“Viviamo in un armadio pieno di scheletri”, Maksim Trudoljubov su Meduza

Maksim Trudoljubov racconta come i russi abbiano pagato con la guerra la loro riluttanza a condannare i crimini del passato. Ne pubblichiamo una traduzione.

Viviamo in un armadio pieno di scheletri

di Maksim Trudoljubov

24 marzo 2022

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Meduza.

Esattamente un mese fa, il 24 febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina. Da quel momento la storia dei passati crimini dello stato russo ha cessato di essere storia, afferma Maksim Trudoljubov, curatore della rubrica “Idee”. La lotta contro i propri concittadini, i processi contro i “nemici del popolo”, la deportazione, l’occupazione dei Paesi limitrofi, le operazioni di pulizia etnica nei Paesi che facevano parte del blocco sovietico: tutto questo è tornato ad essere la nostra attualità. Nella guerra con l’Ucraina si è condensato tutto il peggio di cui si è reso capace lo Stato russo nelle sue sembianze imperiale, sovietica e post-sovietica. Questa guerra è un evidente verdetto di colpevolezza che racchiude tutto quello a cui la società russa non può più voltare le spalle.

Le autorità del Cremlino hanno dato prova del loro atteggiamento nei confronti del problema perseguitando Memorial, organizzazione non governativa della nuova Russia e colonna portante della società civile, che ha ampiamente contribuito a iniziare il processo di liberazione dal peso del passato della società. “Speculando sul tema delle repressioni politiche, Memorial crea una falsa immagine dell’Unione Sovietica come stato terrorista”, ha detto uno dei pubblici ministeri durante il processo. “Perché ora noi, discendenti dei vincitori, dovremmo pentirci, invece di essere orgogliosi del Paese che ha sconfitto il fascismo?”.

Il tempo non guarisce

Ciò che è importante nella frase del pm riportata sopra non è la tipica distorsione dei fatti (“Memorial” non ha invitato a pentirsi, ma a fornire una valutazione giuridica dei reati), ma il “complesso dei vincitori”, l’idea di essere gli artefici della vittoria in una guerra con la quale non si ha nulla a che fare. Nell’immaginario dei leader russi quella guerra (durante la quale, tra l’altro, i russi combatterono fianco a fianco con gli ucraini e altri popoli) avrebbe dovuto in qualche modo cancellare altre, terribili pagine del passato, così da attribuire allo Stato e alla società russi il diritto morale all’autoaffermazione.

Ma non sono state solo le autorità russe a tentare di prendere le distanze dal passato; anche una parte significativa della società russa lo voleva.

Nei dibattiti pubblici degli intellettuali sulla storia è stata costantemente sollevata la questione dei “termini di prescrizione”, questione che potrebbe essere formulata in diversi modi, ma diretta in un modo o nell’altro a mitigare l’intensità della discussione. Già, non c’è stato un grande e definitivo processo al Partito Comunista e alla sua “sezione di combattimento”, i servizi segreti (più precisamente, un tentativo c’è stato, ma è fallito). Ma, del resto, è passato così tanto tempo! Perché dividere ulteriormente un popolo già stremato dalla lotta quotidiana per l’esistenza? Quel Paese non c’è più, ce n’è un altro, che va costruito, bisogna guardare al futuro e non rivangare il passato. Dopotutto, in Russia ci sono monumenti dedicati alle vittime del terrore, vittime che vengono commemorate nelle chiese, sulle quali si pubblicano libri, si girano film; c’è persino un Museo statale di storia del Gulag.

Questa logica non ha più senso. Si è scoperto che il tempo non guarisce le cose. Dovremo separarci non solo dal complesso dei vincitori promosso dal Cremlino, ma anche da altri atteggiamenti che col Cremlino non c’entrano ma che ci impediscono di accettare il nostro passato in tutta la sua gravità. Viviamo in un enorme armadio pieno di scheletri.

Crimini senza prescrizione

Fino al 24 febbraio 2022 si poteva ritenere che uno dei fondamenti della nostra identità fosse una guerra giusta: la Grande Guerra Patriottica. In un Paese in cui le tradizioni, i rapporti intergenerazionali e tra i diversi gruppi della società sono stati spezzati più volte, il ricordo di quella guerra ha rappresentato un mito connettivo e unificante.

Nella coscienza di massa la storia della guerra ha superato la crudeltà e il cinismo di altre pagine della storia russa. In ciò non vi è nulla di eccezionale, la gente vuole ricordarsi le cose belle e dimenticare quelle brutte, soprattutto i politici: molti Stati nella loro politica della memoria pongono in primo piano le vittorie e cercano di distogliere l’attenzione dalle sconfitte. E ci sono sconfitte ed episodi vergognosi nella storia di qualsiasi Paese. Ogni nazione e ogni società affronta il dolore del passato a modo suo. La società russa ha affrontato la vergogna tramite il ricordo della vittoria nella Seconda guerra mondiale.

Per diversi anni il ricordo della vittoria non ci ha permesso di guardare negli occhi la nostra storia. L’incubo di ciò che sta accadendo ora dovrebbe costringerci a farlo.

Nel nostro passato e nel nostro presente trattiamo i Paesi vicini come zone “cuscinetto” che non hanno diritto alla sovranità. Nel nostro passato e nel nostro presente vi è la volontà di usare la violenza contro interi popoli che appaiono sleali agli occhi delle autorità di Mosca. In definitiva, si tratta di una politica coloniale nei confronti tanto dei popoli vicini quanto della propria gente.

Nel nostro passato e nel nostro presente lo Stato concepisce le persone – interne ed esterne ad esso – come pedine sacrificabili. Lo Stato russo, e in particolare quello sovietico, non si è mai posto limiti.

Cambio di legittimazione

Prima della sua caduta il potere autocratico si basava sulla legittimazione divina, cosa che certamente non era unica nel suo genere. Con l’evolversi naturale degli eventi, la monarchia russa sarebbe finalmente diventata costituzionale. Se ne sarebbero potuti preservare i simboli, cambiando però la natura dello stato. Il potere “dato da Dio” si sarebbe trasformato in potere democratico, avrebbe ricevuto una legittimazione non dall’alto, ma dal basso. Ma la Russia non ha seguito questa strada.

La legittimazione divina dopo la rivoluzione del 1917 fu sostituita dalla legittimazione ideologica. Dopo avere preso il potere il Partito Comunista si fece depositario di verità assolute sulla struttura della società e affermò di conoscere l’obiettivo finale verso cui il Paese si sarebbe dovuto dirigere. Sulla base di questa “conoscenza” i leader dell’URSS giustificarono la loro volontà di costringere le persone a seguire il percorso tracciato dagli ideologi.

Nel nostro passato e nel nostro presente c’è un potere che si è arrogato poteri straordinari, un potere non limitato dalla legge e dalle istituzioni. L’impero aveva i suoi processi, con una giuria e un tribunale indipendenti; lo stato sovietico si sbarazzò di queste istituzioni legali in quanto “residui borghesi”. I leader sovietici avevano una “legittimità”, rivoluzionaria prima e socialista poi, cioè giustificavano qualsiasi azione che fosse opportuna dal punto di vista della costruzione del comunismo. Questo sistema non aveva nulla a che fare con la salvaguardia dei diritti e della giustizia. Nel nostro passato e nel nostro presente l’opportunità è stata posta al di sopra della vita umana.

Un altro crimine del potere

Le autorità russe non hanno solo ucciso, deportato ed espulso persone dal Paese; gli hanno tolto ciò che avevano. Ora sta succedendo di nuovo: il governo di nuovo sta spezzando la vita delle persone, portandogli via ciò che hanno guadagnato e accumulato.

Dopo la rivoluzione agli ex proprietari delle città furono sottratte case e attività commerciali. Prima e dopo la rivoluzione durante la “ripartizione nera” [delle terre più fertili – N.d.T.] campi e terreni furono confiscati e ridistribuiti. Queste stesse terre tra gli anni Venti e Trenta vennero nuovamente confiscate, stavolta alle comunità contadine, e i “kulaki”, cioè semplicemente i contadini, vennero uccisi o deportati.

Gli oggetti di valore e i risparmi che le famiglie avevano conservato dopo la rivoluzione negli anni Trenta sparirono all’interno di un sistema di negozi in cui si scambiavano metalli preziosi e valuta con cibo, vestiti e altro. Le risorse finanziarie investite in immobili nel breve periodo della NEP vennero confiscate attraverso il sequestro degli immobili stessi. Ciò che lo Stato tolse a nobili, commercianti e coloro di origine contadina e ecclesiastica che possedevano appartamenti, palazzi e collezioni venne espropriato e mai più restituito. Il governo non ha mai restituito nulla (tranne che negli anni Novanta, quando consentì la libera privatizzazione degli alloggi). Ha bruciato tutto nelle guerre.

Negli anni Trenta e Quaranta le autorità emisero prestiti obbligazionari, su base obbligatoria, con continue dilazioni dei pagamenti, e dopo la grande guerra vi furono anche riforme monetarie di natura confiscatoria: nel 1947, 1961, 1991. Anche nel 1992 vi fu l’azzeramento. E poi la crisi del 1998.

Lo stato sovietico-russo deruba i propri cittadini, a ogni loro generazione. I risparmi dei genitori vengono azzerati, i figli ricominciano la loro vita da zero, ma le autorità derubano anche questi. Il punto non è soltanto l’aspetto materiale della questione, ma tutte le normali questioni su cui le persone basano le loro vite. Si costruiscono una vita stabile, fanno progetti, e poi perdono tutto. È il cimitero degli sforzi umani.

I mezzi impiegati dalle autorità sono noti: repressioni, anche in sede extragiudiziale, arresti e lavori forzati, requisizioni di cibo e proprietà, che portano alla fame e alla morte. Senza dimenticare l’aggressione militare ai Paesi limitrofi, gli attacchi ai civili, la presa di ostaggi, le torture, la persecuzione di persone sulla base della nazionalità e la deportazione di interi gruppi etnici. Tali mezzi furono utilizzati sia all’interno dell’Unione sovietica che durante la conquista dei Paesi dell’Europa centrale e orientale negli anni Quaranta, all’inizio della Seconda guerra mondiale e subito dopo di essa. Sono stati impiegati in due guerre cecene, in Georgia, nell’Ucraina orientale e in Siria, ovunque la Russia abbia fatto uso della forza. Gran parte di ciò che è stato commesso in quei luoghi si qualifica come crimine contro l’umanità, che non ha termini di prescrizione. Per convincersene basti leggere il più ampio documento di diritto internazionale dedicato a questo problema, lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.

Non solo nell’Ucraina dilaniata dalla guerra, ma anche in Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Estonia, Finlandia, Repubblica Ceca e altri Paesi che hanno una o l’altra esperienza storica di conflitto con la Russia, ora si parla dei crimini passati degli Stati russi come se fossero stati commessi oggi. La maggior parte di questi Paesi ora accoglie rifugiati dall’Ucraina. Non importa come finirà il conflitto, nulla sarà dimenticato.

Mezzi senza fini

Non un solo russo, non una sola persona che si consideri russa può più fingere che il passato sia un mero argomento di controversie accademiche e giornalistiche. Il passato si sta ora riproducendo sul suolo ucraino. Il fatto che i crimini dello stato russo non abbiano ricevuto una valutazione giudiziale e che non siano stati giudicati in un processo pubblico ha reso possibile l’attuale guerra. La guerra è stata resa possibile dall’impunità dei leader dello Stato russo.

Coloro che ora prendono decisioni a nome della Russia non hanno grandi obiettivi, non hanno nessuna conoscenza delle verità assolute, nessuna legittimazione ideologica o divina, nonostante possano fingere di averle. L’unica cosa che sono riusciti a sostituire alla “grande idea” da tempo assente – sia imperiale che comunista – è una menzogna. I promotori della guerra con l’Ucraina hanno deciso che per legittimare la guerra sarebbero bastate montature e finzioni.

Putin, forse, ha creduto alla propria propaganda e ha iniziato ad agire sulla base di una pseudo-realtà inventata su suo ordine dai propagandisti. Ma in fin dei conti non importa se egli crede o meno in qualcosa. Vediamo soltanto che funzionari e militari russi cercano ancora di giustificare le loro azioni con l’aiuto di una disinformazione primitiva, affermando che le donne che muoiono durante il parto sono attrici, che i nazionalisti avrebbero occupato gli ospedali, che i “nazisti” governano l’Ucraina.

La Russia di oggi come unità politica possiede solo le menzogne ​​e i metodi ereditati dai čekisti e da Stalin. Gli strumenti sono rimasti gli stessi, solo che ora sono privati ​​anche del loro involucro esteriore sotto forma di giustificazioni “ideologiche”. Lo stato russo ora è come uno zombie: un corpo senz’anima che distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino, senza capire perché lo fa.

Processare, non perdonare

“La distruzione dell’uomo con l’aiuto dello Stato non è forse il principale problema del nostro tempo, della nostra moralità?” ha scritto Varlam Šalamov. Sì, è il principale. Più i russi e coloro che si considerano russi se ne rendono conto, più rapidamente arriveremo a un processo per i crimini dello stato russo. Senza di esso la Russia non potrà diventare a tutti gli effetti né una vera casa per i suoi cittadini, né un’unità politica con la quale sia possibile instaurare un dialogo aperto. Se la comunità nazionale e culturale chiamata “Russia” volesse tornare all’interno della comunità internazionale, la prima nuova istituzione creata nel Paese dopo la guerra dovrebbe essere un tribunale per processare i crimini dello Stato russo, in tutte le sue forme, passate e presenti.

Non può più funzionare la logica della prescrizione, logica legata al fatto che non ci sono più criminali in vita, non ci sono quasi più testimoni viventi e ora non c’è nessuno da processare. Ma qualcuno ci sarebbe; i responsabili delle decisioni sull’aggressione all’Ucraina calzerebbero a pennello. Il processo dovrà essere indipendente dallo Stato, altrimenti non avrà senso. Trent’anni fa il processo al PCUS è fallito perché i giudici della Corte costituzionale erano stati fino al giorno prima membri del partito e la stessa magistratura non era separata a sufficienza dalle strutture statali.

Se dopo la guerra la società russa riuscirà a instaurare, per la prima volta nella sua storia, un tribunale veramente indipendente, allora dimostrerà a se stessa e agli altri che in linea di principio esiste una società in Russia. Il segno principale della sua esistenza sarà proprio questo: la soggettività, che consente di fornire una valutazione giuridica delle azioni dello Stato e dei suoi leader. Se ciò avverrà, allora forse i russi saranno in grado di far fronte a un ulteriore sviluppo istituzionale.

Molto probabilmente, questo sviluppo comincerà con le istituzioni che prevengono la violenza dello Stato contro le persone, interne ed esterne a esso. È necessario assicurarsi che chi sale al potere non possa mai neppure ragionare in termini di “popolo unito”, “destino comune”, “grande storia” e altre grandiose generalizzazioni. E naturalmente i futuri politici non dovrebbero essere in grado di intraprendere un’azione militare sulla base delle loro fantasie; devono avere le mani legate.

Questo sarà estremamente difficile da realizzare in un Paese in cui le istituzioni, le leggi e persino il sistema educativo hanno sempre agito nell’interesse non del popolo, ma del governo centrale, in un Paese dove l’ordine sociale è sempre stato concepito per giustificare la violenza. Il successo di questa difficile impresa non è affatto garantito, ma se non ci riesce la Russia non ha futuro.

 

 

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Il 23 maggio 2025 presso il tribunale militare di guarnigione di Rjazan’ il pubblico ministero Boris Motorin ha chiesto per Ruslan Sidiki una condanna a trent’anni di reclusione. Di Ruslan Sidiki, 36 anni e doppia cittadinanza, russa e italiana, abbiamo già avuto modo di parlare. Dopo di lui ha preso la parola Igor’ Popovskij, l’avvocato di Sidiki. Il difensore ha spiegato nel dettaglio perché la versione dell’accusa non corrisponde ai fatti e, perciò, a verità. Nei casi in esame la definizione giuridica delle azioni del suo assistito non può rientrare negli articoli riguardanti il “terrorismo”. Quanto da lui compiuto può far capo, piuttosto, alla categoria “sabotaggio”. In due punti, a sostenere le accuse di terrorismo sono le invenzioni degli inquirenti e le deposizioni estorte sotto tortura. L’avvocato Popovskij ha infine ricordato che, in base alla Convenzione di Ginevra e a quanto da essa affermato “in data 12 agosto 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra”, Ruslan Sidiki andrebbe considerato come tale. L’anarchico Ruslan Sidiki è stato alla fine condannato a 29 anni di carcere. Si tratta della pena più severa mai inflitta per azioni contro infrastrutture militari e, in genere, per azioni che non hanno causato vittime. È l’ennesimo atto intimidatorio contro i dissidenti. Riportiamo in italiano il testo dell’ultima dichiarazione pronunciata da Ruslan Sidiki prima della lettura della sentenza. Mi rincresce che le mie azioni abbiano messo in pericolo Bogatyrëv*, Tarabuchin** e Unšakov***. Non erano loro il mio obiettivo e sono lieto che la loro salute non abbia subito danni gravi. Il mio obiettivo erano i mezzi militari russi e gli anelli della logistica militare per il trasporto di mezzi e carburante. Era il modo che avevo scelto per ostacolare le operazioni militari contro l’Ucraina. Naturalmente la notizia di un’esplosione e il clamore suscitato possono spaventare le persone. Lo stesso vale per i missili che sorvolano le case e per le prime operazioni militari: anche loro hanno lo scopo di intimidire la popolazione del Paese contro cui tali azioni sono dirette. Come ho già ampiamente ripetuto, non era mia intenzione intimidire nessuno. Ho scelto io gli obiettivi: ho attaccato la base aerea militare con l’intento di distruggerne i velivoli. Ho fatto saltare il treno per mettere fuori uso la linea ferroviaria su cui avevo individuato un discreto movimento di mezzi militari. Vorrei che fosse chiaro che ho studiato attentamente il movimento dei treni sulla linea che ho fatto saltare per assicurarmi che non ci fossero treni passeggeri. Per maggiore sicurezza, ho controllato visivamente il tutto prima dell’esplosione. Se non mi importasse della vita altrui, avrei potuto far deragliare il treno senza un mio intervento diretto. Non ho avuto nulla a che fare con chi ha tentato di fabbricare, poi, un nuovo ordigno esplosivo per far deragliare un altro treno. L’esplosione dell’11 novembre 2023 aveva già suscitato molto clamore ed ero perfettamente consapevole che le misure di sicurezza sarebbero state rafforzate. Inoltre, avevo già la morte di mia nonna a cui pensare. Con la popolazione russa ho rapporti neutrali. Dal 2014 ho con loro alcune divergenze su certi fatti, ma non è, per me, un motivo sufficiente per odiare qualcuno. L’impossibilità di influenzare pacificamente le azioni di chi ci governa, così come il tribunale che attende coloro che non condividono la politica dello Stato inducono alcuni a lasciare il Paese e altri a restare e a passare all’azione. Indipendentemente dalla gravità del reato, l’uso della tortura durante gli interrogatori è inaccettabile in qualunque caso, se diciamo di vivere in uno Stato di diritto. Torturare con scariche elettriche e picchiare una persona legata sono atti riprovevoli in massimo grado, la cui responsabilità ricade non solo su chi ha applicato metodi in questione, ma anche su chi è consapevole che essi vengono usati, non li contrasta e, anzi, è complice nel tenerli nascosti. Concludo recitandovi un frammento di una poesia di Nestor Machno: Che ci seppelliscano anche subito: ciò che davvero siamo non diverrà Oblio, risorgerà al momento dovuto e vincerà. Ne sono certo, io. * Aleksandr Ivanovič Bogatyrëv, camionista presso la Avargard s.r.l.. Il 23/07/2023 trasportava erba falciata da un campo vicino al villaggio di Tjuševo, regione di Rjazan’. Uscendo su una strada sterrata vicino al campo, centrò con una ruota un drone esplosivo. Che scoppiò. Bogatyrëv non rimase ferito. ** Sergej Aleksandrovič Tarabuchin, assistente macchinista dello stesso treno. A seguito dello scoppio del finestrino, ha riportato graffi al viso e a un braccio. *** Dmitrij Nikolaevič Unšakov, macchinista del treno merci n. 2018, che l’11 novembre 2023 era ripartito dalla stazione di Rybnaja. Si trovava nella cabina di guida al momento dell’esplosione sui binari. A seguito dell’esplosione ha riportato escoriazioni alla mano.

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Milano, 8 giugno 2025. “I confini dell’impero di Putin” con Oleg Orlov.

Grazie a Radio Popolare siamo onorati e felici di ospitare a Milano Oleg Orlov, cofondatore di Memorial ed ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. In copertina: Oleg Orlov durante la lettura della sentenza presso il tribunale distrettuale Golovinskij di Mosca. Foto: Svetlana Vidanova / Novaja Gazeta. In occasione della festa di Radio Popolare All you need is love che si svolge a Milano nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini (via Ippocrate 47) domenica 8 giugno alle 15:30 Oleg Orlov parteciperà all’incontro I confini dell’impero di Putin con Anna Zafesova, giornalista e scrittrice, autrice del recente volume Russia. L’impero che non sa morire, e Lia Quartapelle, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati. Modera Michele Migone di Radio Popolare. Oleg Orlov è stato scarcerato dal centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara il 1 agosto 2024 nel contesto di un ampio scambio di prigionieri politici tra Russia e Occidente. Il 27 febbraio 2024 Oleg Orlov, copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e membro della neoricostituita Associazione Internazionale Memorial, era stato condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario in base all’articolo del codice penale della Federazione Russa che punisce il “vilipendio reiterato delle forze armate”. Orlov è diventato un obiettivo della repressione dopo la pubblicazione dell’articolo Volevano il fascismo in Russia e l’hanno ottenuto. Ricordiamo che nel 2014 l’allora Centro per i diritti diritti umani Memorial e poi nel 2016 Memorial International erano stati dichiarati agenti stranieri e che nel 2021 entrambe le associazioni sono state chiuse in via definitiva con sentenza della Corte suprema della Federazione Russa secondo la quale Memorial avrebbe “diffuso un’immagine falsa dell’Urss come Stato terrorista”. Chi è Oleg Petrovič Orlov? Carattere schivo ma deciso, Oleg Petrovič Orlov è una delle anime del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, nonché membro del Movimento democratico unitario Solidarnost’. Nato a Mosca nel 1953 e biologo di formazione, tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta, mentre lavora all’Istituto di fisiologia vegetale dell’Accademia delle scienze, stampa e diffonde volantini con appelli contro la guerra in Afghanistan e riflessioni sulla situazione polacca e sul sindacato Solidarność. Nel 1988 entra formalmente nel gruppo di iniziativa della nascente associazione Memorial di cui diventa di fatto uno dei fondatori. Continua a leggere. “Ci sono momenti in cui è impossibile tacere”Il documentario Ritorno alle repressioni. Oleg Orlov, pubblicato il 22 aprile 2023, fa parte del progetto Priznaki žizni (Segni di vita) di Radio Free Europe / Radio Liberty. In una lunga intervista, a più di trent’anni di distanza dalla fondazione di Memorial, Orlov ammette che le speranze di allora non si sono concretizzate. La Russia è tornata a una situazione di illibertà ancora più grave di quella della sua gioventù, vissuta negli ultimi anni dell’Urss di Brežnev. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il giro di vite del Cremlino all’interno della Federazione Russa è stato violento. In base ai nuovi articoli di legge sulle fake news e sul vilipendio delle forze armate, le pene detentive per diffusione di informazioni indipendenti sulla guerra sono diventate abnormi. Orlov ritiene che le ragioni del ritorno della Russia a una situazione di illibertà siano il militarismo e il mito dell’impero, l’idea che lo stato sia più importante della vita e dei diritti dei cittadini.

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