Nessuno ci regalerà la libertà. Intervista a Ksenija Fadeeva

Siberiana di nascita, forzatamente emigrata in Lituania, è una politica russa di opposizione, per anni vicina ad Aleksej Naval'nyj. Negli tempi la sua è una vita da romanzo di spionaggio: complotti dei servizi, provocazioni, arresti, un tentato omicidio. "Dopo città ucraine distrutte, migliaia di civili uccisi, l’assassinio di Naval’nyj, migliaia di prigionieri politici in tutta la Russia, osservare il processo di normalizzazione del regime di Putin fa una gran tristezza".

(di Andrej Filimonov)


12 giugno 2025 
alle 15:11


Ksenija Fadeeva è una politica di opposizione russa. È originaria della Siberia, ma da agosto dello scorso anno vive a Vilnius, in Lituania. Per lei si tratta di un’emigrazione forzata. Ksenija non voleva abbandonare la Russia, ma non le hanno lasciato scelta. Prima è stata arrestata per “attività estremista”, poi, insieme ad altri prigionieri politici, è stata protagonista di uno scambio con delle spie russe avvenuto il 1° agosto 2024 in Turchia.


La vita di Ksenija negli ultimi cinque anni somiglia sempre di più a un romanzo di spionaggio. Complotti dei servizi, provocazioni, arresti e un tentato omicidio sono ormai parte della sua biografia. Lei, però, non ha mai ambito a diventare la protagonista di un film d’azione. Lei voleva soltanto che la Russia diventasse un paese democratico. E con quell’obiettivo aveva iniziato a collaborare con il Fondo anticorruzione (FBK) di Aleksej Naval’nyj.


La città natale di Ksenija è Tomsk, un centro universitario della Siberia che nell’agosto del 2020 ha guadagnato le prime pagine dei giornali di tutto il mondo: a Tomsk l’FSB (Servizio Federale per la sicurezza della Federazione Russa) ha avvelenato Naval’nyj. In quei giorni d’agosto, insieme ai colleghi dell’FBK, Fadeeva stava svolgendo un’indagine sulla corruzione dei deputati e dei funzionari del partito “Edinaja Rossija” (Russia Unita) che sovrintendevano all’approvvigionamento elettrico e ad altri servizi comunali.


Certo, la causa del tentato omicidio di Naval’nyj non era quella indagine. La decisione di utilizzare il Novichok era stata presa ai piani più alti del governo russo. Ma caso vuole che il titolo dell’ultimo video del Fondo anticorruzione, girato alla vigilia dell’avvelenamento, fosse proprio “Tomsk prigioniera della mafia dei deputati”.


La mattina del 20 agosto Ksenija Fadeeva accompagna Aleksej Naval’nyj e la sua squadra all’aeroporto. Mezz’ora più tardi riceve la notizia che l’aereo su cui viaggiava il politico è stato costretto a un atterraggio d’emergenza a Omsk, altra città della Siberia. Naval’nyj è ricoverato in un ospedale locale con sintomi di grave avvelenamento causato da una sostanza sconosciuta.


Ksenija legge la notizia e capisce che la sua vita “normale” è finita, forse per sempre. Ma non si lascia spaventare e continua la sua attività politica nel Fondo anticorruzione. A settembre del 2020 viene eletta alla Duma della città di Tomsk e diventa deputata.


Dopo appena un anno arriva il primo procedimento penale. La causa? La sua collaborazione con Naval’nyj.


Nel dicembre del 2021 le perquisiscono la casa. Poco dopo il tribunale le vieta di usare internet, di parlare con chiunque (tranne che con la famiglia e gli avvocati) e di partecipare a manifestazioni pubbliche. A ottobre del 2023 il tribunale modifica tale misura negli arresti domiciliari e, in seguito, nella custodia cautelare.


Nel dicembre del 2023 Ksenija viene condannata a nove anni di colonia per “partecipazione ad associazione estremista e abuso della propria carica ufficiale”. Oltre al carcere, viene condannata a una multa di 500 mila rubli (circa 5 mila euro). Per le autorità russe l’“associazione estremista” erano il Fondo anticorruzione di Naval’nyj e i suoi uffici.


In questa intervista, Ksenija Fadeeva parla della sua attività politica in Russia e delle speranze che un politico russo d’opposizione può nutrire nel 2025, quando negli USA e in Europa sono sempre di più quelli che vogliono fare la pace con Putin.


Il Fondo anticorruzione



Andrej Filimonov: – Ksenija, ci racconta del Fondo anticorruzione e del suo lavoro con Naval’nyj?


Ksenija Fadeeva: – Il Fondo anticorruzione è stato fondato da Aleksej Naval’nyj nel 2011. All’inizio si trattava di una piccola organizzazione in cui lavoravano tre persone in tutto: Aleksej e due suoi amici stretti. E all’inizio, Naval’nyj si occupava di difendere i diritti degli azionisti di minoranza di grandi aziende del calibro di Gazprom. Da lì, la consapevolezza e la necessità di mostrare a un pubblico più ampio la portata della corruzione in Russia. Sono nati così i video-indagine pubblicati regolarmente sul sito del Fondo. [Il più famoso, Un palazzo per Putin, è uscito dopo il tentativo di avvelenamento di Naval’nyj e ha raccolto più di cento milioni di visualizzazioni – ndr].


Nel 2016 Naval’nyj annuncia di voler concorrere alle presidenziali del 2018. E in tutto il paese nasce una rete di “quartieri generali di Naval’nyj”: così si chiamavano gli uffici regionali di volontari e coordinatori. In sostanza, si trattava di un nuovo partito politico, ma senza uno status ufficiale. Il Ministero della Giustizia della Federazione Russa non ci ha mai “riconosciuti”. Con diversi pretesti (fittizi), i funzionari del Ministero hanno rifiutato nove volte di registrarci.


Com’è noto, un altro pretesto per precedenti penali non estinti [la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che la sentenza del tribunale russo che accusava Naval’nyj di appropriazione indebita di beni dell’azienda statale Kirovles aveva “ragioni politiche” – ndr] ha impedito a Naval’nyj di partecipare alle elezioni presidenziali.


Ciò nonostante, Naval’nyj decide di non sciogliere i suoi uffici nemmeno dopo la registrazione negata. E così abbiamo continuato a indagare sulla corruzione nelle rispettive regioni, ci siamo candidati alle elezioni locali e abbiamo partecipato alle proteste su scala nazionale come lo “Sciopero degli elettori”, un appello a boicottare i seggi elettorali, o a “Non è il nostro zar”, una serie di manifestazioni contro il quarto insediamento di Putin nel 2018, e così via.


Io coordinavo l’ufficio regionale di Tomsk e la polizia mi fermava regolarmente. Nel 2018 mi hanno arrestata per dieci giorni per presunta “disobbedienza a pubblico ufficiale”. In realtà, dei poliziotti in borghese mi avevano trascinata con la forza nella loro volante senza nemmeno qualificarsi.


Le persecuzioni sistematiche, invece, sono iniziate nel 2021, quando il Fondo anticorruzione ha ricevuto lo status di “organizzazione estremista”.


È stato allora che hanno iniziato a occuparsi di noi seriamente, con un’ondata di arresti in tutto il paese. La prima a essere arrestata fu Lilija Čanyševa a Ufa; a dicembre dello stesso anno è toccato a me e a colleghi di altre regioni di affrontare un procedimento penale.


A.F.: – Ci racconta i dettagli del suo caso?


K.F.: – Erano tutti convinti che sarei finita in custodia cautelare. E invece, a grande sorpresa, non è stato così. Il tribunale ha disposto una misura più “lieve”, proibendomi determinate attività e obbligandomi a portare una cavigliera elettronica e un dispositivo che registrava la mia posizione. E dato che non mi era permesso di parlare con nessuno, se non con i miei familiari, gli avvocati e la polizia, non potevo più essere deputata. Mi era anche vietato di usare internet. Dopo un po’, però, le cose sono peggiorate. A novembre del 2023 sono finita in custodia cautelare e a fine dicembre c’è stata la sentenza: nove anni di reclusione.



[Così ha dichiarato Ksenija Fadeeva in tribunale, nella sua ultima deposizione: “Va detto che nell’anno passato le persecuzioni ai danni dell’opposizione hanno raggiunto nuovi livelli. Ora schierarsi contro la corruzione, o a favore di una successione pacifica del potere e di una partecipazione in quanto opposizione vera alle elezioni sono considerati crimini particolarmente gravi.



Per come la vedo io, inserendo gli oppositori politici negli elenchi degli estremisti-terroristi e avviando procedimenti penali contro persone che hanno l’unica colpa di pretendere il rispetto della legge, le autorità minano le fondamenta dello Stato. Se si mettono sullo stesso piano criminali che fanno esplodere aerei e politici contrari alla corruzione, la lotta contro il vero estremismo e terrorismo perde ogni valore”.]



A.F.: – Sono certo che già molto prima della condanna lei sapesse che l’avrebbero potuta mettere in galera, e non per un anno o un anno e mezzo soltanto. Perché non ha lasciato il Paese?


K.F.: – Non riuscivo a immaginare di fare le valigie e andarmene. Era molto dura a livello emotivo. Probabilmente, nel profondo del nostro cuore speriamo tutti che andrà bene e che, forse, non ci accadrà quello che è successo agli altri.


Durante gli interrogatori il giudice istruttore mi diceva, e lo cito testualmente: “Noi non vogliamo il tuo sangue. Ci basta che deponi contro l’FBK”. Io dicevo la verità, parlavo del nostro lavoro, delle manifestazioni e così via. Ma non era quello che volevano. Loro volevano che dicessi che i seguaci di Naval’nyj erano “estremisti”. Alla fine, il giudice si è inventato (non posso usare un verbo diverso) 93 faldoni di caso penale sulla mia attività criminale. Quando lo raccontavo i miei compagni di cella scoppiavano a ridere all’unisono: 93 fascicoli sono davvero tanti. Per un caso di omicidio, per esempio, ne bastano massimo dieci.


A.F.: – Come l’hanno sostenuta i suoi genitori durante le indagini e il processo?


K.F.: – A loro va tutta la mia gratitudine. Non si sono mai interessati di politica. Mi hanno sostenuta come figlia. Quando sono finita in custodia cautelare mi venivano a trovare per le “visite brevi”, quelle di quattro ore. Con un vetro a dividerci, e parlando in una cornetta telefonica. Quando mi hanno condannata a nove anni, mio padre e mia madre avevano tutte le intenzioni di venire per una visita lunga (tre giorni), fermandosi nell’albergo del carcere. Non sono dovuti arrivare a tanto. Mi hanno scambiata prima con delle spie russe. Ora vogliono venire qua a Vilnius.


Tomsk


A.F: – Parliamo un po’ di Tomsk, la sua città. A quanto ne so, avete una “tradizione” abbastanza strana: vi arrestano tutti i sindaci. In 25 anni si sono alternati in tre, e tutti e tre sono finiti sul banco degli imputati. Come mai?


K.F.: – La cosa più importante da dire è che nella Russia di Putin dai funzionari comunali dipende davvero poco, e sanno benissimo che la probabilità che vengano arrestati non è più bassa di quella di un qualsiasi oppositore russo.


Il primo sindaco di Tomsk eletto democraticamente, Aleksandr Makarov, venne arrestato nel 2006 e condannato a 12 anni di colonia. In quegli anni Putin stava rafforzando la sua “verticale del potere” con una campagna intimidatoria contro l’autonomia amministrativa locale. Diversi sindaci vennero arrestati in tutto il paese, e il segnale era chiaro: vedete di obbedire!


Il secondo sindaco di Tomsk, Nikolaj Nikolajčuk, obbediva eccome, ma non è bastato. In seguito al suo procedimento penale ha provato a scappare nella Crimea annessa. Ma lo hanno trovato, arrestato, riportato a Tomsk e processato. Viste le sorti amare dei suoi predecessori, l’ultimo sindaco Ivan Kljajn, uomo d’affari e proprietario di un birrificio, non aveva la minima intenzione di ricoprire quella carica. Ma da membro del partito “Edinaja Rossija”, gli hanno detto: “Devi candidarti” e lui l’ha fatto. Zitto zitto, è arrivato in fondo al suo primo mandato senza mai fare dichiarazioni, senza mai attirare l’attenzione su di sé. Contando di poter ritornare al suo business. E invece: “Devi ricandidarti per un secondo mandato: ti garantiremo noi l’affluenza alle urne”. Così è stato. A quelle “elezioni”, i candidati sono andati tutti per ordine dall’alto. Anche perché, di fatto, non era rimasto più nessuno. E proprio durante quel secondo mandato hanno arrestato anche Kljajn: avrebbe abusato della sua carica per favorire i propri affari. È successo nel novembre del 2020. Io e altri deputati abbiamo scritto una malleveria chiedendo al tribunale che gli fosse risparmiata la custodia cautelare durante le indagini. Il tribunale ha ignorato la nostra richiesta. Lo hanno arrestato e gli hanno dato i domiciliari. E quando hanno rilasciato lui, hanno arrestato me. Quell’incontro non s’aveva da fare.


Scherzi a parte, Tomsk è stata una delle ultime città in Russia con l’elezione diretta del sindaco. L’hanno abrogata nel 2022: adesso non c’è più nemmeno lì.




A.F: – Quando dice “nemmeno lì” intende che si tratta di una città più libera rispetto ad altre, in Russia?


K.F.: – In parte sì. La Russia è un paese enorme, con tradizioni politiche diverse a seconda delle regioni. In Siberia occidentale, per esempio, abbiamo due regioni confinanti: quella di Kemerovo e quella di Tomsk.


A Kemerovo era praticamente impossibile eleggere un deputato indipendente. Falsificazioni e brogli elettorali erano all’ordine del giorno.


Nel 2018, per le presidenziali, da Tomsk inviammo a Kemerovo degli osservatori volontari. Riuscirono a raggiungere soltanto il confine regionale: la polizia bloccò l’autobus e non fece passare nessuno.


A Tomsk il clima politico è diverso, più disteso. È una città universitaria e, per di più, da Tomsk trasmetteva anche il canale televisivo indipendente TV-2, quello che mandava in diretta anche gli oppositori: Garry Kasparov (emigrato nel 2013), Boris Nemcov (ucciso nel centro di Mosca nel febbraio del 2015) e altri politici che nel resto della Russia in tv non arrivavano mai.


Nel 2020, si figuri, anche noi del Fondo anticorruzione abbiamo potuto partecipare alle elezioni: ci hanno registrato e quasi non ci sono stati brogli. Sì, la pressione c’era, ma brogli diretti a Tomsk negli ultimi anni non ci sono mai stati. Comunque, sì: ci sono molte differenze tra le regioni.


A.F: – Lei era a Tomsk insieme a Naval’nyj quando l’hanno avvelenato. Avevate notato qualcosa di strano, tipo un pedinamento?


K.F.: – Strano era proprio che non lo pedinassero. Prima erano sempre stati piuttosto invadenti. Con tre macchine che ci seguivano sempre, dovunque andassimo. Impossibile non notarlo, lo facevano in modo plateale. In quei giorni invece, nell’agosto del 2020, non ci seguiva nessuno. Qualcuno di noi ci aveva fatto caso. Ma non abbiamo pensato al nesso logico fra assenza di pedinamento e attentato imminente. Se qualcuno mi avesse detto che a Tomsk avrebbero avvelenato Aleksej Naval’nyj col Novichok, avrei pensato che stesse esagerando. Non riuscivamo a credere che le autorità russe potessero arrivare a tanto. Evidentemente avevamo sottovalutato la loro componente criminale.


A.F.: – Sembra che nel 2025 l’eterno quesito russo – “che fare?” – non possa sperare in una risposta. Cosa pensa del futuro politico di coloro che non ritengono Putin un “bravo ragazzo”?


K.F.: – Penso che gli attivisti e i politici di opposizione non debbano prendere a riferimento i governi degli altri paesi, che siano gli Stati Uniti o l’Europa. I meccanismi politici, là, sono diversi e noi non sappiamo che volto avrà la nostra amministrazione tra uno, due anni e così via. Bisogna contare in primis su sé stessi e sui propri concittadini. Nessuno ci regalerà la libertà.


Sì, è vero: dopo tutto quello che ha fatto, alcuni leader occidentali arrivano a definire Putin “un tipo in gamba”… Dopo le città ucraine distrutte, dopo le migliaia di civili uccisi, dopo l’assassinio di Naval’nyj nella colonia penale e dopo le migliaia di prigionieri politici in tutta la Russia.


Osservare questo processo di normalizzazione del regime putiniano fa una gran tristezza. Perciò credo che si debba contare solo sulle proprie forze: meglio poco che niente.


Scrivere una lettera a un prigioniero politico, ovviamente, non cambierà il regime autoritario in Russia. Ma si tratta di un gesto consapevole e utile. Andare ai meeting di Berlino è meglio che stare a casa. Anche perché, forse, ora come ora a chi è in Russia non conviene rischiare e sacrificarsi partecipando alle proteste. L’importante, per loro, è proteggere sé stessi e i propri cari per sopravvivere a questi tempi difficili.

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