Voci dalla guerra: Volodymyr Zajika, pensionato di Moščun

Volodymyr Zajika vive a Moščun, un paesino della regione di Kyiv dove solo il 5% delle abitazioni non ha subito danni. Durante un bombardamento nemico ha dovuto spegnere da solo l’incendio scoppiato nella sua abitazione a causa di un missile. Nella sua aia è rimasto in piedi solo il fienile.

Voci dalla guerra: Volodymyr Zajika, pensionato di Moščun: “L’esplosione ha sbalzato un anziano di un centinaio di metri”.

Volodymyr Zajika vive a Moščun, un paesino della regione di Kyiv dove solo il 5% delle abitazioni non ha subito danni. Durante un bombardamento nemico ha dovuto spegnere da solo l’incendio scoppiato nella sua abitazione a causa di un missile. Nella sua aia è rimasto in piedi solo il fienile.

Nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”), pubblichiamo la trascrizione della traduzione italiana dell’intervista che ha concesso a Oleksandr Vasyl’jev. Il video dell’intervista, in lingua originale sottotitolato in italiano, si può guardare nel canale YouTube di Memorial Italia.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

Oleksandr Vasyl’jev

01.11.2022

Volodymyr davanti alle macerie della sua casa nel villaggio di Moščun, regione di Kyiv.

— Mi chiamo Volodja. Prima della guerra ho fatto diversi mestieri. Installavo i condizionatori, anche se sarei autista. Ho avuto un infarto e ora prendo la pensione di invalidità.

— Credeva che la Russia avrebbe invaso l’Ucraina?

— Certo che no, chi l’avrebbe mai detto. Anche quando sono iniziati i bombardamenti, nessuno pensava che sarebbe andata così, che avrebbero distrutto le case. Nessuno pensava che ci avrebbero attaccato. Certo, ci dicevano di tenerci pronti, di preparare una valigia d’emergenza e i documenti per partire. Noi, per esempio, i documenti non li avevamo neanche preparati… E poi sono andati in fumo.

— Com’è stato per lei il primo giorno di guerra?

— Un giorno come tanti. Ci eravamo svegliati e stavamo facendo le solite cose in casa, non essendoci ancora lavoro nei campi. Avevo le mie quaglie, cani e gatti a cui dar da mangiare. Insomma, le solite cose…

— Cos’è successo nei giorni successivi?

— I giorni successivi li abbiamo trascorsi in cantina. Iniziavano i bombardamenti e noi filavamo subito di sotto. Inizialmente il segnale reggeva, poi la luce è andata via, e con la luce il segnale. Intanto i droni sorvolavano la zona.

All’inizio davo una mano alle forze di Difesa territoriale, con un fucile in tre, e neanche sapevamo se funzionava… Dal 25 febbraio gli spari si sentivano vicini, sempre più vicini, e il 6 marzo erano fortissimi: quei mostri erano arrivati anche da noi. Usavano i missili ‘Grad’ e tiravano mine ovunque.

Quel giorno la mia casa è andata a fuoco. E quando sono entrati i carri armati russi ho lasciato Moščun. È stato orribile. Vedevo gli elicotteri che volavano verso l’aeroporto di Hostomel’. Prima cinque, poi ne ho contati altri diciannove. Il nostro paesino si trova in una sorta di bassopiano, e gli elicotteri sorvolavano il bosco così bassi che toccavano le cime degli alberi. Forse l’antiaerea non li ha intercettati proprio perché siamo in un bassopiano e Hostomel’ è più in alto. Poi però sono riusciti ad abbatterne tre, e ho visto anche atterrare le truppe.

— Come ha fatto a mettere in salvo sé stesso e i suoi figli?

— Il giorno prima avevo portato mia moglie e mio figlio a Pušča-Vodycja, in un rifugio. Poi io ero tornato a casa ed ero rimasto con il mio vicino Andrej.

Quando mi hanno colpito ho detto a Andrej (che non ha più la moglie): “Porta i bambini da tua suocera a Kyiv, oppure da tua madre, guarda che casino che sta succedendo!”. Poi una volta nel mio orto è scoppiata una mina: io mi sono leggermente ferito alla fronte, il mio vicino alla mano. Solo a quel punto si è deciso a portare via i figli, e io sono rimasto qui da solo. Quando la casa è andata a fuoco, ho spento l’incendio per evitare che si incendiassero anche la legnaia e la cantina: è tutto vicino, qui. Prendevo l’acqua alla fontana, l’ho spento pian piano. La decisione di andare via l’ho presa quando la casa non era ancora bruciata del tutto, ma gli spari erano sempre più vicini. Sono andato da mia madre e ci ho trovato mia cognata, la sorella di mia moglie. Mi ha detto: “O partiamo subito, o non partiamo più”. E così siamo partiti.

La strada centrale, asfaltata, non era percorribile perché i mostri russi erano già lì a correre e sparare. Perciò abbiamo deciso di passare per il bosco e poi sulla strada asfaltata per Horenka, dove c’è un rifugio nell’ospedale militare. Siamo partiti quel giorno, per ultimi.

— Avete visto i militari russi compiere dei crimini contro la popolazione civile?

— Non con i miei occhi, però ne ho sentito parlare. Ma ho visto missili e mine, la mia legnaia bombardata, i mezzi corazzati con la lettera V che entravano in paese, a 200 metri da casa. Sono passati oltre a tutta velocità, pensando che ci fosse un qualche varco, e invece sono finiti nella palude. Ci hanno messo un po’, a uscirne. Mia cognatа aveva partorito da poco, il bambino non aveva neanche un mese, stavano sempre in cantina. La sera si scaldava la casa e la notte salivano su per non far stare il bambino al freddo. Io la sera andavo a fare la legna. Ci sento male, quando mi si alza la pressione, ma il drone volava così basso che l’ho sentito persino io. Il giorno dopo hanno già hanno centrato la legnaia.

Il 5 è andata a fuoco la casa dei vicini, dove avevano girato la serie Svaty [serie televisiva molto nota, ideata dall’attuale presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj, N.d.T.]. Sono andate a fuoco quattro case vicine, tutte colpite dai ‘Grad’. La coppia di anziani che ci viveva era rimasta qua, non erano voluti partire. Dopo i bombardamenti, lei l’hanno ritrovata in cantina, mentre l’esplosione aveva sbalzato via il marito di un centinaio di metri.

— Cos’è successo alla sua casa?

— Un ‘Grad’ l’ha centrata e ha preso fuoco. E mentre cercavo di spegnere l’incendio, tornando col secchio dell’acqua ho sentito un fischio, sono corso in cantina, non ho neanche fatto in tempo a chiudere la porta che si è proprio divelta. Una mina mi ha centrato il garage, lo ha distrutto, ha ridotto la porta un colabrodo, ci potevi scolare la pasta…

— E adesso cosa farà?

— Ricostruiremo tutto. Lo Stato ha detto che ci aiuterà, ma non sappiamo con quanto… Però dobbiamo andare avanti, in qualche modo. Per fortuna ci portano cibo, batterie solari, lampade, pile. Stanno riattivando l’elettricità, hanno promesso che la riattaccheranno entro fine mese, ma a me è rimasto in piedi solo il fienile… Ci inventeremo qualcosa…

— La sua opinione nei confronti della Russia e dei russi è cambiata?

— E vorrei vedere! Sono dei mostri che uccidono bambini e violentano le donne: è lampante. All’inizio forse non erano così, ma poi il governo e la TV gli hanno fatto il lavaggio del cervello… Noi non siamo mai andati a ucciderli e violentarli…

— Vorrebbe dire qualcosa ai russi?

— E cosa vuole che gli dica? Sono dei mostri, non capirebbero. Dicono che vengono a salvarci, ma a salvare chi? E da cosa? Cosa dovrei dirgli? Non sono persone, ma bestie.

— Come si sono comportati i militari russi durante l’occupazione di Moščun?

— Una vicina anziana mi ha raccontato che erano andati da lei in 15. Russi. Aveva sentito dei passi. Ha una casa di tre piani e cantina. Quando sono arrivati i russi, lei è sbucata dalla cantina e quelli si sono spaventati. Le hanno chiesto da mangiare. “Mangiatevi le patate crude!” gli ha risposto lei. “Ragazzi, arrendetevi, che almeno salvate la pelle!”. Non so dove ha trovato il coraggio. Potevano anche spararle. È capitato diverse volte. Poi se ne sono andati, ma lei si ricordava le facce e la mattina li hanno fucilati tutti. Nei campi a fine mese o inizio maggio hanno beccato due buriati. Non so se si erano arresi loro o se li avevano trovati i nostri. Credo avessero paura di prendersi una pallottola, invece hanno portato a casa la pelle.

— Lo sminamento dell’area qua intorno procede?

— Sì, trovano qualcosa quasi tutti i giorni. Persino una vecchia poco tempo fa ha trovato unа granata, camminando. Sminano, sì.

— Cosa ha provato quando è tornato in paese dopo che l’esercito ucraino lo aveva liberato?

— Oh, non ho parole per esprimerlo… Sono partito che la mia casa era distrutta, ma mia mamma era rimasta qui, in territorio occupato [piange], e per un mese non siamo riusciti a sentirci. Chiedevamo ai volontari, ma lei non ha voluto saperne di partire, ed è rimasta qui. Per fortuna è andata bene. Siamo tornati. Le case che sono rimaste in piedi qui nel paesino sono poche, forse solo il 5%.

— Avete chiesto l’aiuto dello Stato per ricostruire la casa?

— Chiamo, e mi dicono di aspettare. Quando ci hanno evacuati nella zona di Vinnycja sono andato dalla polizia. Ho portato le foto della mia casa distrutta e ho rilasciato una dichiarazione con tanto di prove. Ci hanno fatto la pratica e l’hanno mandata a Kyiv, ma non so quando la esamineranno, forse a guerra finita. Ho consegnato i documenti anche a Vyšneve. Ho le prove: la mia casa l’hanno distrutta i militari russi.

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