“Voleva dare fuoco al Cremlino”: regista di teatro accusato di terrorismo per una carta di gomma da masticare

Il regista teatrale Anatolij Levčenko è stato imprigionato dagli occupanti russi per un post su Facebook. Nell'intervista racconta la sua esperienza con la procedura di filtraggio e le terribili condizioni degli ucraini imprigionati dagli occupanti.

Il regista teatrale Anatolij Levčenko è stato imprigionato dagli occupanti russi per un post su Facebook. Dopo essere stato scarcerato e aver lasciato Mariupol’ con la sua famiglia, ha raccontato la sua esperienza a Ivan Stanislavs’kyj, che lo ha intervistato per il progetto “Voci dalla guerra”, portato avanti dalla rete di Memorial col Gruppo di difesa dei diritti umani di Charkiv (KhPG o “Memorial Ucraina”).

Levčenko è stato testimone diretto dei colpi di artiglieria sugli edifici civili e delle torture inferte agli ucraini nelle prigioni degli occupanti.

Il video dell’intervista in lingua originale coi sottotitoli in italiano è disponibile nel canale YouTube di Memorial Italia. Riportiamo qui la trascrizione del testo.

Le traduzioni italiane sono a cura di Luisa Doplicher, Sara Polidoro, Claudia Zonghetti e altri collaboratori di Memorial Italia.

Ivan Stanislavs’kyj

18.10.2023

Anatolyi Levčenko, noto regista teatrale di Mariupol’, il 20 maggio 2022 è stato arrestato dagli aggressori russi per le sue idee filo-ucraine, con l’accusa di incitamento all’odio, istigazione all’estremismo e al terrorismo e persino di voler dare fuoco al Cremlino per un suo post su Facebook che raffigurava la carta di gomma da masticare “Love is…”.

“Pensavamo che a Mariupol’ gli aiuti arrivassero presto”

A febbraio non avevamo ancora capito cosa stava succedendo. Speravamo che sarebbe finito tutto presto, come nel 2014. Credevamo che a Mariupol’ ad un certo punto sarebbero arrivati gli aiuti, quindi non facevamo che aspettare. All’epoca eravamo io, mia moglie, mia suocera di 92 anni e mio figlio Artem di 21 anni, diversamente abile: è un autistico non verbale. Ad aprile mia suocera non ce l’ha fatta più a reggere, ed è morta. L’ho sepolta in un’aiuola, davanti al nostro palazzo.

Siamo poi arrivati al momento in cui cibo e acqua iniziavano a scarseggiare e passavamo molto tempo per procurarceli. Fortunatamente c’era un supermercato vicino casa e lì prendevamo il pallet che usavamo per fare il fuoco. Preparavamo da mangiare davanti al portone del palazzo, insieme ai vicini. Avevamo imparato a scambiarci il cibo tra di noi: c’era chi aveva le patate, chi le carote, e così si preparava da mangiare per tutti.

Non scendevamo nel rifugio perché vivevamo all’ottavo piano: l’ascensore non funzionava e le cantine avevano i muri troppo alti. Per arrivarci bisognava calarsi con una scala alta cinque metri, ma mia suocera e mio figlio non ci riuscivano. Con mia moglie allora ci dicevamo: “Sarà quel che sarà”.

Anatolij Levčenko sullo sfondo del teatro drammatico distrutto a Mariupol’, estate 2023. Fotografia tratta dalla pagina Facebook di Anatolij Levčenko.

“Avevo visto un carrarmato con il tricolore russo sparare sulle case”

A metà marzo sono entrati gli aggressori. Alcuni carrarmati si erano appostati davanti casa nostra, a 20-30 metri da dove facevamo il fuoco. I soldati uscivano dai carrarmati e venivano a chiederci un tè e a offrirci le sigarette. Uno ripeteva sempre: “Io comunque sono di Mosca”. Un giorno si era ubriacato di vodka e si era messo a dire: “Non mi hanno preso all’esercito perché il procuratore al tribunale ha detto che sono un maniaco!”. Secondo noi era stato in carcere per violenza sessuale, si capiva da come si atteggiava. Un altro si guardava intorno e diceva: “Ma perché tutto questo?”. E io: “Ma senti, dicono che a Donec’k da 8 anni…”. E lui: “Ma che dici, da noi gli ascensori funzionano, i filobus circolano, qui invece sono tutte macerie!”. Almeno uno che si dice inorridito da quello che combinano… I soldati non avevano l’abbigliamento adeguato e si lamentavano che fossero stati mandati come carne da macello.

Ho visto con i miei occhi un carrarmato con la bandiera russa che si muoveva tra le nostre strade. Faceva caldo quel giorno, eravamo a casa. Sentiamo improvvisamente degli spari. Avevano distrutto la cabina dell’ascensore che stava sul nostro tetto. Lo stesso carrarmato ha poi sparato a tutte le altre cabine del palazzo di fronte e poi sulla palazzina di 5 piani, colpendola dall’alto in basso finché non ha preso fuoco.

Scendo in strada e vedo alcuni uomini fermi all’incrocio gridare: “Ma che stai facendo?!”, e il soldato che esce fuori dal carrarmato e risponde: “Lì può esserci un infiltrato, o un cecchino!”, continuando a sparare. Ma fino a quel momento nel nostro quartiere non c’erano stati combattimenti, quindi non potevano esserci stati dei ricognitori.

L’arresto del 20 maggio

Quando i combattimenti si sono spostati nella zona della fabbrica Azostal’ avevo iniziato a cercare un modo per lasciare la città. All’epoca era ancora possibile andare a Zaporižžja, ma la città era ormai occupata e i russi avevano già iniziato a imporre le loro regole. Per attraversare i posti di blocco bisognava passare la procedura di filtraggio a Manhuš, e così siamo andati lì.

Ricevuta di avvenuto filtraggio a Manhuš, fonte: pagina Facebook di Anatolij Levčenko

Durante l’interrogatorio ho capito che qualcuno mi aveva denunciato. Anzi, forse non si era trattato di una persona sola. Chi l’aveva fatto non sapeva dove vivevo, solo che purtroppo durante il filtraggio avevo dovuto mostrare i documenti dove c’è il mio indirizzo di residenza. Il 17 maggio avevamo superato la procedura di filtraggio e il 21 saremmo dovuti partire per Zaporižžja, ma il 20 maggio mi hanno arrestato e aperto un fascicolo. Mi accusavano di estremismo, istigazione al terrorismo, all’odio nazionale e di altro tipo.

Quella mattina mia moglie era uscita a fare la spesa. Ero a casa, sento bussare. Erano due ragazzi di 20-25 anni. Uno mi punta la pistola e inizia a urlarmi contro. Poi si mettono a perquisirmi l’appartamento, prendendomi il telefono e il tablet e dicendomi che dovevo prepararmi. In quel momento mio figlio era in casa, chiedo loro di poter aspettare che torni mia moglie per non lasciarlo da solo, ma non c’è verso, così chiedo alla mia vicina di stare con lui.

Mi infilano in una macchina e a metà strada si fermano, chiedendomi cosa avessi scritto, improvvisando un interrogatorio di 40 minuti. E poi: “Va bene, te la vedrai con loro!”. E chiedo: “Ma dove mi state portando adesso?”. “Adesso andiamo a Donec’k”.

Mi incappucciano con un sacchetto di plastica e mi fanno un altro interrogatorio. Parlavano come se fossi un officiale del Terzo Reich. “Le sue idee nazionaliste? Le faremo vedere la dichiarazione in cui dice di collaborare con i servizi segreti ucraini”. Arriviamo a Donec’k verso sera. Lì mi prendono le impronte digitali e mi interrogano di nuovo. Mi fanno domande sui miei spettacoli, sulla mia attività teatrale e sui post su Facebook.

Insegna del carcere sulla Kobozeva, fonte: pagina Facebook di Anatolij Levčenko

“Isolda”

Intorno all’una di notte finisco nella famigerata prigione di “isolamento”, che la gente chiama “Isolda”. Negli anni 2014-15 era nota per essere un luogo di tortura e molti sono stati ammazzati proprio lì. Le condizioni erano tremende. L’ora d’aria in realtà durava al massimo tre minuti. Per lavarsi, tre minuti. Di giorno non ci si poteva sedere o stendere sulle brandine. C’era una misera panchina scomodissima dove ci si poteva sedere a turno, oppure si doveva camminare tutto il tempo. Stare 16 ore in piedi è devastante.

Le guardie picchiavano. Io ho avuto la fortuna di esser stato colpito un paio di volte sulla schiena con un fucile, ma non era niente a confronto delle botte vere e proprie. C’era un ragazzo di 18 anni accusato di collaborare con i servizi segreti ucraini che non poteva mai stare seduto di giorno. Quando sono arrivato io erano ormai due mesi che stava in piedi per 16 ore al giorno. Una volta aveva appoggiato la gamba sulla brandina e le guardie erano corse a picchiarlo.

Ti puniscono per qualsiasi cosa. Quando si apre la porta della cella tutti devono voltarsi e indossare i sacchetti sulla testa. Le guardie temono che se le vedi poi le riconosci. Ogni prigioniero sogna di vendicarsi, se sopravvive. Non arriva nessuna notizia da fuori: per tutto il tempo che sono stato in carcere non sapevo se la mia famiglia ricevesse notizie su di me e se sapesse dove mi trovassi.

Stando alle indagini, avrei incitato a incendiare il Cremlino

Il 16 giugno 2022 mi presentano il magistrato, era una donna. Mi elenca le accuse e fa partire l’indagine. Dall’isolamento mi trasferiscono nel carcere sulla Kobozeva. Era una prigione enorme, costruita negli anni Cinquanta del secolo scorso. Sembrava un carcere di epoca staliniana. Sono stato in tre celle diverse. Prima di ottobre ero in una cella da 4, grande come la cuccetta di un treno. Dentro c’era un secchio per i bisogni, un lavandino e un tavolino per mangiare. Se due persone si alzavano, due dovevano stare stese perché non c’era posto. Due dei tre miei compagni di cella erano degli assassini. Le condizioni igieniche erano tremende, c’erano le cimici nei letti.

A ottobre mi hanno poi messo tra i criminali politici. C’erano scarafaggi e ratti e ci si poteva fare una doccia di acqua gelida una volta a settimana. Nella prima cella da 25 c’erano 29 persone e si dormiva a turno. Poi mi hanno spostato nella cella accanto che poteva ospitare 18 persone, ma ce ne erano 21. Per alcuni giorni ho saltato qualche notte, finché poi si è liberato un posto.

Il 16 giugno mi hanno notificato che il capo d’accusa era l’articolo 328, ovvero istigazione all’odio. L’indagine partiva da denunce e da alcuni miei post sui social, come quello su Facebook con la carta della gomma da masticare e la scritta “Love is…”, dove un bambino e una bambina si tengono per mano e guardano il Cremlino in fiamme. In basso la scritta: “Amore è guardare nella stessa direzione”. Stando alle indagini, incitavo in questo modo a incendiare il Cremlino. Per questi reati avrei potuto rischiare dai 7 ai 9 anni di carcere.

La famosa carta di gomma da masticare e altri post, fonte: pagina Facebook di Anatolij Levčenko.

“Scriva che era una battuta”

Dopo il referendum farsa del 4 ottobre il territorio della regione occupata di Donec’k era “diventato Federazione Russa”, quindi per tutti gli indagati doveva valere la legislazione russa. A differenza da quanto previsto dal codice della pseudorepubblica di Donec’k, secondo l’articolo 328 del Codice penale della Federazione Russa il reato di incitamento all’odio nazionale non viene considerato reato penale, bensì amministrativo, la prima volta che viene commesso. Sono stato scagionato solo a marzo, anche se già a ottobre era stato chiarito questo aspetto.

Dei due altri fascicoli non so ancora nulla. Erano stati aperti il 14 ottobre seguendo la legislazione della Repubblica di Donec’k, ma dal 4 ottobre era già in vigore la legislazione russa. Si erano praticamente confusi da soli. Il 9 marzo mi hanno rilasciato facendomi giurare che non avrei lasciato il paese e chiudendo poi il fascicolo legato alla violazione dell’articolo 328. Ad aprile e a maggio andavo a Donec’k a firmare dal magistrato, che scrive poi un nuovo verbale con effetto retroattivo e mi dice: “Scriva che era una battuta”. I documenti che provano la sospensione di questi casi, però, io non li ho.

A Mariupol’ ho iniziato a cercare aiuto per andare in Ucraina. Con un figlio diversamente abile non potevamo viaggiare in autobus, ci serviva un altro tipo di mezzo. In quattro mesi abbiamo messo da parte i soldi e abbiamo trovato un modo per lasciare la città. Abbiamo dovuto fare i passaporti russi e me ne vergogno, ma senza sarebbe stato impossibile.

“Là c’è la tua Ucraina”

Il 20 luglio alle 19 siamo partiti da Mariupol’ e alle 9 del giorno dopo siamo arrivati al valico di Kolotylivka-Pokrovs’k, dove si passa il confine. Eravamo preparati, perché sapevamo che al valico potevano controllare i telefoni e metterti dietro le sbarre anche per una sciocchezza. Nessuna foto, nessun simbolo ucraino, nessun canale Telegram ucraino o contatti ucraini. Andava tutto cancellato. Fortunatamente non ci hanno trattenuto molto perché Artem aveva avuto una crisi isterica.

Quando passi il controllo ti dicono: “Vai, là c’è la tua Ucraina”. Il valico si può attraversare solo a piedi. Tra il confine russo e quello ucraino ci sono due chilometri. Un tempo era una strada asfaltata, ora è invece ricoperta di ghiaia ma è distrutta, e ai lati ci sono delle mine. È una terra grigia, di nessuno.

A metà di questa zona grigia si vedeva una torre con la bandiera ucraina. Era tutta strappata, ma era ucraina. In quel momento ho detto a mia moglie: “Fermati, devo fare un video in cui parlo ucraino”. Ci siamo fermati. A Mariupol’ non si poteva parlare in ucraino perché destava sospetti. Nonostante il caldo e tutto il resto, era stato bellissimo per me poter nuovamente parlare la mia lingua.

“Terra Incognita, il nostro teatro per la nostra gente” Fonte: pagina Facebook di Anatolij Levčenko.

Anatolij Levčenko vive ora a Kropyvnyc’kyj dove sogna di far rinascere il Primo teatro indipendente del Donbas (di Mariupol’). “Terra Incognita, il nostro teatro per la nostra gente”.

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Palermo, 2-6 settembre 2025. MOST. Memorial Open Society Talks Summer School.

A Palermo dal 2 al 6 settembre 2025 Memorial Italia promuove MOST. Memorial Open Society Talks. MOST è una Summer School pensata per studenti e studentesse e giovani giornalisti/e che vogliono approfondire ed esplorare temi trasversali come l’identità, i diritti umani, i regimi politici e la memoria storica in quella vasta e complessa area sociopolitica sorta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che va dall’Europa Orientale fino all’Estremo Oriente. È possibile inviare la candidatura entro il 20 giugno all’indirizzo email most@memorialitalia.it allegando un breve CV e una lettera motivazionale. Perché MOST? L’aggressione militare russa in Ucraina ha indubbiamente riportato al centro del dibattito pubblico italiano un momento di intenso confronto intorno al significato di alcune categorie politiche e culturali universali: nazione e impero; identità e ideologia; democrazia e autocrazia; e, infine, guerra e pace. Tuttavia, nel linguaggio dei media questa nuova tensione si è trasformata molto spesso in una marcata polarizzazione ideologica che ha rivelato, nel corso degli ultimi anni, un certo livello di astrazione e, in misura ancora più evidente, una carenza di base: molti di coloro che scrivono di storia, società e politica ucraina e russa non hanno alcuna conoscenza dei territori e delle culture dei paesi su cui offrono ampie riflessioni. MOST vuole fornire uno spazio libero e indipendente di formazione e scambio, di analisi e approfondimento. L’ambizione è quella di creare una rete di giovani studiosi/e e giornalisti/e che possano contribuire all’elaborazione di nuovi linguaggi per articolare nel dibattito pubblico italiano un’informazione consapevole: l’intento è aiutare a comprendere non solo quanto avviene oggi in Ucraina, ma anche il significato profondo di eredità storiche, retaggi culturali e dinamiche politiche di lunga durata che hanno caratterizzato la formazione di una regione ampia e complessa come l’area post-sovietica. Cosa è MOST? In molte lingue slave MOST significa ponte, uno spazio di raccordo tra culture e storie. MOST nasce come un vero e proprio laboratorio di idee volto a stimolare il confronto tra i diversi linguaggi con cui oggi possiamo approfondire la conoscenza di un’area geografica tormentata di cui si continua ad avere una conoscenza superficiale e in molti casi prevenuta. MOST è una Summer School pensata per studenti e studentesse e giovani giornalisti/e che vogliono approfondire ed esplorare temi trasversali come l’identità, i diritti umani, i regimi politici e la memoria storica in quella vasta e complessa area sociopolitica sorta dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che va dall’Europa Orientale fino all’Estremo Oriente. MOST è costruita intorno a 5 giornate, ognuna delle quali è dedicata a un macrotema diverso. Lingua, identità e cultura: come si relazionano tra loro dinamiche linguistiche e appartenenze identitarie e culturali? Quali sono le radici storiche dell’Ucraina di oggi? Società civile e regimi politici: qual è il ruolo della società civile nel fungere da contrappeso ai regimi politici? In cosa i regimi politici sorti nell’area nel corso degli ultimi decenni differiscono dalle democrazie occidentali? Diritti umani: come si è evoluta la situazione dei diritti umani e la lotta per il loro rispetto dalla caduta dell’Unione Sovietica a oggi? Chi sono i difensori dei diritti umani nella Federazione Russa? Come hanno concepito il proprio lavoro e quali sfide stanno affrontando? Come ha funzionato dagli anni Novanta a oggi il sistema giuridico in Cecenia, Daghestan, Inguscezia? Confini e conflitti: come comprendere il grado di contestazione dei confini politici nella regione nel corso degli ultimi trentacinque anni? Quali eredità storiche e pratiche politiche influiscono sulla loro politicizzazione e sull’emergere di nuovi conflitti?  Memoria storica: perché la memoria, individuale e collettiva, svolge oggi un ruolo fondamentale nel processo di autoidentificazione e nella mobilitazione sociale delle nuove comunità politiche? Chi ‘fa’ MOST? MOST vuole essere un importante momento di incontro tra la comunità scientifica che si occupa a vari livelli di spazio post-sovietico e il mondo del giornalismo e della comunicazione. Per questo motivo abbiamo invitato studiosi/e ed esperte d’area come le giuriste del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial e giornalisti/e affermati/e come Anna Zafesova (La Stampa, Linkiesta), Eugenio Cau (Il Post) e Daniele Raineri (Il Post), per imparare a maneggiare gli strumenti propri dei rispettivi settori e a sperimentare nuovi linguaggi.  Durante le giornate di MOST sono previste: lezioni con studiose/i d’area sui macrotemi della Summer School; workshop di carattere pratico curati da giornalisti/e; momenti culturali tra cui visite guidate, presentazioni di libri, dibattiti pubblici e commemorazioni. Come unirsi a MOST? Se sei interessato/a ai temi di cui discutiamo a MOST, vuoi far parte di una rete di giovani studiosi/e e giornalisti/e e conoscere da vicino i relatori e le relatrici dei vari incontri, puoi inviare la tua candidatura entro il 20 giugno all’indirizzo email most@memorialitalia.it allegando un tuo breve CV e una lettera motivazionale (max 400 parole) in cui ci racconti dei tuoi interessi e delle tue aspettative. Durante le giornate della Summer School i costi dell’alloggio sono interamente coperti: ci ospita la Casa di Accoglienza il Carmine Maggiore, nel cuore del centro storico di Palermo. Le spese di viaggio e vitto sono a carico dei partecipanti. La quota di partecipazione, utile a contribuire alle spese organizzative, è di €150. Il pagamento viene effettuato dai partecipanti successivamente alla comunicazione di avvenuta selezione. Perché Palermo? Abbiamo scelto Palermo come sede di MOST perché è una città per molti versi di confine, con un passato ricco di memorie intrecciate e un presente in cui la lotta per i diritti umani è parte viva del tessuto urbano. La collaborazione con alcune associazioni presenti nel territorio, come Libera contro le mafie, impegnata da decenni nella lotta alle mafie e nel ricordo delle vittime innocenti, ci permette di affrontare temi cari a Memorial Italia da una prospettiva molto diversa da quella post-sovietica, ma che presenta tante affinità. La presenza di realtà come MoltiVolti, impresa sociale dedicata all’inclusione, alla convivenza e al dialogo tra persone portatrici di culture diverse, consente di tracciare altri fili rossi nelle questioni che riguardano l’identità, i confini, le migrazioni. In vista della nostra prima Summer School abbiamo inoltre voluto chiedere ai nostri partner per quale motivo abbiano

Leggi

Giugno 2025. People First in Italia: l’appello della delegazione dei Premi Nobel per la pace 2022.

Al termine di una quattro giorni di incontri istituzionali e pubblici Memorial Italia esprime soddisfazione e gratitudine nei confronti dei numerosi interlocutori con i quali ha avuto modo di confrontarsi tra l’8 e l’11 giugno 2025 come parte della delegazione dei Premi Nobel per la pace 2022 in Italia, costituita da Oleg Orlov (Memorial, Russia), Oleksandra Romantsova (Center for Civil Liberties, Ucraina) e Leonid Sudalenka (Viasna. Human Rights in Belarus, Belarus), accompagnati da Giulia De Florio e Andrea Gullotta, presidente e vicepresidente di Memorial Italia. La delegazione ha presentato la campagna People First, proposta e sostenuta da più di quaranta associazioni ucraine, russe e internazionali, tra le quali Memorial Italia e la Federazione Italiana Diritti Umani, il cui obiettivo è richiedere di inserire al tavolo delle trattative di pace tra Russia e Ucraina la questione della liberazione di tutte le persone incarcerate o deportate dopo il 24 febbraio 2022. Dopo gli incontri milanesi di domenica 8 giugno che prevedevano la tavola rotonda I confini dell’impero di Putin al Festival di Radio Popolare e un incontro con l’Associazione dei russi liberi, a Roma la delegazione dei Premi Nobel ha partecipato a eventi strategici mirati a chiedere all’Italia di sostenere la campagna People First. Il 9 giugno si è tenuto presso la Farnesina un incontro con la Direzione generale per gli Affari politici e di sicurezza nel quale Orlov, Romantsova e Sudalenka, dopo aver esposto alcuni degli aspetti più gravi delle numerose crisi legate al mancato rispetto dei diritti umani nella Federazione Russa, in Ucraina e nella Belarus, hanno illustrato la campagna People First. I funzionari del ministero presenti all’incontro hanno esposto i numerosi interventi dell’Italia all’ONU, al Consiglio d’Europa e in altre sedi a sostegno dell’Ucraina e delle società civili russe, ucraine e bielorusse e assicurato il costante impegno dell’Italia e del proprio governo in difesa dei diritti umani nel mondo e in particolare nei paesi dove operano le tre ONG. Il 10 giugno Orlov, Romantsova e Sudalenka hanno tenuto un’audizione presso la Commissione Affari esteri e comunitari della Camera dei deputati sul tema della liberazione delle persone incarcerate o deportate dall’inizio del conflitto russo-ucraino, cui è seguito un incontro con Benedetto Della Vedova, attualmente membro della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati. Nel marzo del 2022 Della Vedova, all’epoca sottosegretario agli Esteri, aveva avuto modo di parlare telefonicamente con Oleg Orlov nel corso delle perquisizioni condotte nella sede di Memorial a Mosca, esprimendo solidarietà a nome del governo italiano. Nell’occasione si è intrattenuto con la delegazione per approfondire le questioni legate al sostegno italiano e internazionale agli attivisti dei tre paesi. Nel pomeriggio Orlov, Romantsova e Sudalenka hanno animato l’incontro Putin’s Russia and the war against Ukraine: Insights from Human Rights Activists presso l’Istituto Affari Internazionali. A seguire la delegazione è stata ricevuta presso la Camera dei deputati dalla segretaria nazionale del Partito Democratico Elly Schlein insieme alla capogruppo del PD alla Camera dei deputati Chiara Braga, al responsabile Esteri, Europa, Cooperazione internazionale del PD Giuseppe Provenzano e alla vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati Lia Quartapelle. Elly Schlein ha ribadito l’impegno del proprio partito a sostegno dell’Ucraina e contro i regimi russo e bielorusso e ha discusso con gli attivisti una serie di iniziative istituzionali volte a rafforzare il sostegno dell’Italia alla campagna People First. Nella mattinata dell’11 giugno la delegazione ha partecipato all’udienza generale del Santo Padre Papa Leone XIV in piazza San Pietro e nel pomeriggio ha tenuto un’audizione presso le Commissioni riunite Affari esteri e difesa e Diritti umani del Senato della Repubblica, intrattenendosi al termine con alcuni senatori, tra i quali Cinzia Pellegrino (FDI) e Filippo Sensi (PD), per approfondire le questioni emerse nel corso dell’audizione. Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato agli incontri e tutti i giornalisti che hanno voluto dare spazio e risonanza all’iniziativa. Corriere della Sera (Irene Soave): Il Nobel dissidente Oleg Orlov: «L’Ucraina è stata disponibile, Mosca mente anche sui detenuti. Un dialogo però è possibile» | Corriere.it. Il Giornale (Angelo Allegri): ll premio Nobel Orlov: “Cedere adesso a Putin aiuta solo gli estremisti del regime russo” – il Giornale. Tg1 (Enrico Bona): Il dissidente Oleg Orlov: “Migliaia di civili ucraini detenuti in Russia in condizioni spaventose”. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): La visione della pace di Orlov. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): La visione della pace di Romantsova. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): La visione della pace di Sudalenka. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): Orlov sullo scambio mediato da Biden. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): Orlov su negoziati prigionieri. Sky tg24 Mondo (Pamela Foti): Orlov su diaspora. Gr1, Rai Radio1, ore 08:00 (Carla Frogheri): Intervista a Oleg Orlov sulla campagna “People First” (dal minuto 10.30). Rai Radio1 (Carla Frogheri): Radio anch’io | Proteste pro-migranti negli USA. Il conflitto in Ucraina | Rai Radio 1 | RaiPlay Sound (dal minuto 34.50). L’Avvenire (Raffaella Chiodo Karpinsky): Orlov: «Il bavaglio a Memorial non riesce a zittirci dall’estero». Adnkronos (Simona Poidomani): “In Russia torture sistematiche su dissidenti e ucraini”, la denuncia di Oleg Orlov. Radio Radicale (Francesco De Leo): Intervista a Oleg Petrovic Orlov, biologo, politico e attivista russo, impegnato nei movimenti per i diritti umani post-sovietici in Russia, tra i fondatori e co-presidente del consiglio direttivo del Memorial Human Rights Center, associazione premiata ne (12.06.2025). Il Manifesto (Sabato Angieri): «Putin è imperialista, ma i russi vogliono la fine della guerra» | il manifesto. Vita (Alexander Bayanov): Il Nobel per la pace Orlov: «Sono tanti i russi che non vogliono la guerra, ma non possono dirlo» – Vita.it. L’Europeista (Marco Setaccioli): “In Russia regime fascista, ma la gente ormai vuole solo pace”, intervista al Premio Nobel Oleg Orlov – L’Europeista.

Leggi

#2 | Modalità e strumenti della propaganda russa.

Continuiamo a segnalare materiali che analizzano e aiutano a comprendere meglio le modalità e gli strumenti utilizzati dalla propaganda russa per seminare incertezza, disinformazione e caos anche ben oltre i confini nazionali. Con il protrarsi della guerra i meccanismi con cui si cerca di infiltrare narrazioni propagandistiche e “alternative” sull’invasione dell’Ucraina continuano a funzionare. Sono vari gli strumenti che ne facilitano l’insediamento e la diffusione. Riteniamo dunque importante segnalare documentari, ricerche e articoli che analizzano le narrazioni propagandistiche russe e i tentativi di penetrare il sostrato dell’informazione globale e, in molti casi, italiana. Il sito di LA7 mette a disposizione il documentario di Francesca Mannocchi Lirica ucraina. Dopo mesi in cui questioni economiche e geopolitiche sono state i principali temi del dibattito pubblico, il documentario rimette al centro le principali vittime dell’aggressione russa: la popolazione civile e le città ucraine. Le immagini mostrano testimonianze di chi è costretto a vivere quotidianamente la guerra in prima persona e la distruzione provocata da più di tre anni di bombardamenti sul territorio ucraino: RivediLa7, Lirica Ucraina, francesca Mannocchi. L’Istituto Gino Germani pubblica la ricerca Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane, condotta da Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey. Lo studio è basato su quattro case study con l’obiettivo di discutere i principali fattori storico-politici e culturali che hanno reso la società italiana più permeabile all’influenza della narrazioni strategiche filo-Cremlino e sulla base dei ventotto manuali scolastici analizzati individua le principali narrazioni filorusse: Il paper integrale di Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey su “Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane” – Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici. Matteo Pugliese per Affari Internazionali si concentra sulle operazioni clandestine condotte dal regime russo evidenziando in particolare quelle svolte sul territorio italiano: La campagna di sabotaggi russi in Europa interessa anche l’Italia – Affarinternazionali.

Leggi