Il Centro per i diritti umani Memorial conferma la notizia: Oleg Orlov è libero. Ha chiamato sua moglie al telefono dall’aereo, è in viaggio verso Colonia. Ricordiamo che oggi, 1 agosto 2024, The Insider ha dato notizia della liberazione da parte della Federazione Russa di prigionieri politici in cambio di cittadini russi detenuti negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei. In base alle informazioni fornite da The Insider, tra i prigionieri politici ci sono: Oleg Orlov Evan Gershkovich Vladimir Kara-Murza Lilija Čanyševa Il’ja Jašin Ksenija Fadeeva Andrej Pivovarov Paul Whelan Alsu Kurmasheva Saša Skočilenko Dieter Voronin Kevin Lik Rico Kriger Patrick Schoebel German Mojžes Vadim Ostanin Non siamo in grado di confermare la notizia rispetto a tutti i prigionieri politici, ma speriamo che corrisponda al vero. Confermiamo però che Oleg Orlov è libero e al sicuro. Siamo molto felici che un gruppo di prigionieri politici sia in libertà! Tuttavia è importante ricordare che nelle carceri della Federazione Russa ci sono ancora centinaia di persone condannate per motivi politici. È necessario continuare a sostenerle e a chiedere giustizia. Sottolineiamo: di solito gli scambi di prigionieri in Russia si effettuano utilizzando lo strumento della grazia. Se in questo caso sono stati ufficialmente graziati, significa che i precedenti penali e tutto ciò che ne deriva sono stati cancellati. Per ricevere la grazia, tra l’altro, i detenuti non sono tenuti a presentare richiesta o ammettere colpevolezza: queste condizioni non sono necessarie per il rilascio.
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Oleg Orlov. Trasferito senza preavviso verso destinazione ignota.
29 luglio 2024 Apprendiamo dal Centro per la difesa dei diritti umani Memorial che Oleg Orlov è stato trasferito dal centro di detenzione preventiva di Syzran’ verso destinazione ignota. Oggi, 29 luglio 2024, l’avvocato di Orlov ha raggiunto il centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syrzan’, nel quale il copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial era detenuto, per fargli visita e sul posto gli è stato comunicato che Orlov “non è presente”. I funzionari del centro di detenzione si sono rifiutati di fornire spiegazioni in merito a data, luogo e motivazione del trasferimento e, per fornire informazioni, hanno richiesto domanda scritta. Il 25 luglio all’avvocato era stato comunicato che dopo il processo di appello i materiali del processo non erano ancora stati consegnati al tribunale di prima istanza. Il fatto sembrava indicare che il trasferimento in colonia penale non sarebbe avvenuto a breve. Ricordiamo che Oleg Orlov è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per vilipendio reiterato dell’esercito. L’11 aprile è stato improvvisamente trasferito da Mosca a Samara e quindi al carcere SIZO-2 di Syzran’ nella regione di Samara. L’11 luglio il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, ha confermato la sentenza di condanna.
Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.
Pubblichiamo la traduzione del discorso tenuto giovedì 18 luglio 2024 da Il’ja Jašin in occasione dell’udienza, svoltasi presso il tribunale di Safonovo, relativa alla richiesta, avanzata da Jašin e dalla sua difesa, di dichiarare illegittima la reclusione in cella di isolamento. Il’ja Jašin, oppositore politico, è detenuto in una colonia penale della regione di Smolensk dove continua a scontare la condanna a otto anni e mezzo di reclusione comminata il 9 dicembre 2022 per “diffusione di fake news sull’esercito”. Sul suo canale YouTube aveva parlato degli eccidi commessi dall’esercito russo a Buča nei primi mesi della guerra in Ucraina. Onorevole giudice! Come qualsiasi prigioniero politico russo, finisco regolarmente in cella di isolamento (ŠIZO). È un metodo comune per esercitare pressione psicologica sui detenuti che dietro le sbarre non rinunciano alle proprie idee e alle proprie posizioni. Una cella sporca e condizioni di reclusione ai limiti della tortura sono la vendetta per il dissenso. Certo, un essere umano è capace di abituarsi a tutto. Ho passato settimane rinchiuso nello ŠIZO e mi sono gradualmente adattato. Ma lo dico con sincerità: la prima volta che si varca la soglia del carcere duro, si prova un senso di enorme oppressione. Sembra quasi di entrare in una macchina del tempo che riporta al 1937, ai tempi delle purghe staliniane. Come si presenta una cella dello ŠIZO? È una scatola di cemento di due metri per tre. Da una finestrella passano a fatica i raggi del sole, perché l’accesso è impedito da due strati di inferriate e una barriera di filo spinato. In un angolo è posizionato un water di acciaio, nell’altro un lavabo con acqua fredda e rugginosa. Le tubature marce diffondono nell’aria un continuo fetore di escrementi. Alle cinque del mattino la branda di ferro viene fissata alla parete e durante il giorno, fino all’ora della ritirata, i reclusi hanno il divieto di distendersi. Si possono soltanto sedere su un minuscolo sgabellino oppure camminare senza sosta nella cella stretta: due passi avanti, due passi indietro. Si è costretti a sentirsi fisicamente a disagio. Libri, carta e penna sono concessi soltanto per un’ora e mezza, mentre per il resto del tempo è vietato leggere e scrivere. Si può solo guardare il muro. Si è costretti a impazzire dalla noia. Viene servita una sbobba che mette davvero a dura prova lo stomaco. Della kaša pesante, della pasta che naviga nel grasso o una patata sporca con del pesce non pulito: questa è la tipica razione nello ŠIZO. A differenza degli altri detenuti, chi è lì dentro non può mangiare nient’altro. Verdure, mele, persino un cioccolatino col tè: tutto vietato. Si è costretti a patire la fame. In aprile spengono il riscaldamento, ma le spesse pareti di cemento rimangono gelide ancora a lungo e in cella fa un freddo cane. E nello ŠIZO non ci si può portare neppure il maglione in dotazione ai carcerati. Si è costretti a congelare. Gli occupanti delle celle di rigore condividono lo spazio con nugoli di zanzare e moscerini che di notte li divorano. E pure con i ratti, che regolarmente sgusciano fuori dai buchi dietro il water alla ricerca di cibo… Tutto questo, prima di finire in una colonia penale, l’avevo letto soltanto nei libri. Trattamenti simili erano riservati ai “nemici del popolo” nei campi di prigionia staliniani; più o meno queste erano le condizioni in cui erano tenuti gli antifascisti nei sotterranei della Gestapo. Tali pratiche sono ancora attuali nella Russia del XXI secolo. Dietro la facciata delle boutique e dei ristoranti costosi della capitale ci sono sempre le stesse celle di cemento, le vessazioni e la dignità umana calpestata dagli stivali dei carcerieri. Il motivo della mia reclusione nello ŠIZO non è un mistero. La direzione della colonia non si sforza nemmeno di negare che esercita pressioni su di me dietro richiesta di funzionari che occupano posti rilevanti al Cremlino. Così facendo, il potere ritiene di fiaccare la mia volontà e di costringermi al silenzio. Ma qual è stato il pretesto formale per sottopormi a una detenzione così dura? Lei, onorevole giudice, ha davanti a sé tre rapporti, in base ai quali sono stato rinchiuso nello ŠIZO per quasi un mese e mezzo. Riferiscono le “tremende” infrazioni che avrei commesso: mi sono tolto la giubba sedendomi al tavolo della mensa; mi sono alzato dalla branda con cinque minuti di ritardo; mi sono cambiato la maglietta dopo la doccia in un momento in cui ciò non era consentito… A una persona libera che vive nel mondo normale è difficile spiegare cosa ci sia di criminale nelle azioni qui riportate e perché un detenuto debba essere punito per questo, per di più in modo tanto severo. Ma le norme del regolamento degli istituti correzionali in vigore in Russia concedono alle autorità delle colonie penali una capacità di arbitrio sostanzialmente illimitata. Si possono ricevere quindici giorni di ŠIZO per un bottone slacciato, per un cuscino sgualcito… Sì, per qualsiasi cosa. Ma lo sa qual è la vera sorpresa? Che, persino avendo a disposizione uno strumento così efficiente, la direzione della colonia non è comunque riuscita ad agire secondo la legge perché i rapporti che mi riguardano sono stati grossolanamente fabbricati ad arte. Ne è conferma il fatto che le registrazioni video delle telecamere di sorveglianza richieste dal tribunale, che avrebbero documentato le mie infrazioni, sono state cancellate. La misera replica della direzione, secondo cui le disposizioni interne della colonia richiedono che tali registrazioni vengano eliminate trascorso un mese, non sta in piedi. Per legge, un detenuto ha tre mesi di tempo per ricorrere contro qualsiasi rapporto che lo riguardi. È evidente che per un periodo minimo di tre mesi debbano essere conservate anche le prove della sua colpa. E che la direzione abbia eliminato in fretta e furia tutti i video è la chiara testimonianza del banale tentativo di coprire le tracce di un falso amministrativo. Il tribunale dovrebbe credere agli addetti della colonia sulla loro parola, che non può essere confermata in alcun modo. È una posizione assai… Continua a leggere Il’ja Jašin. Intervento del 18 luglio 2024.
Oleg Orlov. Confermata la condanna a due anni e mezzo di reclusione.
14 luglio 2024 Giovedì 11 luglio 2024 si è tenuta a Mosca, presso il Mosgorsud, Tribunale municipale di Mosca, l’udienza per il ricorso contro la condanna di Oleg Orlov. La giudice Marija Larkina ha confermato la sentenza senza modifiche: Oleg Orlov, 71 anni, al momento ex copresidente del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, è ritenuto colpevole di “vilipendio reiterato delle forze armate della Federazione Russa” ed è condannato a due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario. Orlov rimane nel centro di detenzione preventiva SIZO-2 di Syzran’, regione di Samara. In occasione dell’udienza numerose persone si sono raccolte presso il tribunale di Mosca per sostenere Orlov, collegato in videoconferenza dal carcere di Syzran’: tutti i posti erano occupati sia nell’aula principale sia nella sala del collegamento. Erano presenti il giornalista Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace 2021, Vladimir Lukin, ex commissario per i diritti umani della Federazione Russa, il dissidente Vjačeslav Bachmin, i colleghi di Memorial Svetlana Gannuškina e Jan Račinskij, la moglie di Sergej Kovalëv, Ljudmila Bojcova, rappresentanti di ambasciate estere. Prima dell’inizio dell’udienza Orlov ha salutato tutti i presenti e ha detto: “Non mi pento di niente e non rimpiango niente. Mi trovo nel posto giusto al momento giusto. Mentre nel nostro paese ci sono repressioni di massa, mi trovo accanto a chi è perseguito, e aiuto”. A quel punto l’audio è stato chiuso. “Censura!” ha gridato qualcuno tra i presenti. Orlov ha di nuovo richiesto alla corte il rinvio dell’udienza dal momento che la documentazione processuale gli è stata fornita in forma illeggibile: quattro pagine in caratteri minuscoli su uno stesso foglio. La giudice ha respinto la richiesta. Nel corso del dibattimento l’avvocata Keterina Tertuchina ha sottolineato che nel secondo processo contro Orlov la corte non aveva il diritto di appesantire la posizione dell’imputato attribuendogli l’aggravante di “motivi di odio e ostilità”. La corte inoltre non poteva attribuire a Orlov due anni e mezzo di reclusione in colonia penale a regime ordinario: alle persone condannate per reati di lieve e media gravità e che non hanno mai riportato altre condanne è infatti solitamente attribuita la reclusione in istituto di correzione. Oleg Orlov ha quindi pronunciato la sua quarta ultima dichiarazione ovvero, secondo il sistema giudiziario russo, la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. “Il secondo processo nei miei confronti condotto dal Mosgorsud ha dimostrato che la corte, così come gli inquirenti, eseguivano un ordine di carattere politico. Non mi resto altro da fare se non una citazione, modificando cinque parole in due passaggi. Ma subito dopo spiegherò cosa ho modificato. Hanno distorto, deformato e alla fine hanno ottenuto la distruzione completa della giustizia e delle leggi dello Stato. Hanno reso il sistema giudiziario parte integrante della dittatura. Hanno soppresso ogni forma di indipendenza giudiziaria. Hanno minacciato, intimidito, privato dei diritti fondamentali chi si è ritrovato di fronte a un tribunale. I processi da loro condotti sono stati orribili farse con residui rudimentali di procedura giuridica, che erano solo sbeffeggiamenti nei confronti delle sfortunate vittime. Dal momento che sono in prigione e che qui ho ho conosciuto molte persone, ritengo che abbiano il diritto di pronunciare queste parole non solo i prigionieri politici, ma anche molte altre persone detenute in base a imputazioni che nulla hanno a che vedere con la politica. Queste parole sono sorprendentemente adatte per descrivere l’attuale situazione del sistema giudiziario della Federazione Russa. Ma sono state pronunciate nel 1947 a Norimberga. Ho solo omesso alcune parole – gli imputati e i loro colleghi – e bisogna indicare il nome dello Stato di cui stiamo parlando: la Germania. I paralleli sono del tutto evidenti.” Illustrazione: Marina N. Foto: Aleksandra Astachova / Mediazona.
Evgenija Berkovič e Svetlana Petrijčuk. Condannate a sei anni di reclusione.
Lunedì 8 luglio 2024 il Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca ha condannato a sei anni di reclusione in colonia penale la regista Evgenija (Ženja) Berkovič e la sceneggiatrice Svetlana Petrijčuk per apologia di terrorismo. Lo stato russo – nel giorno degli attacchi terroristici su Kyïv, Dnipro, Kryviy Rih e altre città ucraine, durante i quali un missile russo ha colpito l’ospedale pediatrico oncologico Ohmatdyt di Kyïv causando la morte di decine di persone e lasciando centinaia, se non migliaia, di bambini gravemente ammalati senza l’assistenza e le cure necessarie – ha condannato Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk per lo spettacolo Finist jasnyj sokol (Finist falco coraggioso). AP Photo/Alexander Zemlianichenko Noi di Memorial – raccontano i colleghi russi – abbiamo conosciuto Ženja Berkovič nel 2012: l’abbiamo invitata a collaborare con noi per il festival Drama pamjati (Il dramma della memoria) nella nostra sede di Mosca in via Karetnyj rjad, in cui decine di giovani registi e attori teatrali lavoravano a progetti di teatro documentario sulla base dell’archivio di Memorial. A quel festival Ženja e i suoi compagni di corso di Sed’maja studija hanno allestito lo spettacolo Sud nad Brodskim. Čelovek, kotoryj ne rabotal (Processo a Brodskij. L’uomo che non lavorava). Dopo la prima lo spettacolo è stato replicato per due anni e visto da migliaia di spettatori. Al festival Drama pamjati ha partecipato anche un altro giovane regista, Talgat Batalov, con il progetto Moё poslednee slovo (La mia ultima dichiarazione), basato sulle ultime dichiarazioni pronunciate durante i processi ai prigionieri politici sovietici, ai prigionieri politici della Bielorussia di Lukašenko così come alle Pussy Riot e a Michail Chodorkovskij. Secondo il sistema giudiziario russo agli imputati è infatti concessa un’ultima dichiarazione (poslednee slovo) ovvero la possibilità di prendere la parola per sostenere la propria innocenza o corroborare la linea difensiva scelta dalla difesa. I dimostranti di piazza Bolotnaja sono stati arrestati durante la preparazione della nostra iniziativa, ma non hanno fatto in tempo a pronunciare le loro ultime dichiarazioni nei giorni dal 14 al 17 giugno 2012, date di programmazione del festival. Allora Talgat Batalov ha deciso di presentare il suo progetto con queste parole: “Nessuno di noi sa a chi, nella propria vita, toccherà pronunciare la sua ultima dichiarazione. Perciò propongo a tutti gli spettatori di partecipare a una prova aperta. Vi chiederò di scegliere il testo di diverse ultime dichiarazioni e di leggerle, mentre io vi aiuterò a farlo con forza ed espressività”. Ieri Ženja Berkovič e Svetlana Petrijčuk hanno pronunciato la loro ultima dichiarazione. Ieri il giudice Jurij Massin le ha condannate a sei anni di colonia penale a regime ordinario e a tre anni di restrizione nell’amministrazione di siti web. A proposito, sessant’anni fa, il 13 marzo 1964, fu emanata la sentenza contro il poeta Brodskij: cinque anni, non di colonia penale ma di confino. Illustrazione di Inga Christič.
Michail Kriger. Confermata condanna a sette anni di reclusione.
Giovedì 4 luglio 2024 la Corte Suprema della Federazione Russa ha esaminato il ricorso in cassazione contro la condanna di Michail Kriger. L’udienza si è conclusa con la conferma della sentenza. Ricordiamo che il 17 maggio 2023 Michail Kriger, attivista e socio di Memorial Podmoskov’e, era stato condannato a sette anni di reclusione dal Tribunale militare n. 2 del Distretto occidentale di Mosca. Era stato processato in base agli articoli di legge relativi a “giustificazione del terrorismo” e “incitamento all’odio” per alcuni post sui social network nei quali criticava le autorità e si esprimeva contro l’invasione dell’Ucraina. Nell’ottobre dello stesso anno la corte d’appello aveva confermato la sentenza. Al momento Kriger si trova nella colonia penale IK-5 di Naryškino, località della regione di Orël. Ieri Michail Kriger si è collegato in videoconferenza con il tribunale di Mosca. A rappresentarlo in aula erano presenti gli avvocati Michail Birjukov e Ekaterina Ryžkova. A sostenerlo durante l’udienza c’erano più di dieci di persone. Nel ricorso Kriger e la sua difesa indicavano che le accuse mancano di concretezza e non sussistono prove di un reato. In aula Michail Birjukov ha sottolineato che esistono documenti riconosciuti a livello internazionale per valutare le dichiarazioni pubbliche, tra cui il Piano d’azione di Rabat che vieta l’incitamento all’odio nazionale, razziale o religioso e formula criteri chiari per la valutazione di quanto viene espresso. I post di Kriger non soddisfano nessuno di questi criteri. Inoltre sia la Costituzione della Federazione Russa sia il Patto internazionale sui diritti civili e politici garantiscono la libertà di parola. La difesa ha chiesto l’assoluzione. Il pubblico ministero ha insistito sulla validità delle accuse. Collegato in videoconferenza dal carcere di Orël Michail Kriger ha dichiarato: “In questo anno e mezzo la mia posizione non è cambiata. Vorrei tanto chiedere ai miei cari concittadini di Belgorod e Šebekino se ora sono più tranquilli. [Il giudice tenta di interromperlo]. Sono a processo per le mie convinzioni, quindi continuo a parlare. [Il giudice lo avverte ripetutamente che può esprimersi solo in merito al caso]. Non sono d’accordo con la sentenza, mi ritengo innocente, e sono soddisfatto di avere potuto dire che non ho cambiato idea e che due più due fa quattro”. Quando la corte si è ritirata per deliberare, i presenti sono riusciti a scambiare qualche parola con Kriger. Era, come sempre, di buon umore, scherzava: cantava le lodi delle carceri della regione di Orël, dove ha detto di avere imparato il mestiere di “cucitore alla macchina” e di essere già capace di cucire un marsupio. Ha detto di non avere quasi niente di cui lamentarsi, se non dell’assenza di un censore a pieno servizio, e ha invitato a non offendersi se non risponde alle lettere o se alcune non le riceve. Alla propaganda rabbiosa ci si può sottrarre uscendo dalla stanza dove c’è il televisore, ha affermato. I presenti gli hanno detto che è un eroe. – Torna, senza di te ci sentiamo orfani! – Lo farei volentieri, ma temo che qui non siano d’accordo. Già sono di ottimo umore, ma vedervi ha contribuito a migliorarlo all’infinito.
Oleg Orlov: “Oggi è peggio dell’epoca sovietica, ma siamo molti di più a opporci”.
Oleg Orlov, copresidente di Memorial, è detenuto in carcere in Russia a causa di una persecuzione politica. Presentiamo la traduzione di un’ampia intervista a Orlov raccolta dal giornalista e scrittore Filipp Dzjadko (Memorial Zukunft) prima della sentenza definitiva.
Dichiarazione di Memorial Italia
Il 4 giugno 2024 Aleksej Naval’nyj avrebbe compiuto 48 anni.
Dalla colonia penale di Smolensk. “Guerra in Ucraina e dittatura di Putin, contro l’interesse del popolo russo”
Il grande merito dell’opera, Un Occidente prigioniero o la tragedia dell’Europa centrale (Adelphi), è quello di disegnare un’idea d’Europa in cui non ci sono paesi occidentali (Austria) e orientali (Cecoslovacchia), ma un’unica matrice culturale comune.
Vladimir Kara-Murza dal carcere di Mosca: “Non mi avranno e, fidatevi, tutto questo presto finirà”
Il dissidente, giornalista e storico, per due volte avvelenato con gravi conseguenze sulla salute, racconta la vita in prigione e perché ha deciso di tornare in Russia per dare battaglia al regime di Putin: “Da lontano, da un posto sicuro, non puoi chiedere alla gente di battersi contro un regime autoritario”.

