L’Italia dovrebbe domandarsi perché molti rifugiati ucraini non restano

Oltre 175mila persone accolte. In realtà ad occuparsi degli alloggi è stata perlopiù la diaspora ucraina. Lo Stato non ha avuto una strategia lungimirante. Eppure stiamo parlando quella immigrazione legale che anche secondo il governo Meloni deve essere sostenuta.

(di Iryna Kashchey, giornalista e traduttrice audiovisiva ucraina, da anni residente in Italia)


07 settembre 2023 
Aggiornato alle 13:41


Sarà presto trascorso un anno e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia e i rifugiati ucraini si trovano quindi sempre più spesso di fronte a una domanda: insieme o separati? Rimanere nell’Ue o tornare in Ucraina? Come risolvono questo dilemma gli ucraini in Italia? Allo stesso tempo, anche i paesi che li ospitano devono decidere che politica adottare nei loro confronti.


L’Italia ha accolto più di 175.000 rifugiati ucraini (dati maggio 2023). Si è generato una sorta di paradosso nazionale: da una parte, è stato aperto un “corridoio verde” per gli ucraini, con procedure e regole semplificate senza precedenti, con vari diritti e assistenza economica, dall’altra, pur con tutti questi privilegi, per gli ucraini è stato più difficile trovare una propria strada in Italia in confronto con quanto è successo, per esempio, nei Paesi del Nord Europa.


Circa il 90% degli ucraini si è stabilito presso amici e conoscenti, e solo il resto ha ricevuto un alloggio dallo Stato. In altre parole, ad occuparsi del problema degli alloggi è stata perlopiù la diaspora ucraina. Fortunatamente, la comunità ucraina presente nel Belpaese è estesa (ufficialmente arriva a quasi 300.000 persone, inclusi quelli che hanno già acquisito la cittadinanza italiana) e molto attiva. Inoltre, ci sono i volontari: molte persone, che, seguendo i propri sentimenti, si sono occupate e si occupano tuttora dei problemi quotidiani delle persone fuggite dalla guerra.


Lo Stato italiano non ha avuto una strategia lungimirante. Un certo numero di rifugiati è stato ospitato negli alberghi. Poiché la maggior parte di loro erano donne con bambini, esse hanno naturalmente iscritto subito i propri figli a scuole, asili e a organizzazioni di sport e svago, oltre che all’assistenza medica. Ma dopo qualche mese, quando i bambini cominciavano ad ambientarsi, a molte madri veniva detto che gli alberghi erano solo una forma di assistenza emergenziale e che quindi avrebbero dovuto spostarsi. Dove? Sono stati loro proposto i centri di accoglienza per migranti o altri alloggi sociali che potevano trovarsi in un’altra città o in qualche paesino sperduto e mal collegato in un’altra regione.


Chi è rimasto dagli amici o conoscenti ha avuto comunque dei problemi simili. Dopo qualche mese di convivenza, i padroni di casa e gli ospiti si stancavano della convivenza, e anche questo doveva essere risolto in qualche modo… Pertanto, una rifugiata ucraina media in Italia ha alle spalle due o più traslochi.


L’assistenza finanziaria ai rifugiati prevedeva 300 euro per un adulto e 150 per un bambino per un periodo di tre mesi. Come per dire: “…e dopo trovatevi un lavoro e pagatevi tutto da soli. E integratevi”. Praticamente, non si è trattato di assistenza sociale, ma di un’indennità, un rimborso spese quasi una tantum: “noi ti abbiamo dato un impulso, poi devi fare da solo”. Il mancato prolungamento del periodo di tre mesi non è sorprendente, visto che al governo sta una coalizione di estrema destra. Però, onestamente: qual è la percentuale di persone che, catapultate all’improvviso in un paese straniero di cui non parlano la lingua, dopo soli tre mesi riuscirebbe a reinventare la propria vita, trovando un lavoro ben pagato e un alloggio dignitoso in assoluta autonomia?


Soprattutto quando si tratta di questo tipo di migranti, dato che questa ondata di immigrazione ucraina è costituita perlopiù da donne abbastanza giovani, istruite (il livello di istruzione medio delle rifugiate ucraine in Italia è superiore alla media italiana e anche alla media ucraina), con figli minorenni. E se le prime due caratteristiche aiuterebbero a integrarsi, la terza rende tutto più complicato. Come fai ad andare a lavorare se sei sola con i bambini? Inoltre, la maggioranza di queste donne vorrebbe tornare in patria presto e per questo spessissimo non studia l’italiano (“Me ne vado tra poco, a cosa mi servirà?”).


Bisogna aggiungere che il lavoro più semplice da trovare in Italia è nel settore delle pulizie a ore e si capisce benissimo perché solo l’11% dei rifugiati ucraini abbia trovato un lavoro, soprattutto nel settore alberghiero o nella ristorazione. Inoltre, una certa percentuale, abbastanza piccola, ha “portato da casa” il proprio lavoro, essendo in grado di lavorare a distanza.


Poco più di un anno è il limite psicologico oltre il quale si deve decidere: dentro o fuori? Metteremo radici qui o torneremo in patria? Non si può vivere una vita intera “con le valigie”. In realtà, un certo numero di ucraini “italiani” ha già deciso. Nella primavera e nell’estate del 2023, un numero significativo di rifugiati è tornato. Secondo le fonti europee, potrebbe trattarsi di oltre la metà.


Le ragioni sono molte. Una delle principali è che l’Italia in realtà non compete con l’Ucraina per questo capitale umano. Nonostante il fatto che la situazione demografica del Belpaese sia molto triste: ogni anno nascono appena 400.000 bambini e muoiono più di 700.000 persone. Quindi, di fatto, gli immigrati servono come il pane. Giovani, istruiti, laboriosi, con figli, a maggior ragione. Anche la premier Meloni durante la recente conferenza europea su Sviluppo e Migrazioni a Roma, ha detto che l’immigrazione illegale deve essere contrastata, ma quella legale deve essere sostenuta.


Il governo Meloni si sta occupando del problema dell’immigrazione illegale: l’8 giugno, in Lussemburgo, i ministri degli Interni dell’UE hanno firmato un accordo su due regole chiave del Patto sulla migrazione. Per l’Italia, la regola del “primo ingresso” è una questione dolorosa. Per molti anni, Roma ha cercato di rivedere queste regole e di ridistribuire i migranti in modo più equo all’interno dell’UE. A giugno, l’Italia, secondo il suo ministro degli Interni, è riuscita a insistere su uno dei suoi messaggi chiave: “Non vogliamo che l’UE ci paghi per mantenere gli immigrati irregolari sul nostro territorio”.


Allo stesso tempo, una riforma della politica di immigrazione legale è probabilmente in attesa di tempi migliori. Almeno, non sembra che Roma si stia muovendo per introdurre qualcosa di simile alle norme canadesi sull’immigrazione, considerate un modello a livello internazionale per la loro funzionalità sia rispetto alle esigenze del Paese di immigrazione, sia rispetto all’integrazione dei nuovi arrivati.


Attualmente i rifugiati ucraini hanno tutti i requisiti legali per risiedere in Italia fino al 31 dicembre 2023. Cosa succederà dopo non si sa. Sarà possibile prorogare i permessi di soggiorno o convertirli in permessi di lavoro? Questa incertezza di certo non facilita e non aiuta gli ucraini nel fare dei progetti per la propria vita futura.


Inoltre, l’Italia è molto restia a riconoscere i diplomi e le lauree straniere e, come abbiamo detto, non offre lavori qualificati. Anche a chi ha un’ottima conoscenza dell’italiano. Per esempio, è quasi impossibile per un immigrato diventare insegnante di scuola (a differenza di quanto avviene negli stessi Paesi del Nord Europa). L’Italia non è un Paese in cui è facile iniziare una nuova vita.


I demografi ucraini prevedono che circa due terzi dei rifugiati ucraini rimarranno nell’UE. Oltre alle mogli e ai figli già integrati, i loro padri e mariti li raggiungeranno all’estero dopo la vittoria ucraina. In alcuni casi sarà così. Ma mi permetto di fare la previsione che per l’Italia questa proporzione sarà diversa, e lo scenario “e dopo papà si è trasferito da noi” sarà piuttosto raro. Penso che la maggior parte di coloro che sono arrivati dopo il febbraio 2022 torneranno a casa dall’Italia o si trasferiranno in altri Paesi dell’UE. In effetti, questo sta già accadendo.

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