Varlam Šalamov, Alcune mie vite

Documenti segreti e racconti inediti A cura di Francesco Bigazzi, Sergio Rapetti e Irina Sirotinskaja Milano, Mondadori, 2009

Documenti segreti e racconti inediti
A cura di  Francesco Bigazzi, Sergio Rapetti e Irina Sirotinskaja
Milano, Mondadori, 2009

11 CULTURA & VISIONI
08.01.2010
Varlam Šalamov
Alcune mie vite
APERTURA   |   di Stefano Garzonio

DOCUMENTI DALL’INFERNO DEL GULAG
ARCIPELAGO Šalamov
Sotto il titolo «Alcune mie vite» è da poco uscita per Mondadori l’autobiografia di Varlam Šalamov, scandita cronologicamente sulla base dei tre procedimenti giudiziari in seguito ai quali lo scrittore russo trascorse circa diciassette anni nei lager sovietici. In queste pagine gli ingranaggi del Grande Terrore e la tragica disumanizzazione dell’universo concentrazionario
Il nome di Varlam Šalamov occupa ormai una posizione centrale nel panorama letterario russo del XX secolo: un’affermazione che si è rivelata lenta e difficile, come lento e difficile è stato ed è ancora il processo di scoperta, ricostruzione e lettura del suo retaggio letterario, oltreché di ridefinizione del tragico tessuto biografico ad esso sottostante. Eppure il disincantato cantore della Kolyma, il cronachista senza speranze (ma non disperato) del mondo concentrazionario del GULag, si eleva, tragico e maestoso iconografo dell’inferno, come uno dei massimi autori della letteratura russa. Nella sua riflessione su una realtà crudele, dove il lager si pone come il male assoluto, Šalamov tende a superare il concetto stesso di «letteratura», attraverso la brevità, la semplicità, la chiarezza dell’esposizione. Ne deriva una sorta di etnografismo basato sul dettaglio quotidiano, dietro il quale si cela l’idea che «ciò che si soffre con il proprio sangue si realizza sulla carta come documento dell’anima».
Accanto alle Memorie di una casa di morti di Dostoevskij e all’Arcipelago GULag di Aleksandr Solzhenicyn, autore e compagno di sventura con cui Salamov ebbe un rapporto sofferto, i suoi Racconti di Kolyma

costituiscono una testimonianza irripetibile, tanto da spingere il grande regista Andrej Tarkovskij ad annotare nei suoi Diari. Martirologio: «Šalamov ci racconta della sofferenza con una verità e un’integrità tali, le sue uniche armi sono queste, che ci costringe a soffrire con chi è stato all’Inferno e inchinarci a lui. Dante era temuto e rispettato perché era stato all’Inferno! Ma era un inferno immaginario il suo, mentre Šalamov ha conosciuto l’Inferno vero. Ed è risultato ben più terribile». Un inferno, il lager, che per Šalamov è fatto a somiglianza del mondo, così che lo scrittore – a differenza di Solzhenicyn – non sviluppa nei suoi testi invettive o considerazioni politiche, ma indaga il processo di disumanizzazione di cui è permeato l’universo concentrazionario.
L’apertura degli archivi
Alcune mie vite è il titolo che Šalamov, attribuì alla propria autobiografia – autobiografia che esiste in diverse varianti, così come caratteri autobiografici, talvolta documentari, percorrono tutta l’opera, in prosa e in versi, dello scrittore. La scelta di questo titolo (con il sottotitolo Documenti segreti e racconti inediti) da parte dei curatori della nuova edizione italiana (Mondadori, pp. 304, euro 25) è motivata dalla scansione cronologica e biografica della raccolta, che si poggia sui documenti relativi ai tre procedimenti giudiziari istruiti contro Šalamov, rispettivamente degli anni 1929, 1937 e 1943, e dalla disposizione cronologica dei racconti o brani di racconto inseriti nelle tre sezioni (1929-31, 1937-42 e 1943-51) che si identificano appunto con le diverse vite dello scrittore (cui si aggiungono per il periodo 1956-69 i rapporti degli informatori della polizia segreta raccolti dal funzionario dell’Archivio del Fsb Sergej Poceluev).
Curato da Francesco Bigazzi, Sergio Rapetti e Irina Sirotinskaja, il volume riproduce la documentazione già uscita in Russia, nel 2001 su «Znamja» (in occasione della definitiva riabilitazione dello scrittore avvenuta nel 2000, come racconta Sirotinskaja nella breve nota introduttiva) e nel 2004 nell’antologia Novaja kniga, nonché racconti, frammenti e note autobiografiche desunti da edizioni precedenti a partire dal 1989. Ripercorrendo la storia del recupero dei testi dei procedimenti penali relativi a Šalamov, Bigazzi rievoca con limpidezza e passione i giorni in cui gli archivi sovietici cominciarono ad aprirsi inondando di materiali segreti e sconosciuti i tavoli delle redazioni di giornali, delle case editrici, degli esperti di cose russe e sovietiche. Nel suo ritratto di Šalamov uomo e scrittore, Rapetti descrive con grande efficacia il padre sacerdote, Tichon, e la provincia russa di Vologda, dove Šalamov nacque. È proprio questo mondo lontano non solo nello spazio, ma anche nel tempo per i tanti fili che lo legano alla Rus’ moscovita di Ivan il Terribile e alla sfera dei vecchi credenti, a offrire una prospettiva profonda sul patrimonio culturale e umano di Šalamov, ben evidenziato dallo studioso italiano, che affronta i temi centrali dell’esperienza spirituale e creativa dello scrittore (la natura, l’amore, la poesia stessa), riproponendo il noto parallelo tra Šalamov e il capo spirituale dei vecchi credenti, Avvakum, cui lo scrittore dedicò versi molto intensi. Il saggio di Rapetti costituisce così uno strumento affinatissimo per avventurarsi nel mondo artistico e spirituale di Šalamov, descrivendone la complessa e rigida struttura morale, dall’entusiasmo del giovane rivoluzionario alla essenziale, laconica, precisione del prigioniero nel suo accostarsi alla memoria, al mondo, alla vita.
Articolato in senso cronologico, il volume nella prima sezione – 1929-31. Dagli entusiasmi rivoluzionari alla condanna come «elemento socialmente nocivo» – offre, insieme ai documenti relativi al primo procedimento giudiziario, un assaggio di come funzionavano le forze inquirenti dell’Ogpu (Šalamov fu interrogato da uno stretto collaboratore del cekista Jakov Agranov, «curatore» dell’intelligencija sovietica), e mette in evidenza l’insensata meticolosità di operazioni decise a tavolino, come la stessa condanna di Šalamov non in base all’articolo 58 come «politico» (l’arresto era stato disposto con l’accusa di aver diffuso il Testamento di Lenin), bensì come criminale comune, «elemento socialmente nocivo», cosa che ritarderà in modo kafkiano la definitiva riabilitazione dello scrittore addirittura all’anno 2000. A questi documenti si accompagnano brani narrativi, nei quali l’entusiasmo giovanile per il nuovo ordine sociale rivoluzionario e le dispute letterarie lasciano il posto al primo imprigionamento di Šalamov nel carcere moscovita di Butyrki e poi al trasferimento al campo sul fiume Višera sugli Urali con una condanna a tre anni.
Al secondo arresto, intervenuto dopo un breve periodo trascorso a Mosca, durante il quale Šalamov aveva lavorato come giornalista e ripreso la sua attività di scrittore (uno dei suoi primi racconti, Le tre morti del dottor Austino, fu pubblicato nel 1936 sulla rivista «Oktjabr’»), è dedicata la seconda sezione: 1937-42. Condannato alla deportazione alla Kolyma come «controrivoluzionario». Il procedimento, assai più voluminoso, riporta anche tutte le testimonianze d’accusa («attività controrivoluzionaria trockista», perché Šalamov aveva incontrato vecchi compagni dell’opposizione con i quali aveva militato nel periodo precedente al primo arresto). Sono pagine impressionanti, percorse da una luce vivida, che offrono uno spaccato eloquente sulla psicologia e sul comportamento di aguzzini, informatori, semplici vittime dell’ingranaggio negli anni del Grande Terrore. L’inquirente Botvin e i colleghi di Šalamov chiamati a testimoniare sono poi riproposti dallo scrittore nel racconto L’arresto, seguito dalle terribili pagine de La strada per l’inferno, dedicata al trasferimento a Kolyma e Il trentotto, vero e proprio capolavoro letterario e umano, nel quale Šalamov descrive con la precisione del cronista e il distacco del naturalista la vita della Kolyma, il destino del dochodjaga, il funzionamento delle gerarchie del campo, tra guardie, delinquenti comuni, politici, uomini sani e invalidi, medici e malati.
Sotto l’occhio della polizia
La terza parte, 1943-51. Fame, freddo, lavoro forzato e la terza condanna, documenta, se fosse possibile, una ulteriore discesa nella scala dell’inferno, il terzo procedimento contro Šalamov all’interno del campo con ulteriori accuse di «ostinazione trockista» e per giunta di sentimenti disfattisti e filotedeschi (siamo nel 1943, in piena guerra). Šalamov fu condannato a ulteriori dieci anni per «propaganda antisovietica» e anche per aver definito Ivan Bunin un «classico della letteratura russa». Il quadro offerto è ancora più impressionante, non solo per il racconto autobiografico dello stesso Šalamov (Il mio processo e il bellissimo brano Il guanto), quanto per la ricca documentazione processuale, con le testimonianze degli accusatori, quando le coraggiose repliche dell’imputato risuonano a difesa non solo della propria verità, ma della dignità umana. Tornato libero nel 1951 e poi riabilitato nel 1956 Šalamov poté dedicarsi alla sua vocazione letteraria.
Tra i tanti contatti, ancora più dell’incontro con Solzhenicyn nel 1962 e con Nadezhda Mandel’stam nel ’65, fu decisivo quello con Pasternak, che aveva risposto nel ’52 alle lettere di Šalamov inviate dal lager e che Šalamov visitò appena giunto di passaggio a Mosca nel 1953. A questo proposito, l’editore Archinto ha da poco riproposto in una nuova edizione (la prima era del 1988) la corrispondenza tra i due scrittori: Boris Pasternak-Varlam Šalamov, Parole salvate dalle fiamme. Ricordi e lettere (a cura di Luciana Montagnani, pp. 199, euro 16).
Stabilitosi a Mosca, Šalamov cominciò a far uscire i suoi versi su importanti riviste, come «Znamja» e «Moskva» (presso la quale per un certo periodo collaborò), e pubblicò diverse raccolte poetiche, tra il 1961 e il 1972: L’acciarino, 1961, Il fruscio delle foglie, 1964, La via e il destino, 1967, Le nuvole di Mosca, 1972. (Da segnalare, in traduzione italiana, la bella raccolta di versi Il destino di poeta, a cura di Angela Dioletta Siclari, La Casa di Matriona, 2006). Nel 1973 Šalamov fu ammesso nell’Unione degli Scrittori. Negli stessi anni cominciarono a diffondersi nel Samizdat brevi narrazioni sulla vita del GULag, mentre i Racconti della Kolyma, scritti tra il ’54 e il ’73, apparvero all’estero a partire dal 1966 (la prima edizione organica uscì a Londra nel 1978). Nel 1971 terminò il libro autobiografico La quarta Vologda, negli stessi anni lavorò a  Višera.

Antiromanzo. Ma Šalamov rimase sempre sotto l’occhio vigile della polizia segreta. Proprio i rapporti dei vari confidenti e delatori agli organi di polizia sono riportati nella parte finale del libro e offrono una ulteriore prospettiva, certo parziale e di parte (senza la compartecipazione emotiva che emerge nel recente film tedesco La vita degli altri), ma di sicuro valore documentario. Nel ’79 per le sue condizioni fisiche lo scrittore venne trasferito in un pensionato per anziani, nel gennaio del 1982 fu trasferito con la forza in un ospedale psichiatrico, dove morì pochi giorni dopo.

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15 luglio 2025. Sedici anni dalla morte di Natal’ja Estemirova.

Il 15 luglio 2009 è stata uccisa Natal’ja Estemirova, attivista per i diritti umani e giornalista. Le circostanze della sua morte non sono ancora state chiarite. Estemirova era direttrice della sezione cecena del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, si è occupata di crimini di guerra, torture e rapimenti di civili durante la Seconda guerra cecena. Per celebrare la memoria della nostra collega Natal’ja Estemirova, MOST Summer School di Memorial Italia (2-6 settembre 2025) sarà ospite di Alloro Fest, festival organizzato dal Giardino dei Giusti di Palermo. Il Giardino dei Giusti di Palermo è stato inaugurato il 25 febbraio 2008 in via Alloro, nel centro storico della città e nei pressi del vecchio quartiere ebraico della Moschita. Grazie alla collaborazione con Gariwo il 4 settembre verrà posata nel Giardino una maiolica in ricordo dell’impegno di Natal’ja per i diritti umani, la libertà di informazione e la memoria degli oppressi. La cerimonia avrà luogo alle 17:00 alla presenza delle autorità cittadine e di tutta la cittadinanza. Natal’ja Estemirova nasce il 28 febbraio 1958 nella città di Kamyšlov nella regione di Sverdlovsk in una famiglia di origine ceceno-russa. Si laurea in storia all’università di Groznyj e lavora come insegnante. Dopo la Prima guerra cecena si occupa di giornalismo, difesa dei diritti umani, assistenza agli ex prigionieri dei “centri di filtraggio” in Cecenia. Nell’autunno del 1999 Estemirova inizia a collaborare con il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, lavora nella sede del Centro Memorial aperta a Groznyj, indaga su rapimenti e uccisioni di civili in Cecenia. Nel 2001 si avvicina alla giornalista Anna Politkovskaja e all’avvocato Stanislav Markelov. Dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja inizia a scrivere per Novaja gazeta sotto pseudonimo. Estemirova documenta i crimini di guerra commessi dalle forze armate della Federazione Russa in Cecenia, i “rastrellamenti”, le esecuzioni sommarie di civili e gli attacchi indiscriminati sui centri abitati. Grazie al suo lavoro il mondo può vedere le immagini della cittadina di Novye Aldy, nei pressi di Groznyj, distrutta dalle forze armate della Federazione Russa, e può ascoltare le testimonianze degli abitanti. Il 5 febbraio 2000 le forze armate della Federazione Russa uccidono almeno 56 persone (secondo le informazioni del Centro Memorial) nel corso di un “rastrellamento” a Novye Aldy: anziani, donne e bambini. Tra le vittime non c’è nessun combattente. Si tratta di uno degli episodi più sanguinosi della Seconda guerra cecena. A venticinque anni dalla tragedia i colpevoli non sono ancora stati trovati né sono state individuate le responsabilità. Nel 2009 Estemirova torna a Novye Aldy per parlare con gli abitanti. Nell’occasione viene girato Aldy. Bez sroka davnosti (Aldy. Non c’è prescrizione), documentario del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, che uscirà dopo la morte di Natal’ja. Grazie alle inchieste di Estemirova si apprende anche del bombardamento sul paese di Rigach, avvenuto l’8 aprile 2004, nel corso del quale muoiono una donna e i suoi cinque bambini. Le forze armate della Federazione Russa negano i fatti. Estemirova fotografa le conseguenze del bombardamento, le case distrutte, i frammenti della bomba con la marcatura. Di propria iniziativa gli abitanti aprono la tomba per permetterle di fotografare e riprendere i cadaveri. Si apre un procedimento penale, ma il processo non viene istituito. Estemirova fa parte della Commissione di ispezione carceraria, per un mese presiede il Consiglio pubblico di Groznyj, ma il presidente ceceno Ramzan Kadyrov la “dispensa” dall’incarico. Due volte, dopo avere avuto una “conversazione” con il presidente ceceno che la minaccia personalmente, Natal’ja lascia per alcuni mesi la Russia, ma poi fa ritorno in Cecenia. La mattina del 15 luglio 2009 ignoti rapiscono Natal’ja Estemirova nei pressi della sua abitazione a Groznyj. Lo stesso giorno il suo cadavere viene ritrovato intorno alle tre di pomeriggio in Inguscezia, nella località di Gazi-Jurt. Il corpo di Natal’ja riporta ferite da arma da fuoco al torace e alla testa. Il funerale di Natal’ja Estemirova si tiene a Groznyj il giorno successivo. Partecipano centinaia di persone. I mandanti, gli organizzatori e gli esecutori dell’omicidio non sono ancora stati individuati. La versione ufficiale dell’istruttoria, grossolanamente prefabbricata, parla di “vendetta dei combattenti”. Natal’ja Estemirova sul ruolo dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani in situazioni di guerra: “Capisci che la forza è impari: la forza sta dalla parte dei cannoni e un giornalista ha solo l’arma della parola. E vedi che le persone hanno priorità differenti. I giornali e le persone istruite dicono che stiamo con i separatisti, con i combattenti, ma per gli abitanti dei villaggi di montagna la cosa importante è non essere ammazzati. Lo devo dire, sono una pacifista assoluta, sono contro la guerra in ogni forma, senza alcuna riserva. Sono contro l’avere un’arma in casa: di sicuro sparerà e di certo non salverà nessuno. Da noi il pacifismo non è popolare. E non lo è nemmeno la difesa dei diritti umani. Ma questo non significa che la situazione sia disperata. Lo ripeto, più di una volta nella mia esperienza ho visto che proprio la parola è stata più che efficace, soprattutto quando si sono unite le voci di giornalisti di provenienza diversa, di paesi diversi”.  

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8 luglio 2025. Perquisizioni e arresti per Revol’t Centr a Syktyvkar.

Ultimo aggiornamento al 10 luglio 2025. Come riferisce la testata indipendente 7×7 Gorizontal’naja Rossija, già il 10 luglio il tribunale di Syktyvkar ha rilasciato Dar’ja Černyšova, direttrice di Revol’t Centr, cui è stato tuttavia vietato di accedere alla sede di Revol’t Centr, comunicare con i testimoni del caso e con i collaboratori di Revol’t Centr e 7×7 Gorizontal’naja Rossija. Le è stato inoltre vietato l’utilizzo di Internet e telefono. * * * Ieri, martedì 8 luglio 2025, a Syktyvkar, capoluogo della Repubblica dei Komi nella Russia europea nordoccidentale, le forze dell’ordine hanno perquisito i collaboratori e i locali di Revol’t Centr, spazio culturale indipendente dedicato a Revol’t Pimenov, matematico e dissidente, tra i fondatori di Memorial Komi e del movimento Memorial stesso, scomparso nel 1990. È stata perquisita anche l’abitazione di Igor’ Sažin (nella foto), come Pimenov tra i fondatori di Memorial Komi. Sažin è stato prelevato e quindi interrogato in qualità di testimone. Inoltre, nel corso della mattina, attivisti, difensori dei diritti umani e giornalisti sono stati perquisiti e interrogati a Petrozavodsk, Kaliningrad, Novgorod, Irkutsk e Joškar-Ola: alcune di queste perquisizioni sembrano essere collegate a quella svolta presso Revol’t Centr. Così si è espresso Memorial Komi: Nella mattina dell’8 luglio 2025 le forze dell’ordine hanno effettuato perquisizioni ingiustificate nei confronti dei collaboratori dello spazio culturale indipendente Revol’t Centr a Syktyvkar. Non esiste alcuna spiegazione di carattere pubblico circa le motivazioni di queste perquisizioni. Riteniamo illecite tali azioni. Revol’t Centr è uno spazio culturale che ospita fiere del libro, conferenze di storia, mostre fotografiche e molto altro. Per tutti noi Revol’t Centr promuove i valori della libertà, della creatività e dell’amore per la nostra città! Condividiamo le parole di solidarietà, sostegno e gratitudine di Memorial: per noi Revol’t Centr è simbolo di libertà e intraprendenza nella terra del Gulag, simbolo di memoria e superamento delle difficoltà, ma anche simbolo di una natura fatta di erica, muschio e licheni. Come riportato dalla testata giornalistica indipendente Vot Tak, in seguito alle perquisizioni è stata arrestata Dar’ja Černyšova, direttrice di Revol’t Centr, accusata di avere violato le norme previste in quanto agente straniera. In realtà Černyšova non è mai stata iscritta nel cosiddetto registro degli agenti stranieri, ma nel 2023 è stato iscritto nel registro il portale d’informazione indipendente 7×7 Gorizontal’naja Rossija con il quale Černyšova ha collaborato fino al 2022. Contestualmente è stato avviato un procedimento per tradimento della patria nei confronti di Pavel Andreev. Andreev, oltre a essere uno dei creatori di 7×7 Gorizontal’naja Rossija e di Revol’t Centr, è anche uno degli attivisti di spicco di Memorial, essendo stato membro del consiglio direttivo di Memorial Internazionale fino alla sua chiusura imposta dal governo russo nel 2022. Il nostro collega al momento non si trova nella Federazione Russa.

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