Aperti procedimenti amministrativi contro Sergej Davidis e Svetlana Gannuškina

Nei giorni scorsi sono stati avviati procedimenti amministrativi contro Sergej Davidis, attuale presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, e Svetlana Gannuškina, storica attivista tra i fondatori del Centro. Il 19 agosto si è appreso che il Roskomnadzor, Servizio per la supervisione delle comunicazioni, della tecnologia dell’informazione e dei mass media della Federazione Russa, ha formalizzato un’accusa per violazione delle regole di marcatura in quanto “agente straniero” (art. 5, c. 19.34 del Codice amministrativo) contro Sergej Davidis, attuale presidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. L’elenco delle violazioni comprende otto post sul canale Telegram personale di Davidis, tra i quali le foto pubblicate da Davidis della mezza maratona di Vilnius cui aveva recentemente partecipato e alcune fotografie scattate a Ginevra. Il Roskomnadzor fa riferimento anche al Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, già incluso nel registro degli “agenti stranieri”. A conferma delle attività di Davidis in veste di socio del Centro Memorial il Roskomnadzor cita tre post del suo canale Telegram, tutti repost dal canale Telegram del Centro Memorial. La seconda pagina dell’atto contiene un errore. Il Roskomnadzor afferma che i post Telegram di Davidis sono stati “prodotti, diffusi e/o inviati da un socio di Radužnaja Associacija (Associazione Arcobaleno)”, inclusa anch’essa nel registro degli “agenti stranieri”. Tuttavia Sergej Davidis non è un socio di questa associazione. Il processo è previsto per il 3 settembre. In base all’articolo che gli viene contestato Sergej Davidis rischia una multa da 10.000 a 30.000 rubli. Il 14 agosto E.B. Ponomarëv, sostituto procuratore del tribunale interdistrettuale Basmannyj di Mosca, ha formalizzato l’apertura di un procedimento amministrativo a carico di Svetlana Gannuškina, tra i fondatori del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial. Ponomarëv ha rinvenuto un illecito nel fatto che, nella corrispondenza con Tat’jana Moskal’kova, commissaria per i diritti umani della Federazione Russa, Gannuškina non ha indicato il suo status di “agente straniero”. Svetlana Gannuškina aveva inviato sull’e-mail personale di Moskal’kova le informazioni di cui disponeva il Centro Memorial sul caso della ventitreenne inguscia Lejla Gatagaževa, chiedendo di vagliare con attenzione il caso della giovane madre accusata di “partecipazione a organizzazione terroristica”, nonostante la donna avesse già scontato una condanna a cinque anni di reclusione in Iraq in base a un’accusa analoga. 21 agosto 2024.

In ricordo di Michela Venditti

15 agosto 2024 La notte scorsa è mancata Michela Venditti, professoressa di letteratura russa all’Università di Napoli L’Orientale e socia di Memorial Italia. Esprimiamo la nostra vicinanza ai suoi cari e ci uniamo al dolore di colleghi, studenti e di chi ha avuto la fortuna di conoscerla. Con discrezione, serietà e spirito di servizio Michela ha lavorato per Memorial Italia condividendone ideali e valori. Il suo esempio nell’associazione così come la sua professionalità nella ricerca e nell’insegnamento restano un segno tangibile che porteremo sempre con noi per conservarne il ricordo.

Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov

Parole trafugate. Diari clandestini dalla Russia (1970-1971) di Eduard Kuznecov con introduzione di Marcello Flores (Guerini e Associati, 2023). Che cosa significa tenere di nascosto un diario in un campo di lavoro dove tutti i giorni vieni perquisito e vivi sotto la costante minaccia di ricatti e punizioni esemplari? Quale incoercibile determinazione può spingerti a registrare nella scrittura questa esperienza e a cercare di diffondere la tua testimonianza al di là del filo spinato? È quanto si chiede Eduard Kuznecov in questi diari fatti uscire clandestinamente dal lager speciale n. 10 in Mordovia e miracolosamente giunti nelle mani di Sacharov. Una coraggiosa prova di resistenza morale e una potente testimonianza sulle degradanti e inumane condizioni di vita dei prigionieri e insieme una lucida denuncia dei mali che minano il sistema giudiziario sovietico e dei meccanismi che regolano uno Stato totalitario; uno Stato “il cui passato, presente e futuro si reggono sul sangue, la menzogna e l’insensibilità e di fronte al cui volto da incubo l’uomo non è nulla”. Pagine scritte tra il 1970 e il 1971, ma di drammatica attualità che ci ricordano come il potere anche nella Russia di oggi continui a ricorrere agli stessi metodi manipolativi e a servirsi degli stessi strumenti coercitivi nei confronti dei suoi nuovi oppositori. Eduard Kuznecov, scrittore e giornalista dissidente, nasce a Mosca nel 1939. Nel 1961 è arrestato per la prima volta e condannato a sette anni di reclusione per propaganda antisovietica. Nel 1970 viene processato, per aver tentato, insieme a un gruppo di ebrei russi dissidenti, di dirottare un aereo verso Israele e condannato alla pena di morte; pena che gli viene commutata, grazie alla pressione dell’opinione pubblica internazionale, in quindici anni di reclusione in un campo di lavoro a regime speciale in Mordovia. All’inizio degli anni Settanta i suoi diari, usciti clandestinamente dalla Russia, vengono pubblicati in Occidente. Nel 1979 viene rilasciato ed emigra in Israele dove vive attualmente. Tra il 1983 e il 1990 collabora con Radio Liberty. Nel 1992 è tra i fondatori del quotidiano in lingua russa vesti. Nel 2016 la figlia, Anat Zalmason-Kuznecov, ha diretto un documentario sulla storia dei suoi genitori dal titolo Operation Wedding. Recensioni Mai mollare. Eduard Samoilovič Kuznecov, o dell’ostinazione come virtù di David Bidussa in “Gli Stati generali”, 15 novembre 2023. I diari di Kuznecov in un lager dell’Urss: “scrivo solo per conservare il mio volto” di Elena Freda Piredda in “ilSussidiario.net”, 11 gennaio 2024. I diari di Eduard Kuznecov: la scrittura nei lager sovietici di Simone Campanozzi in “Giornalismo e Storia”, 3 febbraio 2024. Eduard Samuilovič Kuznecov – Parole trafugate di Giulia Baselica in “L’indice dei libri del mese”, 19 luglio 2024. 

Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin

Memorie di guerra. Leningrado (1941-1945) di Nikolaj Nikulin con prefazione di Irina Ščerbakova e traduzione di Elena Freda Piredda (Guerini e Associati, 2022). Le memorie di Nikulin sono un resoconto crudo e onesto non soltanto della vita al fronte, dove gli uomini si imbarbariscono, perdono i propri capisaldi morali e rischiano di trasformarsi in bestie, ma anche degli effetti devastanti che la guerra ha, persino dopo anni, su coloro che l’hanno vissuta. La testimonianza di Nikulin, che l’autore stesso definisce la confessione di un ragazzo terribilmente spaventato, rivela uno sguardo puro sulla realtà che permette alle sue memorie di rompere il muro di menzogne della propaganda riguardo alla guerra. Fino alla fine della sua esistenza proverà un senso di colpa per essere sopravvissuto a quei terribili avvenimenti, ne sarà tormentato, non riuscendo a sfuggire ai ricordi del fango, del sangue e delle pile di cadaveri. Pur temendone le conseguenze, sentirà dunque la necessità di trasferire su carta questi ricordi, dando una testimonianza sincera e senza fronzoli, che ricostruisca quanto più possibile una memoria veritiera degli avvenimenti bellici. Leggere oggi le pagine di Nikulin, tragicamente attuali, non può che convincerci di quanto la guerra, in ogni sua forma, sia un’assurda follia. Nato nel 1923 da una famiglia dell’intelligencija, Nikolaj Nikulin trascorre la sua infanzia a Leningrado, dalla quale parte volontario per il fronte allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Partecipa in prima linea ad alcune fra le più sanguinose battaglie per la liberazione di Leningrado, venendo ferito per quattro volte e ritrovandosi poi, nel 1945, fra le truppe che conquistano Berlino. Tornato a casa alla fine della guerra, si iscrive all’Università di Leningrado e inizia, qualche anno dopo, a lavorare come guida all’Ermitage, un luogo a cui rimane legato per tutta la vita. Si specializza nell’arte dell’Europa occidentale e diventa uno dei più importanti curatori delle collezioni di pittura olandese e tedesca del museo, associando alla sua attività l’insegnamento all’Istituto Repin dell’Accademia di Belle Arti. Muore nel 2009, dopo aver fatto in tempo ad assistere al successo letterario delle sue Memorie di guerra, raccolte nel 1975 e lasciate nel cassetto per circa trent’anni. Recensioni La guerra reale nelle memorie di Leningrado di Gianni Santamaria in “Avvenire”, 27 novembre 2022. Leggere la guerra (non solo ucraina) in “Atlante guerre”, 10 novembre 2022. Dispacci letterari dall’Unione Sovietica: 3 libri da leggere e regalare a Natale di Michele Lupo in “Solo libri”, 12 dicembre 2022.

Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber

Quasi tre anni. Leningrado. Cronaca di una città sotto assedio di Vera Inber con curatela e traduzione di Francesca Gori (Guerini e Associati, 2022). Quasi tre anni è una testimonianza in presa diretta dei novecento giorni dell’assedio di Leningrado. Vera Inber resta al centro degli avvenimenti e partecipando attivamente alle vicende della città con l’intento sincero di narrare e documentare, nel modo più oggettivo possibile, quella pagina cruciale della storia sovietica. Nel diario assegna uno spazio rilevante alla sua fede ideologica, trasfigurando eroicamente la resistenza della città ed esaltando lo sforzo quasi sovrumano degli abitanti di Leningrado, fino a dar forma a una vera e propria epica dell’assedio. Pur utilizzando un linguaggio propagandistico tipico dell’epoca, offre al lettore una descrizione fedele e dettagliata della realtà, al punto che il suo sentimento e la sua fede politica appaiono sempre sinceri. Nel panorama culturale e politico sovietico Vera Inber, con le liriche e le prose scritte nel periodo della guerra, fornisce un contributo determinante all’elaborazione di quello che la storica Lisa Kirschenbaum definisce “mito dell’assedio”. Vera Inber nasce a Odessa nel 1890 in una famiglia della borghesia ebraica. Il padre Moisej Špencer, proprietario di un’importante tipografia, era cugino di Lev Trockij, che visse a casa loro dal 1889 al 1895. Questo legame di parentela susciterà la diffidenza del potere sovietico nei confronti dell’autrice, considerandola sempre una potenziale oppositrice e mettendo a repentaglio la sua stessa vita. A Odessa frequenta la facoltà di Storia e Letteratura. Nei primi anni Venti si stabilisce a Mosca. Durante la Seconda guerra mondiale, nel 1941, si trasferisce a Leningrado con il terzo marito, l’accademico Il’ja Strašun, medico igienista nominato direttore dell’Ospedale Erisman. Durante l’assedio lavora alla TASS e collabora con Radio Leningrado. Dai microfoni della radio, per incoraggiare e sostenere i leningradesi costretti a patire terribili privazioni e traumi quotidiani, declama le sue poesie dove celebra l’eroica resistenza della città sotto assedio. Appartengono a questo periodo le sue due opere più rilevanti: il poema Pulkovskij meridian (Il Meridiano di Pulkovo) e il diario Počti tri goda. Leningradskij dnevnik (Quasi tre anni. Il diario di Leningrado) che nel 1946 fu insignito del Premio Stalin. Al termine della guerra torna a Mosca dove continua la sua opera di scrittrice e traduttrice. Qui muore nel 1972 e viene sepolta nel cimitero di Vvedenskoe. Recensioni Quel mito guerriero che è il collante dell’identità russa di Matteo Sacchi in “Il Giornale”, 15 maggio 2022. Leningrado 1941-1944: diario da una città sotto assedio di Simone Campanozzi in “Giornalismo e storia”, 11 luglio 2022. Quasi tre anni. Cronaca di una città sotto assedio in “Archivio Storico”, 4 agosto 2022.

La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Aleksej Losev e Valentina Loseva

La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Sergej Losev e Valentina Loseva con postfazione di Elena Takho-Godi e traduzione di Giorgia Rimondi (Guerini e Associati, 2021). Le lettere di Aleksej e Valentina descrivono il percorso discendente nell’inferno della realtà del gulag, in un universo ritmato dai trasferimenti e dagli incessanti tentativi di ottenere una revisione della pena. Nelle profondità di questo inferno risuonano, come due melodie, due voci che ne formano una, unite dal ricordo di quel “mare di amore e tenerezza” mantenuto vivo da una comunicazione che, nonostante la distanza, sembra non essersi mai interrotta. Due voci che, attraverso la scrittura, ultimo conforto e salvezza dalla miseria umana e spirituale del campo, ci restituiscono il “dialogo spirituale” tra Aleksej, filosofo, e Valentina, scienziata. Nel carteggio si delinea così la situazione esistenziale dell’intellettuale, privato, oltre che della libertà, della sua fondamentale attività creativa, e allo stesso tempo si staglia vivida una preziosa testimonianza della vita quotidiana nei gulag sovietici. Uno scorcio su un capitolo drammatico della storia attraverso i pensieri e le riflessioni dell’”ultimo filosofo russo dell’età d’argento”. Aleksej Fëdorovič Losev (1893-1988) è una delle principali figure del pensiero filosofico e religioso russo del XX secolo, la cui vicenda intellettuale e umana è fortemente segnata dal clima di repressione del regime sovietico. Studioso dagli interessi eclettici – che includono filosofia, filologia, teologia, estetica, matematica e musica –, il pensiero di Losev risente dell’influsso della filosofia occidentale, nonché della tradizione cristiana ortodossa. Tra 1927 e 1930 pubblica una serie di opere filosofiche, ma ben presto la sua attività sarà bruscamente interrotta dall’arresto (1930) e dalla condanna a dieci anni, da scontare in un gulag della regione di Leningrado. Alcuni mesi dopo anche la moglie, l’astronoma Valentina Michajlovna Loseva (1898-1954), verrà deportata in Siberia. Liberato per sopraggiunta invalidità, Losev potrà fare ritorno a Mosca solo nel 1933, tuttavia gli verrà proibito di occuparsi di filosofia; si dedicherà quindi principalmente all’estetica e al mondo classico, ma per vedere pubblicate le prime opere di quegli anni si dovrà attendere la morte di Stalin. A partire dalla riabilitazione nel 1994, le sue opere verranno riscoperte in Russia e all’estero. Recensioni Lettere dal Gulag: gioia e inferno per Losev di Simone Campinozzi in “Giornalismo e storia”. La gioia per l’eternità. Lettere dal gulag (1931-1933) di Maurizio Schoepflin in “Il Foglio”, 22 dicembre 2021. Gioia per l’eternità: le lettere di Losev dal Gulag di Giuseppina Larocca in “Il sussidiario.net”, 10 gennaio 2022. La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 15 novembre 2022. A. Losev, V. Loseva, La gioia per l’eternità. Lettere dal Gulag (1931-1933) di Donatella Di Leo in “Studi Slavistici”, XX, 2023 (1), pp. 216-218.

Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin

Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Anatolij Pristavkin con traduzione, curatela e postfazione di Patrizia Deotto (Guerini e Associati, 2018). Saška e Kol’ka Kuz’min si assomigliano come due gocce d’acqua e approfittano della loro somiglianza per prendersi gioco di tutti. Il fine delle loro invenzioni è sempre lo stesso: il bisogno perenne di placare i morsi della fame. Il trasferimento dallo squallido orfanotrofio della periferia di Mosca nella terra fertile del Caucaso si prospetta agli occhi dei due ragazzini come un viaggio in una terra meravigliosa, zeppa di stanze del pane dove mangiare a sazietà. Tuttavia la terra promessa rivela ben presto il suo lato oscuro. Tutto è coperto di fiori nel Caucaso, ma in giro non si vede nessuno, regna un silenzio profondo, interrotto di tanto in tanto dall’eco di spari e di esplosioni. I gemelli Kuz’min, inconsapevoli usurpatori di terre altrui, si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende conseguenti alla deportazione forzata dei ceceni accusati di tradimento e collaborazionismo con il nemico, qui raffigurata in tutta la sua drammaticità. Alla descrizione dei luttuosi e complessi eventi, individuali e sociali, legati agli anni della Seconda Guerra Mondiale, viene contrapposta la rappresentazione del mondo radioso creato dalla propaganda sovietica, dove risuonano i canti patriottici e celebrativi dedicati al compagno Stalin e le canzoni riprese dalle commedie musicali in voga, che i due gemelli, insieme ai loro coetanei, cantano a squarciagola. Il contrasto tra il mondo scintillante e luminoso, promosso dalla propaganda staliniana, e le condizioni di vita reali dei due Kuz’min e degli altri orfani, trattati con indifferenza, salvo rare eccezioni, e considerati semplici pedine da utilizzare per la realizzazione di progetti inimmaginabili, disorienta e lascia sconcertati. Attraverso le dolorose esperienze che segnano i piccoli protagonisti del romanzo, Pristavkin invita a riflettere sull’insensatezza della guerra e della violenza e sull’importanza del confronto e del dialogo per una coesistenza pacifica tra i popoli. Anatolij Ignat’evič Pristavkin (1931-2008) nasce a Mosca nel 1931. Nel 1941 perde entrambi i genitori e trascorre gli anni della guerra in orfanotrofio. A quattordici anni lavora in una fabbrica di conserve nel Caucaso. Rientrato a Mosca, nel 1946, consegue il diploma di tecnico aeronautico alla scuola serale e nel 1959 si laurea all’Istituto di letteratura Gor’kij. Esordisce nella narrativa nel 1958 con il ciclo di racconti L’infanzia difficile, accolto favorevolmente dalla critica. Segue una ricca produzione letteraria, ma il vero successo arriva con la pubblicazione nel 1987 del romanzo Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso (titolo originale Nočevala tučka zolotaja), dove Pristavkin, prendendo spunto da un’esperienza autobiografica, ricostruisce la tragedia della guerra attraverso gli occhi dei suoi due piccoli protagonisti, che si ritrovano coinvolti nelle tragiche vicende della deportazione dei ceceni, vittime delle repressioni staliniane. Nel 1988 lo scrittore è insignito del Premio Statale dell’URSS e il romanzo viene tradotto in trenta lingue. Nello stesso anno pubblica il romanzo I piccoli del cuculo, dedicato al tragico destino degli orfani nel periodo della guerra, e ottiene nel 1991 il Premio Nazionale Tedesco della letteratura per l’infanzia. Nel 1989 organizza Aprel’, la corrente indipendente degli scrittori moscoviti, curandone anche la rivista. Dal 1992 al 2001 dirige la Commissione di Grazia e Giustizia, che si è battuta contro la pena di morte ed è riuscita a far commutare in ergastolo quasi tredicimila condanne a morte. Nel 2008, pochi mesi prima di morire, riesce a portare a termine il romanzo Il re Monpas’e Marmelažka Primo. Recensioni A. Pristavkin, Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Giulia De Florio in “AvtobiografiJA”, 7/2018, pp. 251-257. Due bambini nella Russia di Stalin. Inseparabili di Anatolij Pristavkin di Giordano Balecchi in “Sul romanzo”, 7 settembre 2018. Pristavkin. Difensore degli ultimi di Riccardo Michelucci in “Avvenire”, 10 novembre 2018. Inseparabili. Due gemelli nel Caucaso di Maria Elena Murdaca in “Osservatorio Balcani e Caucaso”, 21 febbraio 2019.

Prime dichiarazioni di Oleg Orlov dopo lo scambio di prigionieri del 1 agosto 2024.

3 agosto 2024 Pochi giorni prima dello scambio di prigionieri del 1 agosto 2024, mentre Oleg Orlov si trovava ancora nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara, l’amministrazione del carcere gli ha proposto di firmare con urgenza la domanda di grazia diretta al presidente Putin. Orlov ha rifiutato. Non gli è stato richiesto il consenso per lo scambio. Così racconta Orlov: “Il 23 luglio, a metà giornata, mentre mi rilassavo dopo la ‘sauna’, all’improvviso la porta della cella si è spalancata e una guardia di sorveglianza del carcere, fatto insolito, mi ha chiesto di uscire: ‘Andiamo, c’è un colloquio’. Mi hanno portato nell’ufficio di sorveglianza dove la guardia d’un tratto mi ha salutato, tendendomi la mano (cosa del tutto insolita). E poi ha detto: ‘Sappiamo e capiamo chi è lei, sappiamo molte cose’. Bah, forse mi reclutano. Ma allora perché non è un funzionario dei servizi segreti? E d’un tratto dice che il giorno stesso la direzione del SIZO di Samara, tramite Mosca, ha ricevuto l’ordine di avere da me la domanda di grazia diretta al presidente della Russia. Ci sono informazioni, dice, che la domanda sia valutata in senso positivo: ‘E capisce che qui lo propongono proprio a lei e a nessun altro, non è così semplice’. Mi dà un foglio in bianco e spiega: ‘Qui c’è la domanda in forma libera per il presidente. Non c’è tempo per pensare. A noi si richiede di avere da lei questo documento e di inviarlo entro la fine della giornata lavorativa’. ‘Be’, allora, riportatemi in cella, ci penserò’ dico. E ho deciso così: sia quel che sia, ma non mi metterò a scrivere questa domanda. Non ammetto il fatto stesso di rivolgere una domanda di grazia. E poi a chi? A Putin!!! Sono passati venti minuti, la porta si è aperta: ‘Mi dia la domanda’. Rispondo: ‘Ho deciso di non scriverla’. Hanno chiuso la porta. Dopo dieci minuti si è riaperta: ‘Andiamo a parlare’. Siamo entrati nell’ufficio, sono arrivate tre guardie capeggiate dal dirigente della Sezione controllo e sorveglianza del carcere. ‘Perché non vuole scrivere?’. Ho spiegato, ho tentato di spiegare. Hanno reagito in modo buffo: ‘Da una parte la capiamo. Dall’altra no. Ma va bene, sono affari suoi. Ma noi oggi dobbiamo fare rapporto, gentilmente parli del suo rifiuto e delle sue motivazioni al videoregistratore’. Ho detto all’incirca: ‘Mi rifiuto, perché la mia condanna è illegittima, mi trattengono qui in violazione delle norme della Costituzione della Federazione Russa, non mi ritengo colpevole. Dal mio punto di vista, che io scriva una domanda di grazia sarebbe un’ammissione indiretta di colpevolezza, cosa che non è’. Ma scrivere o non scrivere una domanda di grazia è scelta personale di ognuno. Non sono pronto in questo senso a invitare gli altri a fare o meno qualcosa né a giudicare le decisioni altrui”. Orlov a Colonia dopo la scambio di prigionieri.