoli dei bambini sparpagliati intorno, hai davanti agli occhi la vita di qualcuno! Non si trattava di soldati, ma di una famiglia che viveva la sua vita. L’unica loro colpa era il fatto di essere ucraini»

Paul e Mac hanno discusso a lungo su quanto ancora dovranno restare in Ucraina. Si sono impegnati a restare fintanto che questa guerra non finirà.

«Dico alla gente che è come se chiedessero a un pompiere: ’Ehi, pompiere, quand’è che vai a casa?’. Lui risponderà: ’Be’, quando spegneremo l’incendio’. Lo stesso vale per noi.»

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