M. Flores, La mappa dei negazionismi di Stato

La mappa dei negazionismi di Stato

Dallo sterminio degli armeni alla Shoah, dal colonialismo alla questione irlandese Chi vuole falsificare il passato oggi può contare su nuove, potenti strategie comunicative

di Marcello Flores

Corriere della Sera 26.2.12

Negazione, revisione, rimozione: attorno a questi termini si svolgono da anni, in tutto il mondo, history wars, guerre di interpretazione su eventi drammatici e luttuosi, che non riguardano solo gli storici ma, spesso, governi e Stati, popoli e minoranze, vittime e carnefici. All’interno della memoria pubblica la questione del negazionismo ha acquistato, con gli anni, sempre più spazio. La conoscenza storica è stata spesso manipolata, travisata, riabilitando o condannando per interessi politici, ideologici, statali.

Di negazionismo in senso stretto, ossia di storici che negano realtà assodate e riconosciute da tutti, vi è forse solo il caso della Shoah, venuto alla ribalta negli anni Settanta e poi amplificato negli anni Novanta a opera di un ristretto manipolo di storici (o autoproclamatisi tali). I campi di sterminio e l’uccisione di cinque-sei milioni di ebrei avrebbero costituito, per costoro, una «menzogna», il risultato di un complotto giudaico. Pochi e squalificati (i più noti sono Robert Faurisson e David Irving), i negazionisti hanno costruito nuove strategie comunicative e approfittato del sorgere di movimenti neonazisti per ottenere attenzione dai media, rimanendo sempre del tutto marginali e ininfluenti, ma contribuendo alla rinascita di rigurgiti di antisemitismo. Con l’appoggio al negazionismo del presidente iraniano Ahmadinejad si è ulteriormente diffusa, soprattutto nel mondo arabo, una visione riduttiva e minimizzatrice della Shoah, vista come mito fondatore dello Stato di Israele più che come evento cruciale del Novecento.

Di negazionismo di Stato si è parlato molto anche a proposito del genocidio degli armeni. Il famigerato articolo 301 del codice penale turco — che ha permesso di portare in tribunale per «offese alla turchità» centinaia di persone, tra cui il Premio Nobel Pamuk, ree di ricordare il massacro degli armeni — rappresentava la minaccia più pesante che lo Stato turco poneva su chi volesse parlare di genocidio. Il negazionismo turco si è basato per anni sull’attività di istituzioni accademiche e di storici occidentali compiacenti che hanno ridimensionato o attribuito alla violenza di guerra, o a quella preventiva contro il possibile tradimento degli armeni, i massacri iniziati nel 1915 (tra essi Stanford Shaw e Justin McCarthy con una posizione più giustificazionista, ma anche Bernard Lewis con l’intento di minimizzare). Oggi la strategia è quella di chiedere che vengano poste «sullo stesso piano» interpretazioni diverse, senza insistere sulla negazione in sé, con l’obiettivo di far diventare legittime, pur se discutibili, le interpretazioni che riducono a poche centinaia di migliaia le morti armene (di fronte alle stime ormai consolidate tra 1 e 1,5 milioni di morti), poste a confronto con quelle superiori sofferte dai turchi nel corso della Prima guerra mondiale. Di qui la dura protesta del governo di Ankara contro la legge francese che punisce chi nega le stragi degli armeni.

Gran parte del dibattito rimane ancorato alla possibilità di usare il termine genocidio — dizione fortemente avversata dallo Stato turco — in una querelle terminologica che ha riguardato anche altri casi. Tra questi quello della carestia in Ucraina nel 1932-33, che causò la morte di almeno 5 milioni di persone (altre stime parlano di 7 e il governo ucraino di 10) in seguito a direttive politiche del regime staliniano per piegare l’opposizione contadina alla collettivizzazione e la ripresa di movimenti nazionalistici. La rivendicazione dell’Holodomor («uccisione per fame») come genocidio o crimine contro l’umanità è ormai largamente accettata, ma vi sono ancora forti resistenze a riconoscerlo — e ad ammetterne la matrice politica — soprattutto in Russia.

Il dibattito sulle vittime del comunismo può ormai poggiarsi su solide basi documentarie. Negato negli anni 50 e 60 da molti simpatizzanti, compresi storici e intellettuali, accettato ma minimizzato negli anni 70 quando Solženicyn ne portò alla ribalta la tragica esperienza, dibattuto sulla base della documentazione disponibile negli anni di Gorbaciov, il sistema del Gulag è oggi unanimemente riconosciuto nella sua estensione, profondità e tragicità. Tra il 1930 e il 1952 vennero condannate alla fucilazione 1 milione di persone, 19 milioni a pene detentive in campi e prigioni, 30 ai lavori forzati e ad altre misure repressive.

È sul versante statale che si sono avute forme preoccupanti di rimozione che hanno alimentato disinteresse e disinformazione da parte dell’opinione pubblica russa sul suo passato. Putin ha sottolineato la grandezza di Stalin, espresso rammarico per la scomparsa dell’Urss, celebrato i «monumentali risultati» del periodo sovietico, festeggiato i servizi segreti e reintrodotto l’inno nazionale dell’Urss; Medvedev ha istituito nel 2009 una commissione per contrastare «la falsificazione della storia a danno della Russia», ma non, evidentemente, quella a suo vantaggio. I numerosi libri dello storico Jurij Zhukov, (l’ultimo del 2011 dal titolo inequivocabile Essere orgogliosi e non pentiti. La verità sull’epoca staliniana) stanno conoscendo diffusione e successo. Come molti libri divulgativi che relativizzano i crimini del comunismo e rivalutano l’epoca staliniana soprattutto per il periodo di guerra, grazie all’influenza della chiesa ortodossa.

Shoah, genocidio armeno, Gulag, non sono gli unici eventi su cui si sono cimentati il revisionismo storiografico o la rimozione pubblica. In Francia la discussione ha ruotato attorno al regime di Vichy e al colonialismo in Algeria, e ormai solo qualche sparuto storico militare è ancora disposto a negare i risultati della ricerca su entrambe le questioni. Cosa che fanno alcuni politici e giornalisti per influenzare l’opinione pubblica in una rivalutazione esplicita della grandeur francese e nella riproposizione di tabù sul collaborazionismo o l’uso della tortura nelle colonie. Una legge del 2005 sottolineava il «ruolo positivo del colonialismo» e la creazione da parte di Sarkozy di un ministero insieme dell’Immigrazione e dell’Identità nazionale ha rilanciato la discussione sulla «frattura coloniale», spingendo a posizioni (come quella di Daniel Lefeuvre in Farla finita col pentimento coloniale) che tendono a negare o ridimensionare non più i fatti ma le interpretazioni e le attribuzioni di responsabilità.

Il dibattito in Cile, Argentina e Uruguay si è svolto anch’esso più attorno alle interpretazioni e definizioni, ai ridimensionamenti e ai silenzi sugli eventi legati al passato dittatoriale di quei Paesi, che non su vere e proprie negazioni. In Argentina si rifiuta il carattere genocidiario della repressione giovanile (sancito da alcuni tribunali nazionali), in Uruguay si sottolinea il ruolo della violenza dei gruppi dell’ultrasinistra nel favorire la reazione militare, in Cile si valorizzano le misure economiche dell’epoca di Pinochet: è su questi terreni che le guerre della memoria sono passate anche in ambito accademico, non più limitate al dibattito pubblico sulle amnistie, le responsabilità, i risarcimenti.

In Gran Bretagna il dibattito sulla «questione irlandese» continua a essere acceso, sia sulla carestia del 1845-52 (un milione di morti, due milioni di emigrati negli Usa, altrettanti ospitati nelle terribili workhouse dell’epoca: una tragedia «naturale» fortemente aggravata dalla mancanza di misure adeguate e da scelte errate compiute dal governo britannico) sia su innumerevoli episodi della lotta indipendentista negli anni Venti. Ma è sul periodo più recente che la battaglia è più acuta: il rapporto Saville del 2010 ha smentito il rapporto Widgery del 1972 sulle responsabilità del Bloody Sunday a Londonderry, attribuendole alle Forze armate britanniche e non più alle associazioni irlandesi. Ma la recente decisione di obbligare il Boston College a consegnare agli inglesi le interviste ai militanti dell’Ira (una ricchissima documentazione storica) come prove per una possibile incriminazione, si presenta come una pesante intromissione della politica nel lavoro degli storici.

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Roma, 9 luglio 2025. Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us?

A Roma mercoledì 9 luglio alle 15:00 presso Europa Experience David Sassoli FIDU Federazione Italiana Diritti Umani, come Memorial Italia partner della campagna People First, Human Rights Centre ZMINA, IPHR International Partnership for Human Rights e Europa Radicale con il sostegno di Crimea Platform Office presentano l’incontro Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us? Mercoledì 9 luglio la sede romana di Europa Experience (piazza Venezia 6c) ospita l’incontro Ukraine and Italy. Why does Crimea unite us? per discutere della attuale situazione della Crimea con particolare riferimento alle gravi violazioni dei diritti umani in corso nei territori occupati dalla Federazione Russa. L’incontro prevede anche la proiezione di un documentario sulla storia dei tatari di Crimea. L’iniziativa si svolge nell’ambito della quarta Ukraine Recovery Conference. La partecipazione è libera previa registrazione all’indirizzo https://forms.gle/8vZpUYHfdF2ZYdKi6.

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2 luglio 2025. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale all’interrogazione della deputata Lia Quartapelle in merito al caso di Ruslan Sidiki.

Il 2 luglio 2025 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha risposto all’interrogazione presentata il 20 dicembre 2024 dalla deputata del Partito Democratico Lia Quartapelle a proposito del trentaseienne prigioniero politico Ruslan Sidiki, doppia cittadinanza, russa e italiana, attualmente condannato nella Federazione Russa a ventinove anni di reclusione. Di Ruslan Sidiki abbiamo già avuto modo di parlare. Interrogazione della deputata Lia Quartapelle Ruslan Sidiki, 36 anni, è un cittadino con doppia cittadinanza italiana e russa;il signor Sidiki ha rivendicato la responsabilità per le esplosioni avvenute nella base aerea militare di Djagilevo il 20 luglio 2023, e per un sabotaggio alla linea ferroviaria nella regione di Rjazan’, che ha causato il deragliamento di un treno merci, alcuni mesi dopo. Non sono stati riportati decessi e l’obiettivo dichiarato da Sidiki era quello di danneggiare infrastrutture militari;il signor Sidiki è detenuto in carcere dal 1 dicembre 2023. Il 27 novembre 2024 il tribunale di Mosca ha prorogato la sua detenzione cautelare di ulteriori tre mesi, portandola a un totale di 15 mesi. Viene accusato di compiere un atto terroristico, ma Ruslan lo nega ritenendolo soltanto un atto di sabotaggio;secondo una testimonianza raccolta dal media indipendente russo Mediazona, dopo l’arresto il signor Sidiki sarebbe stato sottoposto a reiterate torture fisiche e psicologiche, tra cui percosse, scosse elettriche tramite dispositivi come telefoni da campo e taser, minacce di mutilazioni genitali e stupro, nonché pressioni psicologiche, al fine di estorcergli confessioni e informazioni. Le torture sarebbero avvenute in più fasi: durante l’interrogatorio iniziale, nei trasferimenti e nei giorni successivi all’arresto;l’avvocato del signor Sidiki ha presentato mesi fa una denuncia per torture al presidente del comitato investigativo russo, senza ricevere alcuna risposta ufficiale. Si ritiene che le torture siano cessate grazie alla tutela dell’avvocato, il quale, tuttavia, opera grazie a raccolte fondi volontarie che potrebbero terminare, mettendo a rischio la difesa legale del signor Sidiki;le autorità russe impediscono alle istituzioni italiane di visitare e assistere il signor Sidiki, in quanto risulta entrato in Russia con il passaporto russo e quindi considerato esclusivamente cittadino russo –:quali iniziative siano state adottate, o si intenda adottare, per garantire che il signor Ruslan Sidiki, cittadino italiano, riceva un processo equo, venendo tutelato da violazioni dei diritti umani durante la detenzione;se il Governo abbia chiesto chiarimenti alle autorità russe in merito alle accuse di tortura denunciate dal signor Sidiki e quali risposte siano state ottenute. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale segue sin dal principio il caso del signor Ruslan Sidiki, doppio cittadino italo-russo, benché non sia mai pervenuta alcuna comunicazione ufficiale dalle Autorità russe in merito al suo arresto.Il signor Sidiki fu fermato presso l’aeroporto di Vnukovo, a Mosca, a fine novembre 2023 in quanto sospettato di aver fatto esplodere l’11 novembre 2023 un treno merci nella regione di Rjazan’, circa 200 chilometri a sud della capitale. Il Consolato generale a Mosca, appresa la notizia da fonti stampa russe nella mattinata del 1 dicembre 2023, si attivò prontamente per le opportune verifiche sul caso.Il signor Sidiki risulta residente a Rjazan’ a seguito del trasferimento, nel 2008, dal comune di Siracusa. È in possesso di un passaporto italiano dal 2012 e rinnovato, da ultimo, nel 2022.Da fonti stampa russe si è appreso che il signor Sidiki si sarebbe dichiarato colpevole durante l’interrogatorio e sarebbero stati aperti a suo carico due procedimenti penali per terrorismo e acquisizione illegale e trasferimento di esplosivi. Gli sarebbero stati imputati il concorso in un attacco con droni all’aeroporto militare di Djagilevo il 20 luglio 2023 e il deragliamento a mezzo esplosivi di un convoglio ferroviario l’11 novembre dello stesso anno.Nel corso delle azioni investigative, al signor Sidiki sarebbero stati sequestrati componenti per la fabbricazione di esplosivi e ordigni esplosivi, mezzi di comunicazione e supporti elettronici contenenti foto e video delle azioni commesse.L’11 dicembre 2023 sono state riformulate le accuse a carico del connazionale. Il signor Sidiki è stato accusato di aver commesso nell’interesse dell’Ucraina i reati, tra gli altri, di possesso, trasporto e vendita illegale di esplosivi, e preparazione di attività terroristica.Il Consolato Generale a Mosca ha in più occasioni sollecitato il Ministero degli esteri russo per ottenere aggiornamenti sul caso, ricevendo solo risposte interlocutorie, e ha formalizzato da tempo una richiesta di visita consolare.L’acquisizione di informazioni risulta particolarmente difficile a causa della doppia cittadinanza del signor Sidiki. Il Governo russo è infatti molto restio nel consentire alle autorità diplomatico-consolari straniere di agire a tutela di doppi cittadini che abbiano anche la cittadinanza russa.Nel caso di specie, la situazione è resa ulteriormente complessa dal fatto che il signor Sidiki ha acquisito la cittadinanza italiana a seguito di quella russa, che invece possiede dalla nascita.Tutto questo avviene, peraltro, nel quadro di relazioni con la Federazione russa gravemente pregiudicate a seguito della ingiustificata aggressione dell’Ucraina.Il Consolato Generale a Mosca si è mantenuto in contatto costante con il legale del connazionale.Il 3 ottobre 2024 l’avvocato ha ricevuto l’autorizzazione – negata due volte in precedenza – ad effettuare una visita al suo assistito nel centro di custodia cautelare di Mosca n. 5.Il 15 aprile 2025 il legale ha informato il Consolato che il signor Sidiki è stato portato a Rjazan’ e che i seguiti del processo si sarebbero tenuti presso il Tribunale Militare di Rjazan’, luogo di nascita del connazionale e di presunto compimento dell’attentato.Il 23 maggio 2025 si è tenuta a Rjazan’ l’udienza dibattimentale del processo al connazionale Ruslan Sidiki, cui hanno partecipato in qualità di osservatori rappresentanti del Consolato Generale a Mosca, in seguito alla quale è stata pronunciata sentenza di condanna a ventinove anni di reclusione in primo grado.Da quanto appreso dal legale del connazionale, il signor Sidiki sarebbe intenzionato a fare ricorso e a richiedere di essere inserito in un programma di scambio di prigionieri.Il Consolato Generale a Mosca continuerà a sollecitare un riscontro dalle autorità russe circa la richiesta di visita consolare e a seguire il caso con attenzione, in stretto raccordo con la Farnesina. Illustrazione in copertina di Marija Tolstova /

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