Voci dalla guerra: Natalija Vitkovs’ka, insegnante

Per il progetto "Voci dalla guerra" pubblichiamo l'intervista di Oleksandr Vasil'jev a Natalija Vitkovs'ka, un'insegnante di Borodjanka, che racconta come ha vissuto l'occupazione russa.

Voci dalla guerra: Natalija Vitkovs’ka, insegnante: “Sono rimasta nella città occupata perché non potevo abbandonare il mio cane”.

Natalija Vitkovs’ka è insegnante in un liceo. L’invasione russa ha sorpreso lei e il marito a Borodjanka, nei pressi di Kyiv. Ha raccontato a Oleksandr Vasil’jev come ha vissuto il periodo dell’occupazione col marito, prima che Borodjanka fosse liberata dall’esercito ucraino.

Pubblichiamo qui la trascrizione della sua intervista in traduzione italiana. Il video integrale, in lingua originale coi sottotitoli in italiano, è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Questo materiale è reso disponibile dal progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

Oleksandr Vasil’jev

25.01.2023

Mi chiamo Natalija Fedorivna Vitkovs’ka. Insegno al liceo. Abito a Borodjanka, regione di Kyiv, occupata dai russi.

– Com’è stato il “giorno uno” dell’arrivo dei russi?

– Abbiamo una casa a due piani, e c’era sempre qualcuno che al piano di sopra usciva a guardare da dove arrivavano i bagliori e cosa stava succedendo. Da un lato abbiamo [l’aeroporto di] Hostomel’, ma i russi sono venuti dall’altro lato, da nord. Sentivamo i boati e il rumore degli aerei, poi sono iniziate le esplosioni. In famiglia abbiamo fatto dei turni di vigilanza per capire da dove arrivavano gli aerei. Anche perché avevamo con noi nostro nipote, che ha due anni. In una casa a due piani correre ogni volta in cantina non è semplice, e risalire è anche più faticoso. Per questo facevamo i turni: per capire quando il pericolo era reale ed era meglio scendere in cantina.

Abbiamo anche messo delle protezioni metalliche alle finestre, per sicurezza, e abbiamo creato una chat con i vicini per condividere le informazioni. Non che sia servita a granché: la luce e il segnale sono andati via quasi subito. Del primo giorno ricordo anche quando siamo usciti sperando di fare la spesa, ma i negozi erano già praticamente vuoti. Insomma, di fatto siamo rimasti in cantina: mettevamo il naso fuori ogni tanto per vedere cosa succedeva, da dove arrivavano le esplosioni e gli aerei.

– Com’è iniziata l’occupazione?

– Con gli incendi. Il 7 marzo, lo ricordo bene, una collega mi scrisse che gli occupanti russi erano già nella sua strada e controllavano le case. È stato l’ultimo messaggio, poi è andato via il segnale. Da noi sono arrivati il 9: una sorta di mini-colonna di uomini per il rastrellamento e qualche automezzo coi cecchini. Si sono presentati in otto: sette buriati e un russo. Hanno passato al setaccio tutta la casa. Cercavano “seguaci di Bandera”, hanno detto. Ho chiesto perché erano venuti in Ucraina, ma di fatto non mi hanno risposto. Una volta, invece, abbiamo parlato con un ufficiale russo, che, anche lui, era venuto in cerca di “nazi” e voleva sapere della nostra vita quotidiana. Di nuovo gli abbiamo chiesto perché erano venuti in Ucraina. Abbiamo provato a spiegare che non avevamo alcun bisogno di essere liberati e che nessuno discriminava i russofoni. Io per prima in un certo periodo avevo insegnato russo, gli ho detto. Ma loro avevano in bocca solo Bandera e i nazionalisti. Davvero sembravano non capire che nessuno li aveva chiamati…

Ci sono state tre ondate. Durante la prima le colonne hanno attraversato Borodjanka. E non sono tornate. La seconda è stata intorno al 15-20 marzo. I soldati non erano equipaggiati di tutto punto come quelli della prima ondata, erano già un po’ più malmessi. Cercavano un posto dove scaldarsi, andavano nelle case a prendere le coperte, le portavano nelle cantine e ci si facevano un letto. Quelli della terza ondata erano proprio straccioni. È stato tremendo, davvero. Indescrivibile. Erano come barboni e si sono piazzati dentro le case dei vicini. Noi, non ci hanno toccato, hanno solo controllato la casa. Un nostro vicino, invece, lo hanno picchiato perché fumava alla finestra di notte. Pensavano che facesse segnali con la brace ai partigiani o all’Esercito ucraino.

– Siete stati testimoni di crimini compiuti da militari russi?

– Rubavano. Hanno svaligiato la casa di un vicino, per esempio, al 7 della nostra via, la Nova. Passavano dalle finestre, si portavano via la roba e la caricavano sulle auto.

– Ha mai visto soldati russi torturare o uccidere dei civili?

– No, ma perché non uscivamo quasi mai di casa e siamo sempre rimasti nella nostra strada.

– Perché non siete sfollati da Borodjanka?

– Primo, non avevamo la benzina. Io e mio marito l’abbiamo data tutta ai nostri figli perché se ne andassero loro. Secondo, abbiamo un cane, un pastore alabai, e non potevamo abbandonarlo. Terzo, non volevamo andare a casa di qualcun altro e mangiare a scrocco quando avevamo un tetto e delle provviste nostre. E soprattutto: questa è la mia terra, perché dovrei lasciarla a qualcuno che ci ha invaso?

– Prima della guerra avevate mai pensato alla possibilità di un’invasione di queste proporzioni?

– Capivo che le relazioni con la Russia si stavano deteriorando, ma fino all’ultimo non credevo che sarebbero arrivati a tanto.

– Eravate preparati a una possibile invasione?

– Il giorno prima mio marito e mio figlio avevano iniziato a dirmi di fare i bagagli, per questo il 24 avevo pronta una valigia d’emergenza e tutti i documenti. Prima no, non ci avevo mai pensato.

– Cosa può dirci del bombardamento russo su Borodjanka?

– È stato spaventoso! Prima non avevo mai sentito il boato di un aereo che arriva a bombardare. Eravamo terrorizzati, siamo corsi subito in cantina. Tremava tutto, lì sotto. Le bombe cadevano a 400 metri da noi, ma si sentiva tutto fortissimo. Mia nuora faceva da scudo al figlio col suo corpo: la paura è stata tremenda, non so nemmeno spiegarglielo. Poi figli e nipoti sono sfollati, io e mio marito siamo rimasti, e in qualche modo ci siamo adattati a questa vita.

Edifici distrutti dai bombardamenti
Borodjanka, conseguenze degli attacchi aerei russi

– E le vostre proprietà?

– Abbiamo subìto qualche danno. Però, grazie al cielo, la casa è in piedi, nonostante sul tetto sia arrivata qualche grossa scheggia che ha rotto le lastre di copertura. Anche la rimessa è danneggiata e ci sono crepe ovunque. Abbiamo dove vivere, ma lo spostamento d’aria delle bombe ha fessurato le parenti accanto alle finestre. Non so come sopravviveremo all’inverno. Rispetto ad altri che hanno perso tutto, però, a noi non è andata così male.

– Come si è sentita quando hanno liberato Borodjanka?

– È stata una felicità enorme! Ma l’ansia non se ne va. Sono stati comunque qui, hanno calpestato la nostra terra, hanno causato un dolore enorme….

– Il suo atteggiamento nei confronti dei russi è cambiato?

Immagine di Natalija Vitkovs'ka sullo sfondo di edifici rovinati a Borodjanka
Vitkovs’ka Natalija, Borodjanka

 

– I miei amici hanno parenti russi, e li conosco molto bene anche io. Non so cosa farò in futuro, ma per ora non ci voglio parlare. Non so dirle cosa dovrebbe accadere perché io possa sedermi attorno a un tavolo insieme a loro. Mi dispiace per le madri dei soldati russi, ma d’altra parte, se lasciano che i loro figli vengano a ucciderci, non meritano alcuna compassione. Che la terra non gli sia lieve. Che sia cemento, per loro.

 

 

 

 

 

 

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