Il lavoro forzato

Nell’elaborare forme di lavoro coatto e limitazione della libertà i bolscevichi dimostrarono grande competenza e inventiva. Così, oltre ai detenuti (che si suddividevano in carcerati, detenuti dei lager speciali, dei campi di lavoro…

La collettivizzazione

La prima grande ondata di deportazioni è legata alla collettivizzazione. Solo nel 1930-31 negli “insediamenti speciali” furono inviate 1.800.000 persone. La deportazione in massa dei “kulaki”…

I processi

Dal processo di Šachty (Mosca 1928) al processo del blocco trockista-zinov’eviano (Leningrado, 1936) Download processi

Vorkuta

Il bacino carbonifero della Vorkuta (repubblica dei Komi) fu sfruttato a partire dal 1932 dall’Uchtpečlag dell’Ogpu. Nel 1952 in questo territorio funzionavano diversi grandi lager: Uchto-Ižemskij, Vorkutinskij, Mineral’nyj, Rečnoj, Pečorskij, Ust’vymskij e Obskij. Il più grande della regione era il Vorkutinskij ITL (1938 – 1960), la cui direzione si trovava nella città di Vorkuta. I detenuti, che raggiunsero le 73.000 unità, erano addetti all’estrazione del carbone. Inoltre costruivano miniere, case, impianti civili e industriali (fra cui una centrale termoelettrica), ferrovie. Dopo la spartizione della Polonia tra la Germania di Hitler e l’Unione Sovietica nel 1939, furono portati al Vorkutlag decine di migliaia di cittadini polacchi. Nel 1940 vi finirono i prigionieri di guerra sovietici liberati dopo la fine della guerra contro la Finlandia, come pure migliaia di Lituani, Lettoni e Estoni, i cui territori erano appena stati annessi all’Unione Sovietica. A partire dalla fine del 1943, vi furono internati prigionieri di guerra e civili tedeschi, così come molti altri stranieri.

La vita nel lager

Il lavoro assorbiva quasi del tutto la vita dei detenuti. Nella maggior parte dei lager il lavoro forzato durava dalle dodici alle quindici ore, a seconda delle stagioni. La vita nelle baracche, dove il termometro scendeva spesso sotto i 30 o i 40°, o al contrario era caldo e umido in modo insopportabile, era tutta segnata dalla lotta per la sopravvivenza: bisognava sopravvivere al freddo soprattutto, alla fame, alle malattie provocate per lo più dalla debilitazione e dalla mancanza d’igiene, alla violenza dei capisquadra reclutati tra i peggiori delinquenti, al controllo dei guardiani e alle angherie dei secondini. Il tempo che restava era impiegato a procurarsi la legna per la stufa, qualcosa in più da mangiare, a parlare con i compagni di sventura, a cercare di tenersi puliti.

Varlam Šalamov

Lo scrittore Varlam Šalamov, anni Sessanta. «La fame attenuava e svigoriva in noi l’invidia, come ogni altro sentimento. Non avevamo la forza di provare sentimenti, o di cercarci un lavoro meno pesante, di brigare, chiedere, pregare… Invidiavamo solo quelli che conoscevamo, con i quali eravamo arrivati quaggiù e che ce l’avevano fatta a trovare una sistemazione in un ufficio, all’ospedale o alla stalla, lontano da quel lavoro fisico pesante e interminabile che veniva celebrato sull’arco sovrastante tutti i cancelli dei lager come “questione di valore ed eroismo”» da «I racconti di Kolyma»