Proteggi le mie parole. A cura di Sergej Bondarenko e Giulia De Florio con prefazione di Marcello Flores (Edizioni E/O, 2022). «Due membri di Memorial (l’associazione insignita nel 2022 del Premio Nobel per la Pace) – Sergej Bondarenko, dell’organizzazione russa, e Giulia De Florio, di Memorial Italia (sorta nel 2004) – ci presentano una testimonianza originale e inedita che getta una luce inquietante, ma anche di grande interesse, sul carattere repressivo dello Stato russo, prima e dopo il 24 febbraio 2022, data d’inizio della guerra d’aggressione all’Ucraina. La raccolta che viene presentata comprende le ‘ultime dichiarazioni’ rese in tribunale da persone accusate di vari e diversi reati, tutti attinenti, però, alla critica del potere e alla richiesta di poter manifestare ed esprimere liberamente le proprie opinioni» L’idea del volume nasce da una semplice constatazione: in Russia, negli ultimi vent’anni, corrispondenti al governo di Vladimir Putin, il numero di processi giudiziari è aumentato in maniera preoccupante e significativa. Artisti, giornalisti, studenti, attivisti (uomini e donne) hanno dovuto affrontare e continuano a subire processi ingiusti o fabbricati ad hoc per aver manifestato idee contrarie a quelle del governo in carica. Tali processi, quasi sempre, sfociano in multe salate o, peggio ancora, in condanne e lunghe detenzioni nelle prigioni e colonie penali sparse nel territorio della Federazione Russa. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è concessa un’“ultima dichiarazione” (poslednee slovo), la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dall’avvocato/a. Molte tra le persone costrette a pronunciare la propria “ultima dichiarazione” l’hanno trasformata in un atto sì processuale, ma ad alto tasso di letterarietà: per qualcuno essa è diventata la denuncia finale dei crimini del governo russo liberticida, per altri la possibilità di spostare la discussione su un piano esistenziale e non soltanto politico. Il volume presenta 25 testi di prigionieri politici, tutti pronunciati tra il 2017 e il 2022. Sono discorsi molto diversi tra loro e sono la testimonianza di una Russia che, ormai chiusa in un velo di oscurantismo e repressione, resiste e lotta, e fa sentire forte l’eco di una parola che vuole rompere il silenzio della violenza di Stato. Traduzioni di Ester Castelli, Luisa Doplicher, Axel Fruxi, Andrea Gullotta, Sara Polidoro, Francesca Stefanelli, Claudia Zonghetti.
Categoria: I libri di Memorial
Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space.
Queer Transnationalities. Towards a History of LGBTQ+ Rights in the Post-Soviet Space. A cura di Simone Attilio Bellezza e Elena Dundovich (Pisa University Press, 2023). Il volume è disponibile gratuitamente in versione e-book. With the end of Soviet persecutions in 1991, LGBTQ+ communities have experienced a period of development even though post-Soviet societies have only partially shown greater tolerance toward sexual and gender minorities. The transnational interaction between Western activism and post-Soviet communities has led to the emergence of new feelings of gender, sexual, and national belonging. This volume presents research by experts in queer studies who study how the struggle for sexual and gender minority rights has intersected with the construction of political, social, and cultural belongings over the past three decades.
Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov
Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov con introduzione di Marcello Flores (Guerini e Associati, 2023). Che cosa significa tenere di nascosto un diario in un campo di lavoro dove tutti i giorni vieni perquisito e vivi sotto la costante minaccia di ricatti e punizioni esemplari? Quale incoercibile determinazione può spingerti a registrare nella scrittura questa esperienza e a cercare di diffondere la tua testimonianza al di là del filo spinato? È quanto si chiede Eduard Kuznecov in questi diari fatti uscire clandestinamente dal lager speciale n. 10 in Mordovia e miracolosamente giunti nelle mani di Sacharov. Una coraggiosa prova di resistenza morale e una potente testimonianza sulle degradanti e inumane condizioni di vita dei prigionieri e insieme una lucida denuncia dei mali che minano il sistema giudiziario sovietico e dei meccanismi che regolano uno Stato totalitario; uno Stato “il cui passato, presente e futuro si reggono sul sangue, la menzogna e l’insensibilità e di fronte al cui volto da incubo l’uomo non è nulla”. Pagine scritte tra il 1970 e il 1971, ma di drammatica attualità che ci ricordano come il potere anche nella Russia di oggi continui a ricorrere agli stessi metodi manipolativi e a servirsi degli stessi strumenti coercitivi nei confronti dei suoi nuovi oppositori. Eduard Kuznecov, scrittore e giornalista dissidente, nasce a Mosca nel 1939. Nel 1961 è arrestato per la prima volta e condannato a sette anni di reclusione per propaganda antisovietica. Nel 1970 viene processato, per aver tentato, insieme a un gruppo di ebrei russi dissidenti, di dirottare un aereo verso Israele e condannato alla pena di morte; pena che gli viene commutata, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, in quindici anni di reclusione in un campo di lavoro a regime speciale in Mordovia. All’inizio degli anni Settanta i suoi diari, usciti clandestinamente dalla Russia, vengono pubblicati in Occidente. Nel 1979 viene rilasciato ed emigra in Israele dove vive attualmente. Tra il 1983 e il 1990 collabora con Radio Liberty. Nel 1992 è tra i fondatori del quotidiano in lingua russa vesti. Nel 2016 la figlia, Anat Zalmason-Kuznecov, ha diretto un documentario sulla storia dei suoi genitori dal titolo Operation Wedding. Recensioni Mai mollare. Eduard Samoilovič Kuznecov, o dell’ostinazione come virtù di David Bidussa in “Gli Stati generali”, 15 novembre 2023. I diari di Kuznecov in un lager dell’Urss: “scrivo solo per conservare il mio volto” di Elena Freda Piredda in “ilSussidiario.net”, 11 gennaio 2024. I diari di Eduard Kuznecov: la scrittura nei lager sovietici di Simone Campanozzi in “Giornalismo e Storia”, 3 febbraio 2024. Eduard Samuilovič Kuznecov – Parole trafugate di Giulia Baselica in “L’indice dei libri del mese”, 19 luglio 2024.
Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin
Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin con prefazione di Irina Ščerbakova e traduzione di Elena Freda Piredda (Guerini e Associati, 2022). Le memorie di Nikulin sono un resoconto crudo e onesto non soltanto della vita al fronte, dove gli uomini si imbarbariscono, perdono i propri capisaldi morali e rischiano di trasformarsi in bestie, ma anche degli effetti devastanti che la guerra ha, persino dopo anni, su coloro che l’hanno vissuta. La testimonianza di Nikulin, che l’autore stesso definisce la confessione di un ragazzo terribilmente spaventato, rivela uno sguardo puro sulla realtà che permette alle sue memorie di rompere il muro di menzogne della propaganda riguardo alla guerra. Fino alla fine della sua esistenza proverà un senso di colpa per essere sopravvissuto a quei terribili avvenimenti, ne sarà tormentato, non riuscendo a sfuggire ai ricordi del fango, del sangue e delle pile di cadaveri. Pur temendone le conseguenze, sentirà dunque la necessità di trasferire su carta questi ricordi, dando una testimonianza sincera e senza fronzoli, che ricostruisca quanto più possibile una memoria veritiera degli avvenimenti bellici. Leggere oggi le pagine di Nikulin, tragicamente attuali, non può che convincerci di quanto la guerra, in ogni sua forma, sia un’assurda follia. Nato nel 1923 da una famiglia dell’intelligencija, Nikolaj Nikulin trascorre la sua infanzia a Leningrado, dalla quale parte volontario per il fronte allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Partecipa in prima linea ad alcune fra le più sanguinose battaglie per la liberazione di Leningrado, venendo ferito per quattro volte e ritrovandosi poi, nel 1945, fra le truppe che conquistano Berlino. Tornato a casa alla fine della guerra, si iscrive all’Università di Leningrado e inizia, qualche anno dopo, a lavorare come guida all’Ermitage, un luogo a cui rimane legato per tutta la vita. Si specializza nell’arte dell’Europa occidentale e diventa uno dei più importanti curatori delle collezioni di pittura olandese e tedesca del museo, associando alla sua attività l’insegnamento all’Istituto Repin dell’Accademia di Belle Arti. Muore nel 2009, dopo aver fatto in tempo ad assistere al successo letterario delle sue Memorie di guerra, raccolte nel 1975 e lasciate nel cassetto per circa trent’anni. Recensioni La guerra reale nelle memorie di Leningrado di Gianni Santamaria in “Avvenire”, 27 novembre 2022. Leggere la guerra (non solo ucraina) in “Atlante guerre”, 10 novembre 2022. Dispacci letterari dall’Unione Sovietica: 3 libri da leggere e regalare a Natale di Michele Lupo in “Solo libri”, 12 dicembre 2022.
Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber
Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber con curatela e traduzione di Francesca Gori (Guerini e Associati, 2022). Quasi tre anni è una testimonianza in presa diretta dei novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Vera Inber resta al centro degli avvenimenti e partecipando attivamente alle vicende della città con l’intento sincero di narrare e documentare, nel modo più oggettivo possibile, quella pagina cruciale della storia sovietica. Nel diario assegna uno spazio rilevante alla sua fede ideologica, trasfigurando eroicamente la resistenza della città ed esaltando lo sforzo quasi sovrumano degli abitanti di Leningrado, fino a dar forma a una vera e propria epica dell’assedio. Pur utilizzando un linguaggio propagandistico tipico dell’epoca, offre al lettore una descrizione fedele e dettagliata della realtà, al punto che il suo sentimento e la sua fede politica appaiono sempre sinceri. Nel panorama culturale e politico sovietico Vera Inber, con le liriche e le prose scritte nel periodo della guerra, fornisce un contributo determinante all’elaborazione di quello che la storica Lisa Kirschenbaum definisce “mito dell’assedio”. Vera Inber nasce a Odessa nel 1890 in una famiglia della borghesia ebraica. Il padre Moisej Špencer, proprietario di un’importante tipografia, era cugino di Lev Trockij, che visse a casa loro dal 1889 al 1895. Questo legame di parentela susciterà la diffidenza del potere sovietico nei confronti dell’autrice, considerandola sempre una potenziale oppositrice e mettendo a repentaglio la sua stessa vita. A Odessa frequenta la facoltà di Storia e Letteratura. Nei primi anni Venti si stabilisce a Mosca. Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1941, si trasferisce a Leningrado con il terzo marito, l’accademico Il’ja Strašun, medico igienista nominato direttore dell’Ospedale Erisman. Durante l’assedio lavora alla TASS e collabora con Radio Leningrado. Dai microfoni della radio, per incoraggiare e sostenere i leningradesi costretti a patire terribili privazioni e traumi quotidiani, declama le sue poesie dove celebra l’eroica resistenza della città sotto assedio. Appartengono a questo periodo le sue due opere più rilevanti: il poema Pulkovskij meridian (Il Meridiano di Pulkovo) e il diario Počti tri goda. Leningradskij dnevnik (Quasi tre anni. Il diario di Leningrado) che nel 1946 fu insignito del Premio Stalin. Al termine della guerra torna a Mosca dove continua la sua opera di scrittrice e traduttrice. Qui muore nel 1972 e viene sepolta nel cimitero di Vvedenskoe. Recensioni Quel mito guerriero che è il collante dell’identità russa di Matteo Sacchi in “Il Giornale”, 15 maggio 2022. Leningrado 1941-1944: diario da una città sotto assedio di Simone Campanozzi in “Giornalismo e storia”, 11 luglio 2022. Quasi tre anni. Cronaca di una città sotto assedio in “Archivio Storico”, 4 agosto 2022.
La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Aleksej Losev e Valentina Loseva
La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Sergej Losev e Valentina Loseva con postfazione di Elena Takho-Godi e traduzione di Giorgia Rimondi (Guerini e Associati, 2021). Le lettere di Aleksej e Valentina descrivono il percorso discendente nell’inferno della realtà del gulag, in un universo ritmato dai trasferimenti e dagli incessanti tentativi di ottenere una revisione della pena. Nelle profondità di questo inferno risuonano, come due melodie, due voci che ne formano una, unite dal ricordo di quel “mare di amore e tenerezza” mantenuto vivo da una comunicazione che, nonostante la distanza, sembra non essersi mai interrotta. Due voci che, attraverso la scrittura, ultimo conforto e salvezza dalla miseria umana e spirituale del campo, ci restituiscono il “dialogo spirituale” tra Aleksej, filosofo, e Valentina, scienziata. Nel carteggio si delinea così la situazione esistenziale dell’intellettuale, privato, oltre che della libertà, della sua fondamentale attività creativa, e allo stesso tempo si staglia vivida una preziosa testimonianza della vita quotidiana nei gulag sovietici. Uno scorcio su un capitolo drammatico della storia attraverso i pensieri e le riflessioni dell’”ultimo filosofo russo dell’età d’argento”. Aleksej Fëdorovič Losev (1893-1988) è una delle principali figure del pensiero filosofico e religioso russo del XX secolo, la cui vicenda intellettuale e umana è fortemente segnata dal clima di repressione del regime sovietico. Studioso dagli interessi eclettici – che includono filosofia, filologia, teologia, estetica, matematica e musica –, il pensiero di Losev risente dell’influsso della filosofia occidentale, nonché della tradizione cristiana ortodossa. Tra 1927 e 1930 pubblica una serie di opere filosofiche, ma ben presto la sua attività sarà bruscamente interrotta dall’arresto (1930) e dalla condanna a dieci anni, da scontare in un gulag della regione di Leningrado. Alcuni mesi dopo anche la moglie, l’astronoma Valentina Michajlovna Loseva (1898-1954), verrà deportata in Siberia. Liberato per sopraggiunta invalidità, Losev potrà fare ritorno a Mosca solo nel 1933, tuttavia gli verrà proibito di occuparsi di filosofia; si dedicherà quindi principalmente all’estetica e al mondo classico, ma per vedere pubblicate le prime opere di quegli anni si dovrà attendere la morte di Stalin. A partire dalla riabilitazione nel 1994, le sue opere verranno riscoperte in Russia e all’estero. Recensioni Lettere dal Gulag: gioia e inferno per Losev di Simone Campinozzi in “Giornalismo e storia”. La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Maurizio Schoepflin in “Il Foglio”, 22 dicembre 2021. Gioia per l’eternità: le lettere di Losev dal Gulag di Giuseppina Larocca in “Il sussidiario.net”, 10 gennaio 2022. La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 15 novembre 2022. A. Losev, V. Loseva, La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag (1931-1933) di Donatella Di Leo in “Studi Slavistici”, XX, 2023 (1), pp. 216-218.
L’arte in rivolta. Pietrogrado 1917 di Nikolaj Punin
L’arte in rivolta. Pietrogrado 1917 di Nikolaj Punin con curatela e traduzione di Nadia Cicognini (Guerini e Associati, 2020). Le memorie di Nikolaj Punin, che si focalizzano sul 1917, anno cruciale per le sorti individuali e collettive in Russia, ripercorrono gli anni irrequieti e turbinosi delle avanguardie artistiche attraverso i vividi ritratti di alcuni dei suoi protagonisti come Chlebnikov, Majakovskij, Larionov, Malevič e Tatlin. Coinvolto in prima persona nell’organizzazione della vita artistica di Pietrogrado, Punin ricostruisce gli eventi storici e politici di cui è diretto testimone, alternando intensi flashback autobiografici e resoconti di cronaca politica, articoli di giornali e documenti ufficiali a brillanti descrizioni della vita quotidiana e riflessioni sull’estetica, l’arte e la filosofia. Dal 1914 frequenta assiduamente l’”Appartamento n. 5″, dove vive il pittore Lev Bruni, conservatore dell’Accademia di Belle Arti, con il quale costruisce un profondo sodalizio. L’aria dell’”Appartamento n. 5″ è letteralmente impregnata di idee rivoluzionarie. Questi fermenti innovatori, la libertà nella sperimentazione e l’affermazione del valore rivoluzionario della creazione artistica saranno determinanti nella formazione di Punin come teorico della nuova arte. Nell’appartamento, ubicato nella sede dell’Accademia, s’incontra il fiore dell’intelligencija artistica della capitale; qui, tra appassionate dispute teoriche, si va formando l’arte delle avanguardie e si vanno delineando i nuovi fondamenti estetici che Punin avrebbe difeso con rigore nella sua parabola esistenziale e intellettuale e nella sua produzione. Nikolaj Punin (1888-1953), è stato un critico, teorico e storico dell’arte, figura chiave della vita culturale della Russia pre- e postrivoluzionaria. Dopo aver frequentato il liceo di Carskoe Selo, si laurea in storia dell’arte all’Università di Pietroburgo nel 1914, ma già nel 1913, ancora studente, viene invitato a collaborare con il Reparto antichità cristiane del Museo russo ed esordisce sulla prestigiosa rivista Apollon, diretta da S. Makovskij, il primo a scoprire il suo brillante talento. Da quel momento comincia a pubblicare una fitta serie di articoli e saggi che spaziano dalla pittura russa antica alla grafica giapponese all’arte europea. Nel 1917 aderisce al cosiddetto “fronte di sinistra” degli artisti che si batte contro la componente reazionaria e conservatrice del mondo artistico per l’affermazione dei fondamenti della nuova arte. Nel 1918 viene nominato da Lunačarskij responsabile del Dipartimento delle arti figurative e commissario del Museo Russo e dell’Ermitage e si dedica con passione all’attività museale e all’insegnamento, partecipando attivamente alla vita pubblica, ma già alla fine degli anni Venti i suoi lavori vengono sottoposti a censura. Dagli anni Quaranta s’intensificano le accuse di formalismo contro la sua persona e Punin diviene oggetto di una violenta campagna persecutoria. Nel 1949 è internato in un lager nei pressi di Vorkuta dove trova la morte nel 1953. La rivoluzione aveva chiuso così i conti con uno dei suoi intellettuali più eruditi e raffinati. Recensioni Cronache letterarie anni Venti, dalle memorie avanguardiste di Nikolaij Punin di Stefano Garzonio in “Il Manifesto”. N. Punin, L’arte in rivolta. Pietrogrado 1917 di Valentina Parisi in “AvtobiografiJA”, 9/2020).
Leningrado. Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg
Leningrado. Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg con curatela e traduzione di Francesca Gori (Guerini e Associati, 2019). Le Memorie di un assedio di Lidija Ginzburg offrono al lettore una straordinaria testimonianza sui novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Quello della Ginzburg non è solo un diario, ma anche una riflessione filosofica sul comportamento dell’individuo costretto a misurarsi con una condizione estrema. Protagonista della narrazione è un intellettuale denominato N, quasi un alter ego maschile della stessa autrice. N diventa il simbolo della resilienza e della forza vitale dell’individuo che lotta quotidianamente per preservare la propria dignità, la libertà di pensiero e il diritto a esistere malgrado la degradazione e la sofferenza disumanizzante, tipiche della condizione degli assediati. La Leningrado in cui vive N è una città trasfigurata dalla guerra e dall’assedio, isolata, attanagliata dal gelo e dalla fame, un luogo di devastazione e di morte, dove la vita quotidiana scorre in circolo e tutte le azioni sono finalizzate alla sopravvivenza. Ma al tempo stesso il legame con Leningrado è indissolubile e la città sopravvive grazie alla resistenza dei suoi abitanti. Lidija Ginzburg nasce il 18 marzo 1902 a Odessa, in una famiglia della intelligencija ebraica. Nel 1917, in quanto erede degli ideali social-liberali di quel contesto culturale, è travolta con i suoi compagni di studio dal clima di fervore culturale e ideologico della rivoluzione. Nel 1922 si trasferisce a Leningrado dove si iscrive all’Istituto di Storia dell’Arte che frequenta fino a quando questo viene chiuso dalle autorità nel 1930. Tiene seminari sulla poesia russa del diciannovesimo e ventesimo secolo, oggetto della sua ricerca e delle sue prime pubblicazioni. Negli anni Venti partecipa attivamente al dibattito culturale sulle nuove teorie e correnti letterarie, entrando a far parte di quella cerchia di giovani formalisti indipendenti – Viktor Šklovskij, Jurij Tynjanov e Boris Ejchenbaum – che lei definiva di “innocente opposizione” ai dogmi dell’Accademia. Negli anni del regime staliniano fu oggetto di violenti attacchi da parte dei teorici della letteratura sovietica e perseguitata per la sua origine ebraica. Durante l’assedio riuscì a sopravvivere grazie a un modesto impiego nel leggendario Comitato della Radio di Leningrado. Solo alla fine degli anni Ottanta, con l’avvento della perestrojka, la Ginzburg pubblica i suoi saggi e il suo diario che aveva cominciato a scrivere negli anni Venti. Fra questi l’importante saggio La prosa psicologica e Lo scrittore al tavolino di lavoro. Rimase a Leningrado fino alla sua morte nel 1990, sempre partecipe dell’attività intellettuale e dei fenomeni culturali della città. Recensioni Vivere a Leningrado nei giorni della fame di Alessandro Zaccuri in “Avvenire”, 3 settembre 2019 [PDF].
Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin
Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin con traduzione, curatela e postfazione di Patrizia Deotto (Guerini e Associati, 2018). Saška e Kol’ka Kuz’min si assomigliano come due gocce d’acqua e approfittano della loro somiglianza per prendersi gioco di tutti. Il fine delle loro invenzioni è sempre lo stesso: il bisogno perenne di placare i morsi della fame. Il trasferimento dallo squallido orfanotrofio della periferia di Mosca nella terra fertile del Caucaso si prospetta agli occhi dei due ragazzini come un viaggio in una terra meravigliosa, zeppa di stanze del pane dove mangiare a sazietà. Tuttavia la terra promessa rivela ben presto il suo lato oscuro. Tutto è coperto di fiori nel Caucaso, ma in giro non si vede nessuno, regna un silenzio profondo, interrotto di tanto in tanto dall’eco di spari e di esplosioni. I gemelli Kuz’min, inconsapevoli usurpatori di terre altrui, si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende conseguenti alla deportazione forzata dei ceceni accusati di tradimento e collaborazionismo con il nemico, qui raffigurata in tutta la sua drammaticità. Alla descrizione dei luttuosi e complessi eventi, individuali e sociali, legati agli anni della Seconda Guerra Mondiale, viene contrapposta la rappresentazione del mondo radioso creato dalla propaganda sovietica, dove risuonano i canti patriottici e celebrativi dedicati al compagno Stalin e le canzoni riprese dalle commedie musicali in voga, che i due gemelli, insieme ai loro coetanei, cantano a squarciagola. Il contrasto tra il mondo scintillante e luminoso, promosso dalla propaganda staliniana, e le condizioni di vita reali dei due Kuz’min e degli altri orfani, trattati con indifferenza, salvo rare eccezioni, e considerati semplici pedine da utilizzare per la realizzazione di progetti inimmaginabili, disorienta e lascia sconcertati. Attraverso le dolorose esperienze che segnano i piccoli protagonisti del romanzo, Pristavkin invita a riflettere sull’insensatezza della guerra e della violenza e sull’importanza del confronto e del dialogo per una coesistenza pacifica tra i popoli. Anatolij Ignat’evič Pristavkin (1931-2008) nasce a Mosca nel 1931. Nel 1941 perde entrambi i genitori e trascorre gli anni della guerra in orfanotrofio. A quattordici anni lavora in una fabbrica di conserve nel Caucaso. Rientrato a Mosca, nel 1946, consegue il diploma di tecnico aeronautico alla scuola serale e nel 1959 si laurea all’Istituto di letteratura Gor’kij. Esordisce nella narrativa nel 1958 con il ciclo di racconti L’infanzia difficile, accolto favorevolmente dalla critica. Segue una ricca produzione letteraria, ma il vero successo arriva con la pubblicazione nel 1987 del romanzo Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso (titolo originale Nočevala tučka zolotaja), dove Pristavkin, prendendo spunto da un’esperienza autobiografica, ricostruisce la tragedia della guerra attraverso gli occhi dei suoi due piccoli protagonisti, che si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende della deportazione dei ceceni, vittime delle repressioni staliniane. Nel 1988 lo scrittore è insignito del Premio Statale dell’URSS e il romanzo viene tradotto in trenta lingue. Nello stesso anno pubblica il romanzo I piccoli del cuculo, dedicato al tragico destino degli orfani nel periodo della guerra, e ottiene nel 1991 il Premio Nazionale Tedesco della letteratura per l’infanzia. Nel 1989 organizza Aprel’, la corrente indipendente degli scrittori moscoviti, curandone anche la rivista. Dal 1992 al 2001 dirige la Commissione di Grazia e Giustizia, che si è battuta contro la pena di morte ed è riuscita a far commutare in ergastolo quasi tredicimila condanne a morte. Nel 2008, pochi mesi prima di morire, riesce a portare a termine il romanzo Il re Monpas’e Marmelažka Primo. Recensioni A. Pristavkin, Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Giulia De Florio in “AvtobiografiJA”, 7/2018, pp. 251-257. Due bambini nella Russia di Stalin. Inseparabili di Anatolij Pristavkin di Giordano Balecchi in “Sul romanzo”, 7 settembre 2018. Pristavkin. Difensore degli ultimi di Riccardo Michelucci in “Avvenire”, 10 novembre 2018. Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 21 febbraio 2019.
Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine di Oksana Kis’
Sopravvivere nel Gulag. La resistenza quotidiana delle prigioniere ucraine di Oksana Kis’ con traduzione e curatela di Simone Attilio Bellezza e Iryna Kashchey (Viella Editrice, 2024). Centinaia di migliaia di donne ucraine furono condannate al Gulag negli anni Quaranta e Cinquanta. Solo la metà di loro sopravvisse. Oksana Kis’ ha prodotto il primo studio sulla vita quotidiana delle prigioniere politiche ucraine nei campi sovietici. Basato su memorie scritte, autobiografie e storie orali di oltre 150 sopravvissute, il volume descrive la resistenza delle donne alla brutalità delle condizioni dei campi, che si facevano forza non solo attraverso la conservazione dei costumi e delle tradizioni, ma anche superando spesso le differenze regionali e confessionali. Questo libro costituisce un unicum nella storiografia sull’argomento, perché affronta direttamente e per la prima volta la questione di genere nei Gulag, e lo fa tramite l’ottica particolare della storia orale e della specificità nazionale ucraina. Si rivela una lettura fondamentale per conoscere, sempre in una prospettiva di genere, le strategie di sopravvivenza, adattamento e resistenza agli effetti disumanizzanti del Gulag. Oksana Kis’ è una storica e antropologa che si occupa di storia delle donne, antropologia femminista, storia orale e trasformazioni di genere nei paesi post-socialisti. È ricercatrice senior presso l’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina e presidente dell’Associazione ucraina per la ricerca sulla storia delle donne.