(di Simone Zoppellaro)
01 giugno 2025
alle 13:53
STOCCARDA – Ricordo un mattino a Stepanakert (Khankendi, in lingua azera), allora capitale della repubblica de facto del Nagorno-Karabakh, mentre aspettavo in un ufficio per un’intervista. Era la primavera del 2016. Solo pochi giorni prima, in una nuova escalation del conflitto che per oltre due decenni ha opposto Azerbaijan e Armenia, c’erano stati centinaia di morti a pochi chilometri da lì, con violenze terribili contro la popolazione, in quella che sarebbe stata ricordata come la Guerra dei quattro giorni. Gli ospedali erano pieni di mutilati, i profughi fuggiti dalle violenze affollavano alberghi allestiti per accoglierli. Per scongiurare l’attesa, scambio due parole con un segretario. Mi chiede da dove vengo. Germania, gli rispondo. “Ma non hai paura?”, mi dice.
Lo guardo negli occhi, pensando che scherzi. E invece no, è serio. Inizia a parlarmi di città tedesche prese d’assalto dai migranti, di una situazione da guerra civile. Davanti a noi, una TV accesa trasmette un canale russo. A me, reduce da sei anni passati fra l’Iran e l’Armenia, la Germania dove mi ero trasferito faceva grossomodo l’impressione di quelle vasche di palline colorate dove si parcheggiano i bimbi nei centri commerciali. Certo, le diseguaglianze già allora colpivano, ma il clima che si respirava – anche rispetto all’Italia dov’ero cresciuto – era quello di una società pronta ad accogliere, dove il Wir schaffen das (“Ce la faremo,” in riferimento alla migrazione) pronunciato da Angela Merkel al Bundestag l’agosto precedente sembrava, come poi è stato, una profezia possibile.

(foto di Kuebi = Armin Kübelbeck, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)
Ho ripensato spesso a quell’incontro nel decennio che ho poi trascorso in Germania. L’avrei ricordato parlando con diversi Russlanddeutsche (russi tedeschi) che, pur vivendo qui anche loro, ripetevano la propaganda del Cremlino; ma anche con alcuni russofoni che – provenienti da un territorio vastissimo che va dall’Asia Centrale all’Europa Orientale – sono una parte dei 4,5 milioni di persone di origine post-sovietica attualmente residenti in Germania. Infine, l’avrei ricordato leggendo e ascoltando la propaganda dell’AfD, il partito di estrema destra che, a partire dal 2017, ha una presenza crescente nella politica e negli incubi di molti di noi.
Perché questa – è importante essere chiari – è la storia di un indiscutibile successo. Dalla migrazione al Covid, dalla politica interna all’Ucraina, la Russia ha contribuito a riplasmare, distorcendola, l’immagine della Germania dentro e fuori dai suoi confini, segnando tutte le fasi più importanti dell’ultimo decennio. Certo, tanti sono i fattori interni ed esterni che hanno contribuito a una crisi che ha trasformato Berlino dalla locomotiva al malato d’Europa; ma vivendo qui è ben chiaro come questa presenza sia stata costante e pervasiva.
Come scrivono Arndt Freytag von Loringhoven e Leon Erlenhorst in un libro dedicato a questo tema,
“al più tardi dal 2014, la Russia sta conducendo una guerra contro l’Occidente – non una guerra militare, ma una guerra ‘ibrida’ che si svolge su più livelli – attraverso la disinformazione, la propaganda, i cyberattacchi e le minacce nucleari”.
Perché, sostengono i due autori, “la Germania è il più importante obiettivo europeo nella guerra dell’informazione di Putin”. Come dichiarato da Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea responsabile per coordinare le politiche sui valori e la trasparenza, “sanno che se dovessero spezzare la Germania indebolirebbero l’intera Unione Europea.”
In tutto questo, la responsabilità dell’attuale crisi tedesca e europea è in parte da attribuire agli errori compiuti dalla politica tedesca già prima di questo periodo. Emblematico il caso del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder che, volendosi ispirare alla Ostpolitik di Willy Brandt, come raccontato in un volume scritto da Reinhard Bingener e Markus Wehner, ha instaurato un legame fortissimo con Mosca (e, sullo sfondo, anche con altri regimi autoritari come la Cina e l’Iran) basato su una componente affaristica e una pressoché totale dipendenza energetica. Tragico errore, alla luce dell’invasione su larga scala dell’Ucraina del 2022, di cui pare ben consapevole la politica tedesca, come si evince anche dal fatto che, la prima volta da sessant’anni a questa parte, la Cdu tiene per sé il controllo del ministero degli Esteri nel governo che Friedrich Merz guida in coalizione, appunto, con la Spd.
Sullo sfondo, una selva di attori, statali e non, che hanno promosso l’agenda del Cremlino attraverso una diplomazia culturale che ha lasciato segni importanti nel dibattito pubblico tedesco, come si desume, fra gli altri, anche dalle esternazioni pubbliche di Ingo Schulze, scrittore tradotto anche in italiano. E se, per ovvie ragioni, proprio nei territori dell’ex Ddr da cui proviene Schulze si trova la massima concentrazione della propaganda putiniana, non andrà trascurata una possibile continuità nella penetrazione dei servizi di sicurezza orientali in segmenti del movimento pacifista, come scrivono i già citati von Loringhoven e Erlenhorst, tanto nell’ex Germania Ovest che in quella riunificata di oggi:
“la strumentalizzazione del desiderio di pace è stata a lungo parte integrante della propaganda sovietica; la strategia è tanto moralmente deplorevole quanto brillante. L’umano anelito alla pace viene sfruttato dal governo sovietico per rafforzare la propria posizione politica e militare.”
Tema ben noto, questo, qui in Germania, in quanto emerso da un punto di vista documentale tanto nel caso di Gerd Bastian, politico e militante per la pace (prima ancora generale) che collaborò con la Stasi, quanto nel movimento pacifista tedesco degli anni Ottanta.
In un paradosso solo apparente (fra i tanti), i Verdi di cui Bastian fu, insieme alla sua compagna Petra Kelly, uno dei massimi rappresentanti, sono oggi il bersaglio prediletto della propaganda putiniana, come emerso anche nelle elezioni federali del 23 febbraio. Questo per ricordarci come una delle capacità della disinformazione russa sia quello di rendersi flessibile e liquida, capace di insinuarsi negli spazi del web e dell’informazione cavalcando l’onda emotiva dell’ultima emergenza, con un carattere post-ideologico che, come racconta l’analista britannico Mark Galeotti, punta assai più a dividere che a indottrinare. Così, già nella campagna elettorale del 2021, la candidata verde Annalena Baerbock, in seguito divenuta ministra degli esteri, secondo un indagine riportata dal settimanale Die Zeit, sarebbe stata la figura politica più colpita, con tanto di immagini false che la ritraevano nuda o sorridente accanto al milionario George Soros, obiettivo privilegiato di tante teorie del complotto di stampo antisemita.
La rete, naturalmente, è il terreno più fertile a cui simili operazioni erano e sono rivolti. Come dimostra un recente studio condotto dall’Institute for Strategic Dialogue, vi è una precisa correlazione tra l’uso dei social media e gli atteggiamenti filorussi e antidemocratici in Germania. Non solo: in un altro studio condotto da due studiosi tedeschi dell’Università di Warwick, gli autori hanno dimostrato come l’utilizzo di Facebook sia da mettere in diretta relazione con i casi di violenza compiuta contro i migranti in Germania. Non stupirà, allora, come i media tradizionali siano uno dei bersagli prediletti tanto della propaganda russa che del partito ad essa più prossimo, l’AfD, che più di ogni altra formazione politica, nell’ultimo decennio, ha puntato tutto sui social media. Come un collegamento fra l’estrema destra tedesca e Mosca sia ormai acclarato è evidenziato anche dal caso di Petr Bystron, europarlamentare dell’AfD cui pochi giorni fa è stata tolta l’immunità per aver ricevuto tangenti per il suo supporto a Voice of Europe, una piattaforma finanziata dal Cremlino per diffondere la sua disinformazione nel nostro continente.
Parallela all’impegno dispiegato nel web è stata la fondazione, nel 2014, della versione tedesca di RT, fra i maggiori veicoli della propaganda russa all’estero. La TV in lingua tedesca ha fornito un costante palcoscenico tanto per gli attivisti xenofobi di Pegida (formazione estremista nata a Dresda nel 2014, nota per le sue manifestazioni contro i migranti) come per l’AfD e i no vax, diffondendo teorie del complotto e un’immagine apocalittica della Germania, sul punto del collasso. Il caporedattore Ivan Rodionov, fatto significativo, è stato più volte ospite di media tedeschi, dove ha difeso l’annessione della Crimea e l’aggressione contro l’Ucraina.
Se la propaganda russa in Germania non nasce di sicuro qui, certo è però che la crisi migratoria del 2015, secondo gli analisti, rappresenta una svolta sia in termini quantitativi che qualitativi. Siamo a un anno dall’annessione della Crimea, e il Cremlino si mostra determinato a fare di tutto per esercitare pressioni contro la cancelliera Angerla Merkel che, al pari dei suoi alleati, ha condannato Mosca approvando sanzioni. Emblematico, a tal proposito, il “caso Lisa” (der Fall Lisa), come viene chiamato dai media tedeschi. Nel gennaio 2016, una tredicenne tedesca di origini russe scompare a Berlino, salvo essere ritrovata poco dopo. Il giorno seguente, i media russi iniziano a rilanciare la notizia secondo la quale tre rifugiati di origine araba avrebbero violentato la bambina per trenta ore e che le autorità tedesche non avevano neppure accettato la denuncia dei genitori. Ne nasce una crisi diplomatica: in una conferenza stampa, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov parla della “nostra ragazza Lisa” e ribadisce l’accusa contro le autorità tedesche, accusandole di “nascondere i problemi sotto il tappeto”.
Segue un servizio della TV di stato russa, presto divenuto virale nel web, condiviso più di 33mila volte e visualizzato 1,7 milioni di volte, che porta anche a una manifestazione con migliaia persone, fra cui molti russi tedeschi e membri dell’estrema destra. Nel 2017, grazie a una condanna si scoprirà che un caso di violenza sessuale c’era effettivamente stato, ma il colpevole – nonostante avesse origini straniere – non era né arabo né un rifugiato giunto con la recente ondata migratoria. Come anche nel caso delle violenze di capodanno a Colonia, sempre del 2016, che la propaganda russa non hanno esitato a paragonare – con intento manipolatorio e antisemita – alla Notte dei Cristalli del 1938, un fatto di cronaca di gravità indubbia viene sfruttato, innestando realtà e finzione, per seminare sfiducia nelle istituzioni.
Come inevitabile in un’epoca di policrisi, un’emergenza si innesta all’altra, anche nelle narrazioni tossiche disseminate dal Cremlino. Ed ecco allora, che nel dicembre 2020 l’emittente radiofonica Vesti FM riferisce, al pari di altri media russi, che i migranti in Germania stanno esacerbando la crisi di Covid-19, perché si rifiutano di rispettare le regole imposte dallo stato. Il tutto mentre, sempre gli stessi media, condividono tesi cospirative inondandoci, di concerto con i social media, di contenuti no vax e contro la cosiddetta “dittatura del Coronavirus” in Germania. Fra i manifestanti che, in diverse città, protestavano contro misure che avrebbe reso, a loro avviso, la nostra condizione paragonabile a quella degli ebrei nei lager (affermazione che ho ascoltato di persona in una di queste, a Stoccarda), oltre a estremisti di destra e una presenza di gruppi antroposofici, c’erano anche persone influenzate dalla propaganda russa e cinese sui vaccini, come dimostrato da un report dell’European External Action Service (EEAS). Non sorprende, quindi, l’apparizione in diverse di queste manifestazioni di diversi noti attivisti pro-Cremlino, come riportato dal centro giornalistico di investigazione Correctiv.
Un altro report, Ein Virus des Misstrauens, firmato da Julia Smirnova e Hannah Winter dell’Istituto per il Dialogo Strategico (ISD), ha dimostrato che 67 dei 100 video più visti sulla versione tedesca del canale Russia Today (RT) – una delle cinque fonti più citate nei canali Telegram dei no vax – erano legati al Covid. 87 dei 100 video più visti avevano più di 100mila visualizzazioni, con un impatto dirompente su un malcontento che, qui come altrove, ha contribuito ad allontanare molti cittadini dalla politica tradizionale. Quasi a voler chiudere il cerchio, uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha evidenziato una relazione fra i canali social che condividono disinformazione tanto sul Covid che sulla guerra in Ucraina, mentre un altro, ad opera della Fondazione Amadeu Antonio, dimostra come i gruppi con teorie cospirative nati su Telegram e altre piattaforme durante la pandemia abbiano continuato a credere alla disinformazione russa anche dopo l’aggressione contro Kyiv.
Facendo di necessità virtù, dati i divieti imposti ai media statali russi RT DE e Sputnik in Germania dopo l’invasione su larga scala del 2022, il flusso di propaganda e disinformazione della Russia si è riversato tutto sui social media. La Germania, il secondo maggior sostenitore militare di Kyiv, è finita sempre più nel bersaglio del Cremlino, che mira a sabotare il dibattito sulle forniture di armi e a dividere il fronte dei sostenitori dell’Ucraina. Anche con veri e propri spot propagandistici dedicati alla Germania e divenuti virali sulle piattaforme online.
Due esempi: nel Natale del 2022, un video di RT ritrae una famiglia tedesca al buio nel prossimo futuro, in povertà e al gelo, costretta a mangiare il criceto di casa per sopravvivere a causa della fine della fornitura del gas dalla Russia; un altro, dell’anno seguente, che giornalisti di RFE/RL hanno dimostrato essere interpretato da attori russi professionisti, ritrae una famigliola che dopo esser stata depredata di ogni avere, in nome del supporto all’Ucraina, da parte di agenti della sicurezza tedeschi piombati in casa, viene congedata con un “Heil Zelens’kyj”.
Un dispiego di sforzi straordinario, quello russo verso la Germania, che non deve farci dimenticare come la minaccia, per quanto capillare e massiccia, non si fermi alla sola sfera digitale. Fatto assai inquietante, è notizia degli ultimi giorni un’ipotesi che, se confermata, avrebbe ripercussioni enormi sia all’interno della Germania che nelle sue relazioni con Mosca. Il ministero dell’interno ha affermato di aver preso “molto seriamente” la tesi, diffusa da un documentario della televisione ZDF, secondo la quale potrebbe esserci la Russia dietro tre attentati mortali che, nell’ultimo anno, hanno scosso la Germania, contribuendo all’ascesa dell’estrema destra. I tre fatti sono avvenuti a Mannheim, Aschaffenburg e Monaco. L’ipotesi, basata su una ricerca del digital intelligence analyst Steven Broschart, non può essere al momento corroborata né smentita, ma sta avendo ampia diffusione nel dibattito pubblico.
Diverso – in quanto privo di dubbi – è quanto avvenuto sei anni fa. Come raccontato in un volume da Silvia Stöber, giornalista investigativa della TV tedesca, già nel 2019 il terrore del Cremlino era arrivato nel cuore di Berlino. Zelimkhan Khangoshvili, comandante ceceno georgiano attivo tanto nella seconda guerra cecena che nel conflitto russo-georgiano del 2008, viene freddato con tre colpi di arma da fuoco da Vadim Krasikov. Questi, un agente dell’FSB, verrà condannato per l’omicidio, salvo poi essere liberato nello scambio di prigionieri dell’agosto 2024. Un messaggio chiaro, quello dell’omicidio, come racconta la giornalista: Mosca è in grado di colpire ovunque, anche nel centro di una capitale europea, e poco importa se la vittima non è un cittadino russo. Come a dire: a Berlino e ovunque in Europa nessun luogo è sicuro, e nessuno è al sicuro.

