Gli ultimi testimoni. Intervista

“Magadan, davanti a noi…” Il trasferimento nella Kolyma.

In virtù della sua posizione geografica, merci e lavoratori, compresi i forzati, potevano raggiungere la Kolyma soltanto via mare. La principale via di comunicazione andava da Vladivostok alla baia di Nagaev. Nel 1945 è stato aperto il porto di Vanino.

———

Semën Ivanovič Kolegaev
Nato nel 1920. Ha partecipato alla Seconda Guerra Mondiale. Fatto prigioniero, è riuscito a scappare. Alla fine della guerra si trovava in Giappone. Arrestatao nel 1947, è stato condannato a 10 anni da scontare in campo di lavoro. Trasferito a Dal’nij (Cina) – Vladivostok – e nella baia di Nagaev nel 1949.

 

Ci hanno portati a Vladivostok con la nave “Stepan Razin”. Sulla nave c’è stata una ribellione, ma non da parte nostra. Noi abbiamo picchiato i criminali. Ci avevano messo nella stiva insieme a quella banda e ci avevano spogliato di tutto. Ci avevano offeso. Ci hanno preso lo zucchero che avevamo conservato per noi. Ci hanno preso tutto. Sulla nave si trovavano anche tre emigrate; una di diciassette anni, una di trentacinque e un’altra, probabilmente, di ventotto o venticinque. Una corda le separava da noi. Da quel lato c’era una guardia armata.

Il bagno era un barile, un bugliolo con una vela appesa per coprirlo. Loro sono andate nel bagno e lì le hanno prese e violentate. Piangevano e imploravano.

La guardia osservava, il caposcorta, non ha preso alcun provvedimento. Non ha preso nessun provvedimento, capisce. Con noi viaggiava un artigliere, un ricognitore aereo, Bulygin, un maggiore. Ci incoraggiava. Noi siamo di più. Loro sono undici. E fuori quanti siamo? Al segnale, prima di colazione, gli saltiamo addosso. Batterli per bene, dargliele. Ed è andata così. Ci siamo scagliati contro di loro, le guardie erano inesperte, erano ragazzini. Nella fretta hanno dimenticato le armi lì in un angolo. Sono schizzati via.

Per farla breve, siamo arrivati a Vladivostok con la nave. Abbiamo visto macchine, soldati, BTR o come diavolo si chiamano. Ci stavano già aspettando. Avevamo provocato una rivolta. Si alza un colonnello, con lui ci sono dei soldati e anche un altro funzionario. “Raccogliete le armi”. Hanno disarmato i soldati che le portavano e li hanno arrestati; noi siamo stati mandati via.

 

Michail Iosifovič Tamarain
Nato nel 1912, è stato arrestato a Mosca quando era ancora studente. Per cinque anni è stato prigioniero nei campi della Kolyma. Arrestato ripetutamente nel 1951, è stato condannato all’esilio a vita nella regione di Krasnojarsk. Trasferito a Mosca – Vladivostok – baia di Nagaev nel dicembre del 1937.

Siamo arrivati, ci hanno portati qui a Vladivos/, fino a Vladivostok, ci hanno sistemato in un’enorme cella di transito.

Un’enorme cella di transito. Oltretutto, in quella cella si trovava molta gente interessante, tra cui uno che chiamavano il morituro, tutto sporco. Sa, era il fratello di Lev Kassil’.

Poi siamo stati caricati e trasferiti, siamo andati a piedi per Vladivostok fino al porto, poi sul, sul piroscafo.

 

Elena-Lidija Pavlovna Postnik
È nata nel 1924. Nel ’42 si trovava nei territori occupati. È stata arrestata nel 1945 e condannata a 15 anni di lavori forzati. Trasferita dal Tajšetlag al porto di Vanino, alla baia di Nagaev nel 1949.

Ci hanno portati nella baia di Vanino. Per qualche motivo, nel nostro ambiente veniva anche chiamato Tiškingrad. Era una spedizione enorme alle rive dello stretto di La Pérouse. E lì abbiamo trascorso tutta l’estate. Tutta l’estate. Ci mandavano solo, sa dove? Ci nutrivano molto bene. Ci si lavava sotto la pioggia, visto che c’erano certi acquazzoni. Eravamo solo donne. Ci si poteva lavare quanto si voleva.

Ci hanno portato a bordo della nave Feliks Dzeržinskij. In realtà si trattava di una nave tedesca con palamiti catturata come trofeo. Naturalmente ci avevano messo nella stiva inferiore.

 

Vitautas Kazjulenis
È nato nel 1930. È stato deportato dalla Lituania all’oblast’ di Tjumen’ insieme ai genitori nel 1947. Ha aderito all’organizzazione “Prisjaga v ssylke” (“Giuramento in esilio”). Nel 1951 è stato arrestato e condannato alla fucilazione. La condanna a morte è stata poi commutata in 25 anni di lager. Ha partecipato alla rivolta di Noril’sk del 1953. Trasferito nella Kolyma nel 1954, è stato liberato dal luogo di detenzione nel 1958.

Ho visto allora per la prima volta un piroscafo, anche se sul Tobol viaggiavano imbarcazioni fluviali, piroscafi.

La stiva era costituita da diversi piani.

Mio Dio, quel piroscafo. Siamo saliti sulla passerella, al quarto, quinto piano. Quella era un’imbarcazione marittima.

 

Nikolaj Alekseevič Prjadilov
Arrestato nel 1943, a sedici anni, è stato condannato 7 anni da scontare in un campo e trasferito nella Kolyma dall’Ozerlag (oblast’ di Irkutsk) nel 1949.

 

Là giravano criminali. Ho anche scritto su questo. Si sono intrufolati attraverso la ventila/ attraverso la ventilazione, i tubi di ventilazione, in un altro scompartimento e hanno portato via i viveri. Anche dalla nostra stiva hanno rubato i viveri. Lo spezzatino, il latte condensato e (ride). Quindi erano dei professionisti, tutti professionisti. Un ladro li ha trovati e li ha rubati.

Ci siamo imbattuti in una tempesta nel mare di Ochotsk, non so a quale livello di forza fosse. Siamo finiti in una tempesta. Metà della nostra stiva era rovesciata.

 

Kazjulenis
Allora, mi ricordo quando è iniziata la tempesta: ti scaraventa fuori dalle cuccette e appena il piroscafo s’impenna ti fa volare da qualche parte. Ed erano pochi quelli che riuscivano a mangiare.

 

Postnik
Per due giorni non siamo riusciti a uscire dallo stretto La Pérouse. Alla fine siamo usciti. Quando abbiamo raggiunto il mare aperto ci hanno detto: “Chi vuole andare a respirare all’aria aperta lo può fare”. Come abbiamo fatto a camminare non lo ricordo. Ci siamo trascinati in coperta. Sono salita in coperta e mi sono sdraiata. Non avevo più forza. Hanno portato la zuppa di verdure e nient’altro. Il cielo sembrava triangolare.

 

Jurij L’vovič Fidel’gol’c
È nato nel 1927. Studente alla scuola di teatro, è stato arrestato nel 1948 con l’accusa di aver formato un’organizzazione antisovietica e condannato a 10 anni da scontare in un campo di lavoro. Trasferito nella Kolyma dall’Ozerlag (oblast’ di Irkutsk) nel 1950.

Stavamo viaggiando già da una settimana e mezzo, forse due. All’inizio il mare era agitato, avevamo già passato lo stretto di La Pérouse. Poi, vicino al porto di Nagaev, proprio quello, sì, il porto di Nagaev, verso Magadan, nel mare di Ochotsk, là sono apparse delle vatruške di ghiaccio, dei banchi di ghiaccio. Perché le chiamavamo vatruške? Forse perché dai bordi somigliavano alle vatruške. Erano colpiti dall’acqua e intorno ai bordi si era formato uno strato di ghiaccio che aveva la forma di una vatruška. Poi si sono saldati insieme, già verso la riva, e hanno formato una superficie unica.

Noi seguivamo una nave che spaccava il ghiaccio.

O.I. – Una rompighiaccio.

F.Ju. – Una rompighiaccio, una rompighiaccio spaccava il ghiaccio e noi seguivamo lungo la strada che aveva tracciato liberandola dal ghiaccio.

 

Kazjulenis
Ecco quello che hanno fatto. Dunque, naturalmente hanno fatto spostare i prigionieri, perché lì c’erano le cuccette. In quelle cuccette hanno trovato delle assi solide e hanno rotto i tubi di ventilazione. Tra loro c’erano dei marinai che conoscevano i piroscafi, il sistema che c’è a bordo. E l’hanno rotto. Di sopra, i soldati hanno visto i prigionieri camminare sul ponte. Loro, attraverso questo… Abbiamo sentito che hanno iniziato a sparare verso l’alto. Non hanno ucciso nessuno perché era di sopra. In breve, quando siamo arrivati a Magadan si diceva che le isole giapponesi non fossero lontane, il mare di Ochotsk e si pensava di usare il piroscafo per arrivare in Giappone, il piroscafo si chiamava “Kulu”. Sì, ecco, quel piroscafo ci ha portato fino alla baia di Nagaev, Magadan.

Abbiamo aggirato le isole giapponesi e tutte le guardie, in borghese, non ci hanno consentito di uscire sul ponte. Stavamo nella stiva, con le pareti di ferro, al gelo, capisce. Era terribile.

Ricordo che il venticinque dicembre ci hanno portati a Magadan, di notte, e ci hanno fatto sbarcare. Sembrava proprio la baia di Nagaev, già.

Al’gerdas Untanas
Nato nel 1929 e arrestato nel 1951 a causa dei suoi legami con i partigiani lituani, è stato condannato a 25 anni di detenzione. È stato trasferito nella Kolyma da Noril’sk nel 1953.

Viaggiavamo su una chiatta e lì hanno iniziato a sparare.

Gli americani avevano violato la zona. Gli aerei sfrecciavano. Sul litorale sembrava che il mare fosse sgombro. La contraerea ha iniziato a rispondere, là era pieno di cannoni della contraerea di confine.

L’aereo non volava alto, però non l’hanno colpito. In seguito, nel cinquantatré, sono state scritte delle note sulla violazione della zona.

Ho visto io stesso che la costa era deserta e quando è apparso l’aereo, solo la scia, hanno iniziato a sparare.

Allora, tutti hanno cominciato a muoversi. Io ho visto un salvagente. Nel caso, potevo farmi strada e nuotare con il salvagente. Si diceva che gli americani ci avrebbero liberati, là. Allora, perché mai sparavano? Ci hanno fatto sbarcare a Magadan, proprio nella miniera.

 

Kolegaev
Oh, cosa non facevano lungo la strada! Ci picchiavano con i bastoni. Provavano le assi. Bastoni di legno così, ecco. Provavano le assi, che non fossero segate, giusto? “Passa sul lato sinistro!”. Mentre ci spostiamo ci becchiamo cinque colpi sul groppone. Terribile. Poi sono venuti a prenderci. C’era una tempesta. Le persone barcollavano e le botti hanno iniziato a rovesciarsi, i secchi. Tutti gli escrementi navigavano nella stiva. La gente era fradicia e soffriva il mal di mare. Io no. Io non barcollavo.

In breve, hanno iniziato a scaricare, ma non uscivano. Hanno gettato una rete e li hanno messi lì. E “issa” e “cala”, alza e abbassa, come dei tronchi d’albero in una macchina, nei cassoni.

Postnik
Così, in qualche modo, il nostro viaggio verso Magadan è durato circa dieci giorni. Siamo arrivati a Magadan, nella baia di Nagaev. Ad aspettarci c’erano degli ufficiali in candidi pelliciotti. Belli, eleganti. E noi, s’immagina?

 

Kazjulenis
Ci sono voluti dieci giorni e dieci notti per portarci fino a Magadan. Una volta sbarcati a Magadan, abbiamo fatto tre chilometri per arrivare al campo. l’avevano preparato apposta per noi. Attendevano ospiti. Probabilmente abbiamo percorso i tre chilometri in tre ore, perché erano già circa seimila chilometri da Krasnojarsk al porto sovietico, poi dieci giorni e dieci notti fino lì. Eravamo tutti deperiti. Camminavamo a malapena. I soldati gridavano.

Tamarin
Quando siamo sbarcati eravamo tutti in abiti civili, il gelo era terribile. Era il venticinque dicembre e molti sono rimasti congelati mentre aspettavano di scendere, soprattutto il naso, le orecchie e alcune dita di mani e piedi. Era terribile.

Nevicava e in alcune zone la neve era alta fino a cinque metri, c’era una bufera, capisce? Ricordo che quella notte è stata terribile. Molti sono stati raccolti e portati in una cella, perché erano congelati. Dalla cella, in fila, sono stati inviati alla miniera, la nostra era la Verchnij At-Urjach. sono stato costretto, insieme ai miei compagni, a sedermi su una macchina scoperta, mentre la guardia in tulup se ne stava al caldo. Per due o tre giorni abbiamo viaggiato verso la miniera. Lungo la strada c’erano dei luoghi appositi per riscaldarsi e ci hanno fatto scendere. Abbiamo detto: “Preferiamo andare a piedi piuttosto che stare seduti in ginocchio a congelare”. Niente. Siamo riusciti, in qualche modo, a raggiungere la miniera. E io ci sono arrivato intero, capisce, non mi si è congelato nulla.

Frammenti utilizzati dalle interviste:
Aleksej Nikolaevič Prjadilov (Mosca)
Vitautas Kazjulenis (Vilnius)
Al’gerdas Untanas (Vilnius)
Michail Iosifovič Tamarin (Mosca)
Elena-Lidija Pavlovna Postnik (Mosca)
Jurij L’vovič Fidel’gol’c (Mosca)
Kolegaev Michail Semënovič (regione di Krasnodar)

Testi:
Alena Kozlova, Irina Ostrovskaja (Memorial – Mosca)

Operatori:
Andrej Kupavskij (Mosca)
Ivan Kupcov (Mosca)
Viktor Griberman (Riga)

Montaggio:
Sebastian Priess (Memorial – Berlino)
Jorg Sander (Sander Websites – Berlino)

Traduzione: Zeno Gambini

Aiutaci a crescere

Condividi su:

Per sostenere Memorial Italia

Leggi anche:

Macerata, 26 marzo 2025. Una testimonianza al femminile sull’universo del GULag e sugli orrori del totalitarismo sovietico.

Mi ricordo il nostro primo pasto. Ricevemmo della minestra bol­lente e ci infilammo da qualche parte per mangiarla. Fummo subito circondate dagli uomini: emaciati, sporchi da far paura dopo aver lavorato in miniera. Una mangiava e decine di occhi la fissavano. Bisognava vederli, quegli occhi: voraci, da lupi. I volti emaciati e que­gli occhi che letteralmente ti divoravano. Davano l’impressione di essere disperati, pronti a strapparci quello che avevamo in mano. Se scostavi qualcosa, una lisca o qualche altra cosa, la afferravano im­mediatamente. Succedeva, specie in quei primi giorni, che rimanesse qualcosa di non commestibile, qualche briciola: la prendevano subi­to. E alla fine leccavano le stoviglie ormai vuote. Era uno spettacolo tremendo. Una non ci aveva ancora fatto l’abitudine. Ti procurava un dolore fisico, assistervi. Mercoledì 26 marzo 2025 alle 17:30 presso la libreria Feltrinelli di Macerata (corso della Repubblica 4/6) si tiene la presentazione del volume La mia vita nel Gulag. Memorie da Vorkuta 1945-1956 di Anna Szyszko-Grzywacz, compreso nella collana Narrare la memoria, curata da Memorial Italia per Edizioni Guerini. L’ingresso è libero. Intervengono le nostre Barbara Grzywacz e Giuseppina Larocca con Luca Bernardini e Marco Severini.

Leggi

25 marzo 2025. Incontro on line. Lettere ai prigionieri politici russi.

Memorial Italia invita a partecipare a un incontro on line nel corso del quale sarà possibile scrivere lettere e messaggi ai prigionieri politici russi. Si svolge sulla piattaforma Zoom martedì 25 marzo alle 19:00. L’incontro è dedicato ad artisti, poeti e intellettuali imprigionati in Russia per le loro posizioni contro la guerra o accusati senza prove di terrorismo. Per partecipare è necessario scrivere una mail all’indirizzo projectpisma at gmail.com. Prima dell’incontro sarà quindi inviato il link per collegarsi. Lettere e messaggi non solo aiutano i prigionieri a sopravvivere alla solitudine, ma sono anche un importante strumento di difesa perché costituiscono una dimostrazione di attenzione da parte dell’opinione pubblica.

Leggi

Varese, 22 marzo 2025. Proiezione del film documentario The Dmitriev Affair.

Sabato 22 marzo alle 21:00 nella Sala Montanari (via dei Bersaglieri 1) a Varese l’associazione Le vie dei venti propone la proiezione del film documentario The Dmitriev Affair, scritto e diretto dalla regista olandese Jessica Gorter e sottotitolato in italiano. Il film è dedicato a Jurij Dmitriev, storico di Memorial Carelia, condannato a quindici anni di reclusione in regime di carcere duro.Intervengono in videoconferenza Jessica Gorter e il nostro vicepresidente Andrea Gullotta. L’ingresso è libero. Per informazioni –> “The Dmitriev Affair” film documentario della pluripremiata regista Jessica Gorter. | Facebook. Jurij Dmitriev è uno storico e attivista, direttore di Memorial Petrozavodsk. Negli anni Novanta scopre un’enorme fossa comune in cui sono sepolte migliaia di vittime del Grande Terrore. Nella radura boschiva di Sandormoch, in Carelia, inaugura un cimitero commemorativo e riesce a raccogliere persone di varie nazionalità intorno a un passato complesso e conflittuale. Da sempre schierato contro il governo della Federazione Russa, nel 2014 Dmitriev condanna apertamente l’invasione della Crimea. Da allora inizia per lui un calvario giudiziario che lo porta a essere condannato a quindici anni di reclusione. Il documentario di Jessica Gorter, realizzato nel 2023, racconta con passione e precisione la sua tragica vicenda. Gabriele Nissim ha letto per Memorial Italia l’ultima dichiarazione di Jurij Dmitriev, pronunciata l’8 luglio 2020, come parte del nostro progetto 30 ottobre. Proteggi le mie parole. Irina Flige, storica collaboratrice di Memorial San Pietroburgo, ha raccontato la storia della radura di Sandormoch nel volume Il caso Sandormoch. La Russia e la persecuzione della memoria, pubblicato da Stilo Editrice e curato dai nostri Andrea Gullotta e Giulia De Florio. Irina Galkova, responsabile del Museo di Memorial a Mosca, ha scritto un lungo resoconto sul caso di Jurij Dmitriev, sul suo processo e sul periodo che trascorre in colonia penale, ma anche sulla storia delle colonie penali della Mordovia, sul nuovo libro sul Dubravlag e l’importanza che la memoria assuma una sostanza materiale: Il Dubravlag di Jurij Dmitriev. Dentro le colonie penali di Mordovia – Memorial Italia.

Leggi