“Cattiva memoria” di Marcello Flores

Perché è difficile fare i conti con la storia

Cattiva memoria. Perché è difficile fare i conti con la storia di Marcello Flores

Il mulino

 

PECCATI DI MEMORIA
TROPPI STORICI ACCETTANO DI OPERARE COME «ESPERTI AL SERVIZIO DI UNA CAUSA»
Paolo Mieli su Corriere della Sera 7 giugno 2020

Marcello Flores critica in un saggio (il Mulino) il modo in cui si costruiscono identità collettive attraverso l’uso politico del passato. Il tema delle gravi atrocità compiute dai regimi comunisti e ancora adesso alquanto sottovalutate

Troppa enfasi sulla memoria, troppo poca storia. Questi sono stati, negli ultimi decenni, i difetti del nostro modo di guardare al passato. In particolare un eccesso di riguardo nei confronti della cosiddetta «memoria collettiva». Gli storici avrebbero dovuto far argine in qualche modo al dilagare della memoria. Ma non ne sono stati capaci. È l’opinione di Marcello Flores, argomentata in un libro, Cattiva memoria. Perché è difficile fare i conti con la storia, che esce giovedì 11 giugno per il Mulino.

Come è potuto accadere? Per i condizionamenti subiti dalla politica. È abbastanza scontato — sostiene Flores — che l’establishment di un Paese cerchi di costruirne l’identità «utilizzando in proprio — attraverso cerimonie, anniversari, celebrazioni, musei, statue, mausolei, opere letterarie e artistiche, insegnamento della storia nelle scuole — scelte politiche e iniziative pubbliche che riescano a coinvolgere intellettuali ed esperti specializzati». Attenzione, però: «Se la memoria collettiva di una nazione — ma anche di una comunità, di un gruppo etnico o religioso, di un partito — è una ricostruzione del passato in funzione del presente, il ruolo dello storico che si identifica con quella nazione, quella comunità, quel partito, non può essere che quello dell’esperto al servizio di una causa». Non è più uno studioso che si autoimpone un tasso rigoroso di scientificità, diventa l’«esperto al servizio di una causa». Ciò non comporta, prosegue Flores, che «inevitabilmente» le verità storiche vengano adattate alla necessità dell’ideologia. Certo è, però, che quegli «esperti al servizio di una causa» vengono spinti fortemente «a determinare certezze oltreché giudizi coerenti e utili all’identità condivisa». Tutto ciò che non è funzionale a rinforzare le suddette certezze, nonché i «giudizi coerenti e utili all’identità condivisa», verrà abbandonato, per così dire, ai bordi della strada maestra.

Lo storico del Novecento (ma in parte anche quelli del secolo precedente) «ha partecipato attivamente alla manipolazione ideologica e alla strumentalizzazione propagandistica della propria produzione». Quantomeno «ha permesso che ciò accadesse». Sempre più ha voluto presentarsi «come costruttore volenteroso di un’identità collettiva, di una memoria comunitaria cui offriva la legittimazione della propria disciplina e del proprio ruolo accademico». Una costruzione dell’identità che «è insieme un processo politico e culturale». Con «una prevalente direzione dall’alto verso il basso, dal potere verso la società».

Era stata la modernità dell’illuminismo «a ricacciare indietro la memoria e a far crescere la domanda di storia». Il primato della ragione, concede Flores, non cancellava certo né le emozioni né le esperienze individuali. Ma «tendeva a leggerle sotto una visione nuova dominata dalla forza dell’intelletto». A partire da allora, pur in forme diverse e con proposte a volte contraddittorie e contrastate, la storiografia ha conosciuto uno sviluppo crescente, «diventando un elemento cruciale nella formazione dell’identità collettiva delle nazioni e dei popoli». Lo aveva già notato il famoso autore francese Ernest Renan in un celebre discorso del 1882 pubblicato con il titolo Che cosa è una nazione? (Donzelli).

In un altro libro che, secondo Flores, «non è stato accolto con l’attenzione che avrebbe meritato» — Elogio dell’oblio. I paradossi della memoria storica (Luiss University Press) — il saggista americano David Rieff ha sostenuto che la memoria collettiva assomiglia, più che alla storia, «a un misto di mito e propaganda» e che la convinzione che rappresenti un «dovere morale» calcola male quanto essa possa essere «fomentatrice e sobillatrice di rabbia, conflitti, violenze». Impossibile che nessuno si sia accorto di quel che ha notato Valentina Pisanty in I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe (Bompiani). E cioè che negli ultimi vent’anni in cui la Shoah «è stata oggetto di capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale», proprio negli anni dal 2000 al 2020 «il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura soprattutto nei Paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore».

Anche la storia del comunismo è finita stritolata «tra rimozione e demonizzazione». Soprattutto rimozione, tant’è che gli ex comunisti sono tra i principali beneficiari di questo privilegio accordato alla memoria. Flores ricorda la risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 «sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’europa» che ebbe in Italia un’eco «molto più accesa e polemica che in qualsiasi altro Paese». Emanuele Macaluso, ex dirigente del Pci, la definì «vergognosa» in quanto avrebbe messo sullo stesso piano nazismo e comunismo. Strano, osserva Flores, dal momento che non c’era «una sola parola, neppure un lontano riferimento» che potesse far pensare che quel documento intendesse «equiparare nazismo e comunismo». Si diceva soltanto che il patto Molotov-ribbentrop (agosto 1939) aveva «spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale», ciò che è oggi accettato da quasi tutti gli storici.

Ancor più colpito fu Flores da un appello pubblicato dal «manifesto» il 24 settembre 2019, nel quale si sosteneva che mentre il nazismo nel produrre i suoi orrori non aveva fatto altro che «realizzare i propri programmi», «i regimi comunisti, prima e dopo la guerra, allorquando si macchiarono di gravi e inaccettabili violazioni della democrazia e delle libertà, tradirono gli ideali, i valori e le promesse fatte». La vera colpa del comunismo storico, chiosa Flores, in sostanza non sarebbe stata quella di macchiarsi di «gravi e inaccettabili violazioni della democrazia» («un modo certamente eufemistico», puntualizza lo studioso, «per parlare dei milioni di vittime nel Gulag, delle deportazioni di minoranze etniche, della soppressione fisica delle opposizioni, di processi farsa che costrinsero gli imputati a dichiararsi colpevoli di nefandezze mai compiute»), ma quella «di non aver realizzato le promesse fatte». I firmatari di quell’appello, tutti nomi assai prestigiosi, prosegue Flores, «non si sarebbero mai permessi, in una loro opera, di ridurre la storia dei regimi comunisti» a quel commento «ridicolo e

offensivo (per le vittime oltre che per la verità storica)».

Il fatto è che, pur se «la conoscenza storica del comunismo è ormai ampiamente assodata e approfondita», questo «sembra aver avuto un’incidenza solo limitata nel trasformare la memoria pubblica che del comunismo si ha». In generale «rimangono dei riflessi condizionati che spingono a utilizzare alcuni cliché che vengono ripetuti senza interrogarsi sui loro significati». Che senso ha, si domanda Flores, ricordare — quando si parla delle vittime del Gulag o degli altri crimini commessi dal comunismo — i venti milioni di morti sovietici durante la Seconda guerra mondiale? Molti di loro tra l’altro — e per Flores andrebbe ricordato anche questo — furono uccisi anche per colpa dell’incompetenza e delle «scelte strategiche di Stalin»…

E inoltre: perché assai spesso «quando si evidenzia la ovvia e riconosciuta — per fortuna da parte ormai di tutti — mancanza di libertà e di democrazia, oltre che di una continua logica repressiva intrinseca ai regimi comunisti, si sente il bisogno di sottolineare la maggiore uguaglianza (sociale, culturale) che avrebbe caratterizzato le società comuniste rispetto

Contraddizioni

È difficile giustificare la «doppiezza» che portava il comunismo italiano a lottare per la democrazia e a difendere l’esperienza dell’urss

a quelle democratiche e capitaliste?» Perché tra i «successi» dell’urss in epoca staliniana si continua spesso a ricordare l’industrializzazione accelerata dei primi piani quinquennali, dimenticando che ne era parte integrante anche la catastrofe sociale che l’accompagnò e che avrebbe pesato a lungo sui destini del Paese?».

Flores è stato altresì colpito da un altro commento alla risoluzione del Parlamento europeo, in cui il Gulag veniva paragonato alle vittime dell’industrializzazione capitalistica dell’inghilterra e dell’europa nell’ottocento, considerando quest’ultima un «crimine ben maggiore e condannabile» assai più dell’universo concentrazionario sovietico, «come se i due eventi fossero commensurabili» ed entrambi fossero «il risultato di scelte politiche e ideologiche». Quando la memoria prende il sopravvento, scrive, e dimentica il ruolo di «comprensione» della storia, «è facile cadere nella logica del giudizio, del tribunale, della condanna, favorendo analogie che creano solo confusione nella conoscenza e rimandano a più generali e astratte questioni morali». La minimizzazione o relativizzazione dei

crimini del comunismo fatta ancora oggi «nasce, in realtà, dalla volontà di testimoniare la propria opposizione al mondo capitalista, alle sue profonde ingiustizie e terribili esperienze per masse di persone, cercando per questo di “salvare”, almeno in parte, l’unica esperienza storica che si è concretizzata come un’alternativa radicale e totale al capitalismo».

Si può comprendere che i reduci del Pci e i loro «compagni di strada» non possano «fare a meno di difendere — moralmente e psicologicamente — il proprio passato e l’impegno per una società più giusta, vissuto e profuso sotto le insegne del movimento comunista». Ma resta difficile, sul piano storico, giustificare la «doppiezza» che portava il comunismo italiano a lottare convintamente per la democrazia e a difendere l’esperienza dell’unione Sovietica, in modo totale e acritico fino agli anni Sessanta e poi, con qualche piccola distanza e distinguo, fino agli anni Ottanta». Nelle generazioni più giovani, d’altra parte, l’ossessione per la battaglia contro il «neoliberismo», un termine che è diventato il «punto di riferimento per indicare il disprezzo per qualsiasi posizione o figura politica che la sinistra consideri allontanarsi dal vero “socialismo”», ha teso «a indebolire i risultati della ricerca storica sul comunismo e a far affiorare sempre più frequentemente brandelli di memoria tesi a esaltare la generosità e l’eroismo della lotta anticapitalista lasciando in ombra le strutture totalitarie e le politiche repressive del comunismo». La battaglia sulla memoria del comunismo, conclude, si svolge in sostanza sul terreno della morale assai più che su quello della storia.

Invece è alla storia che dovremmo tornare. È la dimensione storica complessiva, secondo Flores, che dovrebbe alimentare nuovamente la possibilità di uno sguardo comune europeo sul passato. Ma lo stesso, sottolinea, «può e deve valere nell’ambito di singoli Stati e nazioni». Questa dimensione storica complessiva serve a ricollocare le memorie parziali nel contesto globale e a «porre fine al contrasto storia/memoria che può servire solo a chi intende strumentalizzare entrambe in un’ottica di manipolazione della verità o di narrazione utile a fini propagandistici e identitari (cioè per contrapporsi ad altrui identità)».

Aleida Assmann, in Sette modi di dimenticare (il Mulino), sostiene che «la memoria è sempre limitata, perché si riferisce alla prospettiva dell’esperienza di un individuo o di un gruppo». Per collocare qualcosa nella memoria, aggiunge, «occorrono sforzi particolari» e sono sforzi «che pagano» dal momento che la memoria «fonda comunità». Si esercita il ricordo, secondo Assmann, «per appartenere alla comunità e perché nella memoria del gruppo si vorrebbe anche sopravvivere». Dopodiché va detto anche che «senza il dimenticare le cose non funzionerebbero». E qui Flores si richiama a una celebre frase dello scrittore francese Honoré de Balzac: «I ricordi rendono la vita più bella, dimenticare la rende più sopportabile». E si giunge alla rivalutazione dell’oblio come medicamento per gli eccessi della memoria.

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

2 luglio 2025. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale all’interrogazione della deputata Lia Quartapelle in merito al caso di Ruslan Sidiki.

Il 2 luglio 2025 il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha risposto all’interrogazione presentata il 20 dicembre 2024 dalla deputata del Partito Democratico Lia Quartapelle a proposito del trentaseienne prigioniero politico Ruslan Sidiki, doppia cittadinanza, russa e italiana, attualmente condannato nella Federazione Russa a ventinove anni di reclusione. Di Ruslan Sidiki abbiamo già avuto modo di parlare. Interrogazione della deputata Lia Quartapelle Ruslan Sidiki, 36 anni, è un cittadino con doppia cittadinanza italiana e russa;il signor Sidiki ha rivendicato la responsabilità per le esplosioni avvenute nella base aerea militare di Djagilevo il 20 luglio 2023, e per un sabotaggio alla linea ferroviaria nella regione di Rjazan’, che ha causato il deragliamento di un treno merci, alcuni mesi dopo. Non sono stati riportati decessi e l’obiettivo dichiarato da Sidiki era quello di danneggiare infrastrutture militari;il signor Sidiki è detenuto in carcere dal 1 dicembre 2023. Il 27 novembre 2024 il tribunale di Mosca ha prorogato la sua detenzione cautelare di ulteriori tre mesi, portandola a un totale di 15 mesi. Viene accusato di compiere un atto terroristico, ma Ruslan lo nega ritenendolo soltanto un atto di sabotaggio;secondo una testimonianza raccolta dal media indipendente russo Mediazona, dopo l’arresto il signor Sidiki sarebbe stato sottoposto a reiterate torture fisiche e psicologiche, tra cui percosse, scosse elettriche tramite dispositivi come telefoni da campo e taser, minacce di mutilazioni genitali e stupro, nonché pressioni psicologiche, al fine di estorcergli confessioni e informazioni. Le torture sarebbero avvenute in più fasi: durante l’interrogatorio iniziale, nei trasferimenti e nei giorni successivi all’arresto;l’avvocato del signor Sidiki ha presentato mesi fa una denuncia per torture al presidente del comitato investigativo russo, senza ricevere alcuna risposta ufficiale. Si ritiene che le torture siano cessate grazie alla tutela dell’avvocato, il quale, tuttavia, opera grazie a raccolte fondi volontarie che potrebbero terminare, mettendo a rischio la difesa legale del signor Sidiki;le autorità russe impediscono alle istituzioni italiane di visitare e assistere il signor Sidiki, in quanto risulta entrato in Russia con il passaporto russo e quindi considerato esclusivamente cittadino russo –:quali iniziative siano state adottate, o si intenda adottare, per garantire che il signor Ruslan Sidiki, cittadino italiano, riceva un processo equo, venendo tutelato da violazioni dei diritti umani durante la detenzione;se il Governo abbia chiesto chiarimenti alle autorità russe in merito alle accuse di tortura denunciate dal signor Sidiki e quali risposte siano state ottenute. Risposta del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale segue sin dal principio il caso del signor Ruslan Sidiki, doppio cittadino italo-russo, benché non sia mai pervenuta alcuna comunicazione ufficiale dalle Autorità russe in merito al suo arresto.Il signor Sidiki fu fermato presso l’aeroporto di Vnukovo, a Mosca, a fine novembre 2023 in quanto sospettato di aver fatto esplodere l’11 novembre 2023 un treno merci nella regione di Rjazan’, circa 200 chilometri a sud della capitale. Il Consolato generale a Mosca, appresa la notizia da fonti stampa russe nella mattinata del 1 dicembre 2023, si attivò prontamente per le opportune verifiche sul caso.Il signor Sidiki risulta residente a Rjazan’ a seguito del trasferimento, nel 2008, dal comune di Siracusa. È in possesso di un passaporto italiano dal 2012 e rinnovato, da ultimo, nel 2022.Da fonti stampa russe si è appreso che il signor Sidiki si sarebbe dichiarato colpevole durante l’interrogatorio e sarebbero stati aperti a suo carico due procedimenti penali per terrorismo e acquisizione illegale e trasferimento di esplosivi. Gli sarebbero stati imputati il concorso in un attacco con droni all’aeroporto militare di Djagilevo il 20 luglio 2023 e il deragliamento a mezzo esplosivi di un convoglio ferroviario l’11 novembre dello stesso anno.Nel corso delle azioni investigative, al signor Sidiki sarebbero stati sequestrati componenti per la fabbricazione di esplosivi e ordigni esplosivi, mezzi di comunicazione e supporti elettronici contenenti foto e video delle azioni commesse.L’11 dicembre 2023 sono state riformulate le accuse a carico del connazionale. Il signor Sidiki è stato accusato di aver commesso nell’interesse dell’Ucraina i reati, tra gli altri, di possesso, trasporto e vendita illegale di esplosivi, e preparazione di attività terroristica.Il Consolato Generale a Mosca ha in più occasioni sollecitato il Ministero degli esteri russo per ottenere aggiornamenti sul caso, ricevendo solo risposte interlocutorie, e ha formalizzato da tempo una richiesta di visita consolare.L’acquisizione di informazioni risulta particolarmente difficile a causa della doppia cittadinanza del signor Sidiki. Il Governo russo è infatti molto restio nel consentire alle autorità diplomatico-consolari straniere di agire a tutela di doppi cittadini che abbiano anche la cittadinanza russa.Nel caso di specie, la situazione è resa ulteriormente complessa dal fatto che il signor Sidiki ha acquisito la cittadinanza italiana a seguito di quella russa, che invece possiede dalla nascita.Tutto questo avviene, peraltro, nel quadro di relazioni con la Federazione russa gravemente pregiudicate a seguito della ingiustificata aggressione dell’Ucraina.Il Consolato Generale a Mosca si è mantenuto in contatto costante con il legale del connazionale.Il 3 ottobre 2024 l’avvocato ha ricevuto l’autorizzazione – negata due volte in precedenza – ad effettuare una visita al suo assistito nel centro di custodia cautelare di Mosca n. 5.Il 15 aprile 2025 il legale ha informato il Consolato che il signor Sidiki è stato portato a Rjazan’ e che i seguiti del processo si sarebbero tenuti presso il Tribunale Militare di Rjazan’, luogo di nascita del connazionale e di presunto compimento dell’attentato.Il 23 maggio 2025 si è tenuta a Rjazan’ l’udienza dibattimentale del processo al connazionale Ruslan Sidiki, cui hanno partecipato in qualità di osservatori rappresentanti del Consolato Generale a Mosca, in seguito alla quale è stata pronunciata sentenza di condanna a ventinove anni di reclusione in primo grado.Da quanto appreso dal legale del connazionale, il signor Sidiki sarebbe intenzionato a fare ricorso e a richiedere di essere inserito in un programma di scambio di prigionieri.Il Consolato Generale a Mosca continuerà a sollecitare un riscontro dalle autorità russe circa la richiesta di visita consolare e a seguire il caso con attenzione, in stretto raccordo con la Farnesina. Illustrazione in copertina di Marija Tolstova /

Leggi

Roma, 27 giugno 2025. Presentazione del report “La risposta delle autorità italiane agli episodi di repressione transnazionale” a cura di FIDU e IPHR.

A Roma venerdì 27 giugno alle 12:00 FIDU (Federazione Italiana Diritti Umani), come Memorial Italia partner della campagna People First, e IPHR (International Partnership for Human Rights) presentano presso il Senato della Repubblica (Sala Caduti di Nassiriya, piazza Madama 11) il report La risposta delle autorità italiane agli episodi di repressione transnazionale. Il report analizza la risposta delle autorità italiane di fronte ai casi di repressione transnazionale russa sul territorio italiano a partire da testimonianze dirette, criticità sistemiche e con proposte concrete per rafforzare gli strumenti di protezione per chi cerca rifugio in Italia. I giornalisti e gli ospiti devono accreditarsi scrivendo a segreteria@fidu.it. Sarà comunque possibile seguire l’evento online, in diretta streaming su webtv.senato.it e sul canale YouTube del Senato italiano. Martedì scorso Eleonora Mongelli, vicepresidente della Federazione Italiana Diritti Umani, e Nuvola Galliani, legal officer di International Partnership for Human Rights, hanno avuto modo di partecipare a un’audizione informale presso la commissione Esteri della Camera dei deputati in merito agli episodi di repressione transnazionale di dissidenti da parte dei regimi autoritari.

Leggi

25 giugno 2025. “La mia vita nel Gulag” di Anna Szyszko-Grzywacz. Presentazione on line.

Mercoledì 25 giugno 2025 alle 18:30 l’associazione Ponte atlantico, nell’ambito dei Mercoledì dei riformisti, ospita la presentazione del volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, ultima pubblicazione della collana Narrare la memoria, curata da Memorial Italia per Guerini e Associati Edizioni. La presentazione si svolgerà on line sulla piattaforma Teams. È possibile partecipare utilizzando il link https://bit.ly/municipio1mercoledi. Nell’estate del 1939 Anna Szyszko ha 16 anni, vive in Polonia e vuole iscriversi a una scuola professionale con la sua migliore amica. Ma l’invasione dell’Armata Rossa stravolgerà la sua vita per sempre. Attiva come staffetta di collegamento nell’esercito clandestino polacco, verrà arrestata e deportata nel famigerato gulag siberiano di Vorkuta, oltre il Circolo polare artico, nella zona più fredda d’Europa. Vi rimarrà per undici anni resistendo, con incredibile spirito di resilienza, al freddo, alla fame, alle malattie, alla fatica del lavoro in miniera, al rischio continuo di violenza sessuale. Fino alla morte di Stalin che nel 1956 porterà a un’attenuazione delle persecuzioni e al progressivo smantellamento di quelle strutture infernali. Trentotto anni dopo i fatti la nostra Barbara Grzywacz, figlia di Anna, ha raccolto le sue memorie.

Leggi