Voci dalla guerra: Kyrylo Kucenko

Kyrylo Kucenko racconta del suo avventuroso viaggio per lasciare Luhans’k invasa dai russi e rifugiarsi a Leopoli (L’viv). Gli invasori hanno devastato indiscriminatamente gli edifici della popolazione civile, riducendola a una vita di stenti. Kyrylo è riuscito a mettersi in salvo con la famiglia, ma non è stata un’impresa facile.

Voci dalla guerra. Kyrylo Kucenko, abitante di Rubižne: “Tutte le case della nostra via sono distrutte”.

Kyrylo Kucenko racconta del suo avventuroso viaggio per lasciare Luhans’k invasa dai russi e rifugiarsi a Leopoli (L’viv). Gli invasori hanno devastato indiscriminatamente gli edifici della popolazione civile, riducendola a una vita di stenti. Kyrylo è riuscito a mettersi in salvo con la famiglia, ma non è stata un’impresa facile. La sua testimonianza è stata raccolta da Taras Vijčuk.

L’intervista è stata realizzata nell’ambito del progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti.

Taras Vijčuk

24.11.2022

Kyrylo Kucenko ha assistito ai combattimenti a Rubižne due volte: se nel 2014 la città era riuscita a resistere, nel 2022 i russi l’hanno rasa al suolo.

Foto di Kyrylo Kucenko a mezzo busto
Kyrylo Kucenko, Rubižne

Mi chiamo Kirilo Kucenko e vengo da Rubižne, regione di Luhans’k. Sono arrivato più di due mesi fa nella regione di L’viv e ora abito nel palazzo dei baroni Groedel, a Skole. Sono andato via perché hanno bombardato prima il nostro appartamento e poi la casa di mia nonna, e vivere senza luce, gas, acqua e cibo era diventato impossibile. Abbiamo lasciato Rubižne sotto le bombe, a fatica.

— Credeva che il 24 febbraio sarebbe iniziata la guerra?

— Seguivo le notizie e sapevo che due settimane prima dell’inizio della guerra una colonna di nostri carri armati aveva attraversato Varvarivka, vicino al nostro paesino. Dicevo a tutti che sarebbe successo qualcosa, ma nessuno ci credeva. Il primo giorno di guerra da noi non è capitato quasi niente. Verso il 5-6 marzo, invece, hanno occupato Varvarivka e si sono diretti verso Rubižne. La mia casa era nel quartiere n° 6, davanti a Varvarivka. Alle 11 di mattina del 7 marzo un missile ha centrato il mio palazzo. Io, la mia ragazza, mia madre e mia sorella eravamo riusciti a raggiungere la cantina. Eravamo appena scesi, che il missile ha colpito la casa. Nel giro di una mezz’ora circa era finito tutto. Sono salito, ho aperto la porta e ho visto la casa sottosopra e due buchi nel balcone. Il mio palazzo era l’ultimo, e il missile è arrivato dall’altro lato. Il palazzo vicino, invece, è stato centrato all’altezza del terzo piano e ci sono stati un sacco di morti. Alcuni finiti sotto le macerie, altri feriti. La protezione civile ha detto che c’erano delle persone bloccate in una cantina, non so se poi sono riusciti a salvarle. Il giorno dopo siamo andati da mia nonna, che ha una casa in comproprietà con altre tre persone. Abbiamo abitato lì: io, mia nonna, mio nonno, mia madre, il suo compagno e mia sorella. Dall’altra parte del muro ci stava la vicina: 91 anni. Quelli della Croce Rossa non riuscivano a portarle cibo e acqua, ma lei aveva comunque il gas. E finché ce l’ha avuto, andavamo noi a cucinare e a darle da mangiare. Poi verso il 16-17 marzo hanno bombardato la nostra via. Avevamo vicino un istituto tecnico dove si si erano installati i militari dell’esercito ucraino, e lo colpivano in continuazione. Vicino c’era anche il nuovo ufficio postale e un rifugio dove si nascondevano delle persone. Non i soldati, però.

I russi bombardavano tutto: il nostro quartiere, l’istituto coi militari e il nuovo ufficio postale. Poi i nostri soldati se ne sono andati un po’ più in là, ma i russi hanno comunque raso al suolo tutto il quartiere. All’inizio arrivavano sui carri armati, e anche se vedevano che non c’era nessuno, sparavano e distruggevano tutto lo stesso. Hanno iniziato colpendo il palazzo vicino: il tetto si è incendiato e poi è andata a fuoco la casa; abbiamo portato fuori tutto quello che abbiamo potuto. Avevamo la macchina. Siamo riusciti a farla partire anche senza le chiavi (loro non c’erano) e siamo fuggiti sotto le bombe. Poi siamo tornati, ma non abbiamo ritrovato né il palazzo, né le nostre cose. Due missili avevano centrato in pieno il palazzo.

Rubižne in macerie. Foto: Amministrazione civile-militare della regione di Luhans’k

— Come si sono svolti i combattimenti a Rubižne?

— Da un lato c’erano i nostri, dall’altro i russi, e noi in mezzo. Si accerchiavano a vicenda. I nostri hanno tenuto duro per parecchio e hanno difeso la città anche se per quasi due mesi si sono ritrovati praticamente sotto assedio alla periferia di Rubižne. Altro che combattere. Era tutto spianato dai missili.

Siamo poi andati al Palazzo delle Cultura di Pivdenne, dove avrebbero dovuto aprire un corridoio umanitario. Eravamo quasi arrivati, quando i russi si sono messi a sparare proprio in quella direzione, nonostante l’accordo. Hanno colpito il palazzo, ma non ci sono state vittime.

— Ha assistito alla distruzione di edifici civili?

— Tutte le case della nostra via, la Berestova, sono state distrutte: quella di mia nonna al civico 52 e quasi tutte le altre. La via è stata bombardata un sacco di volte, e i palazzi sono stati centrati tutti. La casa di mia nonna ha retto più delle altre. Quella dei vicini di fronte non aveva più il tetto, avevano centrato il palazzo due volte. All’inizio non bombardavano molto, era caduto giusto il recinto, poi invece dei colpi fortissimi hanno portato via le finestre e il tetto. Il quartiere accanto al parco, l’istituto tecnico e il parco stesso sono andati distrutti quasi completamente. Nel palazzo del nuovo ufficio postale avevano trovato rifugio delle persone e la protezione civile ci aveva installato dei generatori e stazioni di ricarica dei telefoni (finché il segnale ha tenuto). Lì prendevamo anche l’acqua, perché allontanarsi era molto rischioso. Una volta un missile è caduto davanti alla stazione degli autobus: c’erano diverse persone in fila a caricare i telefoni e a prendere l’acqua, e ci sono stati una ventina di morti. Non so che intenzioni avessero i russi, ma non credo che abbiano sbagliato la mira. I carri armati sanno che non ci sono soldati, e sparano dritto alle case.

 

“Una città industriale rasa al suolo, non vi è un palazzo rimasto intatto e molte case non possono essere ricostruite. I cortili delle case sono ora cimiteri. Prima della guerra qui ci vivevano più di 60 mila persone, si lavorava nelle fabbriche, nel settore pubblico, nelle piccole imprese”, ha affermato il responsabile militare per la regione di Luhans’k.

 

— Sa di altri crimini commessi dai russi nei confronti dei civili?

— Nella nostra via viveva anche mia nonna. Era con la nostra vicina Tasja quando un missile ha centrato la sua casa distruggendo il tetto e una scheggia le ha ferito il braccio. Mio nonno l’ha portata sotto i bombardamenti al pronto soccorso che era stato attrezzato nei pressi del nuovo ufficio postale per farle almeno fasciare il braccio e lavare la ferita, perché noi avevamo solo l’acqua ottenuta sciogliendo la neve. Lì le hanno dato da mangiare, c’erano tante persone e tante stanze. Avevano persino una televisione che non so come riusciva a prendere i canali ucraini. Non so come ci riuscissero. Devono aver fatto qualche magia per poter ascoltare le notizie, perché nessuno sapeva cosa stava succedendo e dove. Io, per esempio, ho uno zio che è ancora a Mariupol’ con tutta la famiglia. Casa loro è in piedi, ma intorno è tutto distrutto…

Rubižne in macerie. Foto: Amministrazione civile-militare della regione di Luhans’k

— Come vi procuravate il cibo durante l’occupazione?

—L’acqua al nuovo ufficio delle poste. Mangiavamo quello che avevamo in cantina, le conserve. Poi, con la città bombardata, sono cominciati i combattimenti in centro, davanti alla stazione degli autobus. Il negozio “Sim’ja” era stato raso al suolo, la roba era tutta in strada e siamo andati a prenderla. I vicini avevano qualcosa da mangiare, qualcos’altro si trovava. I vicini sapevano che avevamo un bimbo piccolo… Ha sette anni, ma sempre bambino è… e quindi ci portavano qualche mela, o altro. Io avevo delle sigarette e le scambiavo con farina e pane. Inizialmente con la farina, perché il pane non c’era. E mia mamma andava tutti i giorni a cucinare la minestra e qualche pagnotta sui falò. Poi abbiamo saputo che la nostra vicina aveva il gas. Non sapevamo come facesse ad averlo, ma abbiamo iniziato a cucinare da lei. Stare per strada era terrificante, ci fischiavano le pallottole sopra la testa, era un incubo!

Con Оleksandr, il compagno di mia madre, correvamo in centro a cercare da mangiare: qualcosa abbiamo trovato nel nostro appartamento, che era già stato bombardato, qualcos’altro da vicini e conoscenti. Cercavamo ovunque in città e poi e tornavamo indietro, girando lontano al parco. Avremmo fatto prima ad attraversarlo, ma sapevamo che lì c’erano i nostri soldati, e che se i russi cominciavano a sparare… Infatti poi hanno iniziato a bombardare quella zona e anche i quartieri vicini. Un missile ci è passato a una quindicina di metri. In un lampo io e Oleksandr siamo riusciti a nasconderci in un garage, abbiamo aspettato lì. Poi siamo corsi verso una casa e abbiamo aspettato un altro po’. Oleksandr non aveva mai fumato, ma in quel momento si è acceso una sigaretta. Poi siamo riusciti a raggiungere casa nostra sotto i colpi.

Negli ultimi tempi era difficile trovare del cibo, non c’era quasi più niente. Bollivamo lardo e cereali. Ci mettevamo cereali, pasta, cotiche o le ossa che avremmo dato ai cani. Cucinavamo questo perché non avevamo più niente.

— Come siete riusciti a lasciare i territori occupati?

— Vivevamo a Pivdenne, una frazione di Rubižne. Un giorno ci scrisse una ragazza che era andata nell’Ucraina occidentale qualche tempo prima: ci diceva che era arrivata a Skole. Quasi tutti i giorni c’erano dei corridoi umanitari, da Pivdenne. Io e mio nonno ci siamo preparati. Preparati è una parola grossa: abbiamo preso un po’ d’acqua e un paio di mele, non avevamo altro. Coi vestiti che avevamo addosso… Non ne avevamo altri, ce li hanno dati qui. Ce ne siamo partiti in bicicletta. Mentre io aspettavo l’autobus del corridoio umanitario, lui è andato a salutare una prozia che viveva lì vicino. Non c’era segnale, i telefoni non andavano, e non sapevamo chi tra i parenti era vivo o morto. Lei era viva, l’avevamo saputo. Mio nonno è andato da mia madre e mia nonna. Io sono partito da solo. Prima siamo arrivati a L’viv facendo vari cambi, e poi da L’viv fino a Skole. Dopo circa tre giorni è arrivata la mia prozia. Mia madre col compagno, mia sorella, mio fratello e la famiglia del compagno di mia madre coi nonni sono andati tutti a Dnipro.

— Qualche suo conoscente è rimasto a Rubižne?

— Quando sono arrivato mi sono messo a chiamare gli amici. Molti sono partiti, ma molti altri sono rimasti a Rubižne. Per un po’ c’è stato segnale, poi hanno distrutto l’ultima antenna che lo manteneva in qualche modo. Per un po’ si poteva andare nei campi a chiamare, ma ora proprio non si riesce più a prendere la linea. Il mio amico e sua madre sono andati a Kyiv, credo. Il suo patrigno li ha raggiunti qualche tempo dopo. Non sapevano dove fosse. Mi pare che lo avessero fatto prigioniero a Rubižne: lo hanno picchiato e interrogato: “Dove sono questi militari? Dove si trova questo e quell’altro?”. A un altro amico (non dirò come si chiama) hanno ammazzato il padre. Gli era finita una scheggia nel braccio. Avevano provato ad andarsene entrando in Russia, ma invano. Molti amici sono riusciti a passare per la Russia: non avevano scelta. Alcuni erano rimasti senza casa, altri senza cibo. Sono stati costretti a partire. Alcuni sono riusciti ad andarsene altrove in Ucraina. Un miracolo! Io ero più vicino al fronte ucraino, ma qualcuno è partito anche dopo la chiusura del corridoio umanitario, quando bombardavano davvero tanto. Anche prima bombardavano fitto, ma poi ancora di più. Dicevano che avevano iniziato a colpire le cisterne di sostanze chimiche. Da noi c’era stato qualcosa di simile, con del fumo rosa che usciva da alcune cisterne. Si arrivava in Ucraina attraversando boschi e campi.

Esplosione sul territorio o nei pressi dell’impianto chimico di “Zorja”, 9 aprile 2022

— Quali sono le differenze tra gli eventi del 2014 e il post-24 febbraio?

— Nel 2014 i russi volevano inondare Rubižne, avevano fatto esplodere il ponte sul Sivers’kyj Donec’, cercavano di arrivarci da entrambe le sponde, ma i nostri soldati hanno difeso la città. All’epoca avevano danneggiato diverse case, tra cui quella di un mio amico. Avevano centrato il tetto con un mortaio, ma il missile non era esploso. Aveva bucato il tetto ed era rimasta lì per tre mesi. Quando lui era salito a prendere qualcosa lo aveva visto e aveva chiamato la protezione civile. C’è stata qualche finestra rotta. So che anche nel 2014 c’era stata qualche vittima, ma in periferia soltanto. Grazie ai nostri soldati, all’epoca non erano riusciti a conquistare la città. Il ponte è stato riparato nel giro di sei mesi — un anno, e hanno messo dei posti di blocco. Altre città hanno subito danni maggiori.

Sjevjerodonec’k è la città più vicina a Rubižne. Nel 2014 la volevano conquistare perché ci sono delle industrie chimiche; da noi, invece, c’è la Zorja, che produceva esplosivi per l’edilizia. Se l’avessero colpita, dicevano, ci sarebbero state delle forti esplosioni. Neanche questo li ha fermati, ora. L’hanno bombardata, ma fortunatamente avevano già portato via quasi tutto. Comunque quando l’hanno colpita l’esplosione è stata forte.

— La popolazione russofona a Rubižne era perseguitata?

— A voler essere sinceri, l’ucrainizzazione era partita proprio nel 2014. Hanno smesso di insegnare il russo a scuola, o lo insegnavano come lingua straniera. Non c’erano scuole in lingua russa, ma l’ideologia regnava comunque sovrana: “Guardate che laggiù i nazisti di Bandera vi sbranano. Noi siamo Ucraina, ma non siamo quell’Ucraina lì”. Ci ammorbavano con queste storie. Nonostante l’ucrainizzazione, volevano dimostrare che anche la Russia era dalla parte del giusto. A Rubižne quasi tutti erano russofoni, quasi tutta la regione di Luhans’k è russofona, ma nessuno ci ha mai discriminato. Quando sono arrivato a L’viv inizialmente parlavo in russo. Nessuno mi ha mai detto niente. Ci hanno ospitato senza problemi, ci hanno dato da mangiare, un posto in cui stare, dei vestiti. Quando ho iniziato a lavorare qui parlavo russo. Quello che dicono sui media russi, la storia dei “nazisti di Bandera”, sono cavolate. Qui si sta molto meglio rispetto a dove stavamo noi: qui le persone sono gentili e ci aiutano.

 

 

 

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Milano, 17 dicembre 2024. A che punto è la notte? Tavola rotonda di Memorial Italia.

A Milano, martedì 17 dicembre dalle 11:00 alle 13:00 presso il Laboratorio Fondazione Mondadori, via Marco Formentini 10 si svolgerà la tavola rotonda di Memorial Italia A che punto è la notte?. L’ingresso è libero. Intervengono Claudia Bettiol, Francesco Brusa, Marco Buttino, Riccardo M. Cucciolla e Anna Zafesova. Modera Simone A. Bellezza. A quasi tre anni dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina è importante fare il punto della situazione e provare a capire le dinamiche in corso, gli scenari possibili, le conseguenze profonde che questo conflitto, iniziato dieci anni fa, ha provocato in Europa e nel mondo. Per farlo abbiamo deciso di organizzare una tavola rotonda con specialiste e specialisti dello scenario est-europeo alla vigilia di quelli che si profilano come grandi cambiamenti. Si parlerà e discuterà di Ucraina, Belarus’ e Russia, ma anche di spazio post-sovietico e diritti umani nell’arena contemporanea globale per sfatare miti, porre le giuste domande e provare a ragionare in maniera lucida su temi complessi.

Leggi

Aleksej Gorinov. L’ultima dichiarazione del 29 novembre 2024.

Il 29 novembre 2024 il tribunale militare di Vladimir ha emesso la sentenza del nuovo procedimento penale contro Aleksej Gorinov, consigliere municipale di Mosca, che è stato condannato a tre anni di reclusione in colonia penale di massima sicurezza per “giustificazione del terrorismo”. La condanna va ad aggiungersi ai sette anni già comminati nel 2022 per “fake news sull’esercito”. Foto di copertina: Dar’ja Kornilova. Foto: SOTAvision. BASTA UCCIDERE. FERMIAMO LA GUERRA. Aleksej Gorinov è avvocato e attivista e dal 2017 consigliere municipale presso il distretto Krasnosel’skij di Mosca. Nei primi anni Novanta era deputato per il partito Russia Democratica, ma nel 1993, durante la crisi costituzionale e il duro confronto tra il presidente El’cin e il Soviet supremo, decide di lasciare la politica. Negli ultimi vent’anni Gorinov ha lavorato come avvocato d’impresa e della pubblica amministrazione in ambito civile e ha fornito assistenza legale agli attivisti tratti in arresto durante le manifestazioni politiche. È fra gli ideatori della veglia-memoriale continua, con fiori e fotografie, sul ponte Moskvoreckij, luogo dell’omicidio di Boris Nemcov. Il 15 marzo 2022, durante un’assemblea ordinaria del Consiglio di zona del distretto Krasnosel’skij, Gorinov deplora pubblicamente l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe esortando “la società civile a fare ogni possibile sforzo per fermare la guerra”. Il 26 aprile viene arrestato ex art. 207.3 del Codice penale russo, noto anche come “legge sulle fake news”. Il tribunale del distretto Meščanskij ritiene che ci siano le prove che Gorinov abbia “diffuso informazioni deliberatamente false su quanto compiuto dalle Forze armate russe”, con le aggravanti di essere “in una posizione ufficiale e per motivi d’odio e ostilità”. Gorinov è il primo cittadino russo a ricevere una pena detentiva per essersi espresso contro la guerra. Già in occasione dell’ultima udienza del primo processo Aleksej Gorinov ha avuto modo, come prevede il sistema giudiziario russo, di pronunciare un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), in altre parole la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a, cui abbiamo avuto modo di dare voce grazie a Paolo Pignocchi e al progetto Proteggi le mie parole. Venerdì scorso, in occasione dell’ultima udienza del secondo processo ai suoi danni, Aleksej Gorinov ha pronunciato una seconda “ultima dichiarazione” che traduciamo in italiano. Sono stato per tutta la vita uno strenuo oppositore di aggressioni, violenza e guerre, e ho consacrato la mia vita esclusivamente ad attività di pace come la scienza, l’insegnamento, la pubblica istruzione e l’attività amministrativa e sociale in veste di deputato, difensore dei diritti umani, membro di commissioni elettorali e osservatore e supervisore del processo elettorale stesso. Mai avrei pensato di vivere abbastanza per constatare un tale livello di degrado del sistema politico del mio Paese e della sua politica estera, un periodo in cui tanti cittadini favorevoli alla pace e contrari alla guerra – in un numero che ormai è di qualche migliaio – vengono accusati di calunnia ai danni delle Forze armate e di giustificazione del terrorismo, e per questo vengono processati. Ci avviamo a concludere il terzo anno di guerra, il terzo anno di vittime e distruzione, di privazioni e sofferenze per milioni di persone cui, in territorio europeo, non si assisteva dai tempi della Seconda guerra mondiale. E non possiamo tacere. Ancora alla fine dello scorso aprile, il nostro ex ministro della difesa ha annunciato che le perdite della parte ucraina nel conflitto armato in corso ammontavano a 500.000 persone. Guardatelo, quel numero, e pensateci! Quali perdite, invece, ha subito la Russia, che secondo le fonti ufficiali avanza con successo costante per tutto il fronte? Continuiamo a non saperlo. E soprattutto, chi ne risponderà, poi? E a che pro succede tutto questo? Il nostro governo e coloro che lo sostengono nelle sue aspirazioni militariste hanno fortemente voluto questa guerra, che ora è arrivata anche nei nostri territori. Una cosa mi verrebbe da chiedere: vi pare che la nostra vita sia migliorata? Sono questi il benessere e la sicurezza che auspicate per il nostro Paese e per la sua gente? Oppure non l’avevate previsto, nei vostri calcoli, un simile sviluppo della situazione? A oggi, però, le risposte a queste domande non si pongono a chi ha deciso questa guerra e continua a uccidere, a chi ne fa propaganda e assume mercenari per combatterla, ma a noi, cittadini comuni della Russia che alziamo la voce contro la guerra e per la pace. Una risposta che paghiamo con la nostra libertà se non, alcuni, con la vita. Appartengo alla generazione ormai uscente di persone con genitori che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale e, alcuni, le sono sopravvissuti con tutte le difficoltà del caso. La loro generazione, ormai passata, ci ha lasciato in eredità il compito di preservare la pace a ogni costo, come quanto di più prezioso abbiamo noi che abitiamo su questa Terra. Noi, invece, abbiamo snobbato le loro richieste e abbiamo spregiato la memoria di quelle persone e delle vittime della guerra suddetta. La mia colpa, in quanto cittadino del mio Paese, è di avere permesso questa guerra e di non essere riuscito a fermarla. Vi chiedo di prenderne atto, nel verdetto. Tuttavia, vorrei che la mia colpa e la mia responsabilità fossero condivise anche da chi questa guerra l’ha iniziata, vi ha partecipato e la sostiene, e da chi perseguita coloro che si battono per la pace. Continuo a vivere con la speranza che un giorno questo avverrà. Nel frattempo, chiedo perdono al popolo ucraino e ai miei concittadini che per questa guerra hanno sofferto. Nel processo in cui sono stato accusato e giudicato per avere detto espressamente che era necessario porre fine alla guerra, ho già dato piena voce alle mie considerazioni su questa vile impresa umana. Posso solo aggiungere che la violenza, l’aggressione generano solo altra violenza di ritorno, e nulla più. Questa è la vera causa delle nostre disgrazie, delle nostre sofferenze, di perdite senza senso di vite umane, della distruzione di infrastrutture civili e industriali, di case e abitazioni. Fermiamo questo massacro cruento che non serve né

Leggi

Roma, 5 dicembre 2024. Memorial Italia a Più libri più liberi.

Memorial Italia partecipa a Roma all’edizione 2024 di Più libri più liberi con la presentazione di Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società, opposizione, ultimo volume della collana curata per Viella Editrice. Il regime putiniano e il nazionalismo russo: giovedì 5 dicembre alle 18:00 presso la Nuvola, Roma EUR, in sala Elettra, saranno presentati i volumi, pubblicati da Viella Editrice, Il nazionalismo russo. Spazio postsovietico e guerra all’Ucraina, a cura di Andrea Graziosi e Francesca Lomastro, e Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione, a cura dei nostri Riccardo Mario Cucciolla e Niccolò Pianciola. Intervengono Riccardo Mario Cucciolla, Francesca Gori, Andrea Graziosi, Andrea Romano. Coordina Carolina De Stefano. Il volume Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato, società e opposizione esplora l’evoluzione della società e del potere in Russia dopo l’aggressione all’Ucraina e offre un’analisi della complessa interazione tra apparati dello stato, opposizione e società civile. I saggi analizzano la deriva totalitaria del regime putiniano studiandone le istituzioni e la relazione tra stato e società, evidenziando come tendenze demografiche, rifugiati ucraini, politiche nataliste e migratorie abbiano ridefinito gli equilibri sociali del paese. Inoltre, pongono l’attenzione sulla società civile russa e sulle sfide che oppositori, artisti, accademici, minoranze e difensori dei diritti umani affrontano sia in un contesto sempre più repressivo in patria, sia nell’emigrazione. I saggi compresi nel volume sono di Sergej Abašin, Alexander Baunov, Simone A. Bellezza, Alain Blum, Bill Bowring, Riccardo Mario Cucciolla, Marcello Flores, Vladimir Gel’man, Lev Gudkov, Andrea Gullotta, Andrej Jakovlev, Irina Kuznetsova, Alberto Masoero, Niccolò Pianciola, Giovanni Savino, Irina Ščerbakova, Sergej Zacharov.

Leggi