L’arte non è fuori dalla politica. Gergiev, tenace sostenitore di Putin, non dovrebbe esibirsi a Caserta.

La Reggia di Caserta (Carlo Pelagalli, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons)

Il direttore d’orchestra torna così su un grande palco europeo, finanziato anche da fondi pubblici, a dispetto delle sanzioni che lo hanno colpito in molti paesi. Se in tempi normali, la separazione tra arte e politica può sembrare un principio nobile e difendibile, in tempi di guerra, come quella della Russia in Ucraina, ogni pretesa di “neutralità culturale” suona ingenua, se non complice.

Sul colonialismo russo

Katia Margolis, Venezia 2024

La sua negazione è un atteggiamento che lega l’ala anti-Putin della società russa all’ala pro-Putin. Lo sciovinismo russo è radicato nella storia e nell’inconscio culturale molto più profondamente del putinismo. Dietro questa retorica si nasconde il rifiuto fondamentale di studiare le radici storiche e i metodi di creazione di questo “contesto culturale comune” con i popoli conquistati, russificati con la forza e in parte sterminati: l’ignoranza della storia dei ceceni, degli ingusci, dei buriati, dei baschiri, dei calmucchi, dei tuvini, degli jakuti, degli adigei, dei vepsi o dei keti.

Le narrazioni strategiche russe e i manuali di geografia delle scuole medie italiane

Uno studio a cura dell’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici mostra l’incidenza della disinformazione e della propaganda russa.

La decolonizzazione del sapere: la guerra d’invasione russa in Ucraina e il caso post-sovietico

Monumento a Lenin abbattuto a Stanycja Luhans'ka (foto: Yozh - Власна робота, CC BY-SA 4.0, Посилання)

Tra gli aspetti più interessanti dei dibattiti sul carattere coloniale della dominazione russa e poi sovietica sui Paesi che hanno raggiunto l’indipendenza dopo il 1991 c’è la questione dei risvolti sociali di questi dibattiti, a metà tra accademia e vita pubblica. L’esempio più lampante è quello delle discussioni sulla decolonizzazione (e la relativa decomunistizzazione) in Ucraina come pratica sociale e politica, sia in seguito all’inizio dell’invasione russa del 2014 e tanto più con l’aggressione su larga scala.

Nessuno ci regalerà la libertà. Intervista a Ksenija Fadeeva

Tomsk

Siberiana di nascita, forzatamente emigrata in Lituania, è una politica russa di opposizione, per anni vicina ad Aleksej Naval’nyj. Negli tempi la sua è una vita da romanzo di spionaggio: complotti dei servizi, provocazioni, arresti, un tentato omicidio. “Dopo città ucraine distrutte, migliaia di civili uccisi, l’assassinio di Naval’nyj, migliaia di prigionieri politici in tutta la Russia, osservare il processo di normalizzazione del regime di Putin fa una gran tristezza”.

#2 | Modalità e strumenti della propaganda russa.

Continuiamo a segnalare materiali che analizzano e aiutano a comprendere meglio le modalità e gli strumenti utilizzati dalla propaganda russa per seminare incertezza, disinformazione e caos anche ben oltre i confini nazionali. Con il protrarsi della guerra i meccanismi con cui si cerca di infiltrare narrazioni propagandistiche e “alternative” sull’invasione dell’Ucraina continuano a funzionare. Sono vari gli strumenti che ne facilitano l’insediamento e la diffusione. Riteniamo dunque importante segnalare documentari, ricerche e articoli che analizzano le narrazioni propagandistiche russe e i tentativi di penetrare il sostrato dell’informazione globale e, in molti casi, italiana. Il sito di LA7 mette a disposizione il documentario di Francesca Mannocchi Lirica ucraina. Dopo mesi in cui questioni economiche e geopolitiche sono state i principali temi del dibattito pubblico, il documentario rimette al centro le principali vittime dell’aggressione russa: la popolazione civile e le città ucraine. Le immagini mostrano testimonianze di chi è costretto a vivere quotidianamente la guerra in prima persona e la distruzione provocata da più di tre anni di bombardamenti sul territorio ucraino: RivediLa7, Lirica Ucraina, francesca Mannocchi. L’Istituto Gino Germani pubblica la ricerca Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane, condotta da Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey. Lo studio è basato su quattro case study con l’obiettivo di discutere i principali fattori storico-politici e culturali che hanno reso la società italiana più permeabile all’influenza della narrazioni strategiche filo-Cremlino e sulla base dei ventotto manuali scolastici analizzati individua le principali narrazioni filorusse: Il paper integrale di Massimiliano Di Pasquale e Iryna Kashchey su “Narrazioni strategiche russe nei libri di testo delle scuole secondarie di primo grado italiane” – Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici. Matteo Pugliese per Affari Internazionali si concentra sulle operazioni clandestine condotte dal regime russo evidenziando in particolare quelle svolte sul territorio italiano: La campagna di sabotaggi russi in Europa interessa anche l’Italia – Affarinternazionali.

Radio Free Europe/Radio Liberty, l’America di Trump e la propaganda russa

Donald Trump (foto: Daniel Torok, CC BY 3.0 US, via Wikimedia Commons)

I Trump vanno e vengono, ma voglio credere che l’America, con la sua tradizione di democrazia e di libertà, un paese fondato su principi e virtù oggi calpestati dalla presente amministrazione, finirà per prevalere.

Ruslan Sidiki condannato a 29 anni di reclusione.

Il 23 maggio 2025 presso il tribunale militare di guarnigione di Rjazan’ il pubblico ministero Boris Motorin ha chiesto per Ruslan Sidiki una condanna a trent’anni di reclusione. Di Ruslan Sidiki, 36 anni e doppia cittadinanza, russa e italiana, abbiamo già avuto modo di parlare. Dopo di lui ha preso la parola Igor’ Popovskij, l’avvocato di Sidiki. Il difensore ha spiegato nel dettaglio perché la versione dell’accusa non corrisponde ai fatti e, perciò, a verità. Nei casi in esame la definizione giuridica delle azioni del suo assistito non può rientrare negli articoli riguardanti il “terrorismo”. Quanto da lui compiuto può far capo, piuttosto, alla categoria “sabotaggio”. In due punti, a sostenere le accuse di terrorismo sono le invenzioni degli inquirenti e le deposizioni estorte sotto tortura. L’avvocato Popovskij ha infine ricordato che, in base alla Convenzione di Ginevra e a quanto da essa affermato “in data 12 agosto 1949 sul trattamento dei prigionieri di guerra”, Ruslan Sidiki andrebbe considerato come tale. L’anarchico Ruslan Sidiki è stato alla fine condannato a 29 anni di carcere. Si tratta della pena più severa mai inflitta per azioni contro infrastrutture militari e, in genere, per azioni che non hanno causato vittime. È l’ennesimo atto intimidatorio contro i dissidenti. Riportiamo in italiano il testo dell’ultima dichiarazione pronunciata da Ruslan Sidiki prima della lettura della sentenza. Mi rincresce che le mie azioni abbiano messo in pericolo Bogatyrëv*, Tarabuchin** e Unšakov***. Non erano loro il mio obiettivo e sono lieto che la loro salute non abbia subito danni gravi. Il mio obiettivo erano i mezzi militari russi e gli anelli della logistica militare per il trasporto di mezzi e carburante. Era il modo che avevo scelto per ostacolare le operazioni militari contro l’Ucraina. Naturalmente la notizia di un’esplosione e il clamore suscitato possono spaventare le persone. Lo stesso vale per i missili che sorvolano le case e per le prime operazioni militari: anche loro hanno lo scopo di intimidire la popolazione del Paese contro cui tali azioni sono dirette. Come ho già ampiamente ripetuto, non era mia intenzione intimidire nessuno. Ho scelto io gli obiettivi: ho attaccato la base aerea militare con l’intento di distruggerne i velivoli. Ho fatto saltare il treno per mettere fuori uso la linea ferroviaria su cui avevo individuato un discreto movimento di mezzi militari. Vorrei che fosse chiaro che ho studiato attentamente il movimento dei treni sulla linea che ho fatto saltare per assicurarmi che non ci fossero treni passeggeri. Per maggiore sicurezza, ho controllato visivamente il tutto prima dell’esplosione. Se non mi importasse della vita altrui, avrei potuto far deragliare il treno senza un mio intervento diretto. Non ho avuto nulla a che fare con chi ha tentato di fabbricare, poi, un nuovo ordigno esplosivo per far deragliare un altro treno. L’esplosione dell’11 novembre 2023 aveva già suscitato molto clamore ed ero perfettamente consapevole che le misure di sicurezza sarebbero state rafforzate. Inoltre, avevo già la morte di mia nonna a cui pensare. Con la popolazione russa ho rapporti neutrali. Dal 2014 ho con loro alcune divergenze su certi fatti, ma non è, per me, un motivo sufficiente per odiare qualcuno. L’impossibilità di influenzare pacificamente le azioni di chi ci governa, così come il tribunale che attende coloro che non condividono la politica dello Stato inducono alcuni a lasciare il Paese e altri a restare e a passare all’azione. Indipendentemente dalla gravità del reato, l’uso della tortura durante gli interrogatori è inaccettabile in qualunque caso, se diciamo di vivere in uno Stato di diritto. Torturare con scariche elettriche e picchiare una persona legata sono atti riprovevoli in massimo grado, la cui responsabilità ricade non solo su chi ha applicato metodi in questione, ma anche su chi è consapevole che essi vengono usati, non li contrasta e, anzi, è complice nel tenerli nascosti. Concludo recitandovi un frammento di una poesia di Nestor Machno: Che ci seppelliscano anche subito: ciò che davvero siamo non diverrà Oblio, risorgerà al momento dovuto e vincerà. Ne sono certo, io. * Aleksandr Ivanovič Bogatyrëv, camionista presso la Avargard s.r.l.. Il 23/07/2023 trasportava erba falciata da un campo vicino al villaggio di Tjuševo, regione di Rjazan’. Uscendo su una strada sterrata vicino al campo, centrò con una ruota un drone esplosivo. Che scoppiò. Bogatyrëv non rimase ferito. ** Sergej Aleksandrovič Tarabuchin, assistente macchinista dello stesso treno. A seguito dello scoppio del finestrino, ha riportato graffi al viso e a un braccio. *** Dmitrij Nikolaevič Unšakov, macchinista del treno merci n. 2018, che l’11 novembre 2023 era ripartito dalla stazione di Rybnaja. Si trovava nella cabina di guida al momento dell’esplosione sui binari. A seguito dell’esplosione ha riportato escoriazioni alla mano.

Dmitrij Muratov: “Per favore, scambiate i civili”.

Pubblichiamo in italiano il testo del recente intervento di Dmitrij Muratov, direttore di Novaja Gazeta e premio Nobel per la pace 2021, pubblicato il 25 maggio scorso e indirizzato ai presidenti della Federazione Russa e dell’Ucraina. La traduzione è di Elena Kostioukovitch. Ma guardate che manca poco, credo che presto nel nostro Paese inizieranno a celebrare solennemente la Giornata del boia. I boia riceveranno complimenti, regali, sfileranno tutti orgogliosi nelle loro uniformi da parata. Oggi vi parlerò dei torturatori incaricati dallo Stato. Nel mio Paese è ricomparsa la figura del professionista della tortura, del carnefice. Nell’anno dell’ottantesimo anniversario della vittoria sul fascismo in Russia è tornato il fabbisogno dei carnefici al servizio dello Stato. Chissà se saranno tutti bravi abbastanza… Magari c’è bisogno di facoltà in cui, in aule insonorizzate, si terranno corsi di formazione dove saranno insegnate e applicate, per esercizio, tutte le sevizie, anche storiche, inflitte dall’Inquisizione e dalla Gestapo. I migliori allievi saranno inviati al comando del ministro della giustizia Chujčenko, mentre i peggiori della classe, capaci solo di violentare la gente con il manico della scopa, finiranno nei commissariati di polizia. Una volta il grande scrittore Vladimir Vojnovič mi raccontò di aver incontrato un uomo che nel 1937 era stato prigioniero dell’NKVD e nel 1942 prigioniero della Gestapo. Alla domanda su chi torturasse più ad arte, disse: “Torturavano in ambedue i posti bene, ma c’era una differenza”. Che differenza? “Quelli della Gestapo volevano estorcere ciò che io non volevo dire. Quelli dell’NKVD non avevano bisogno di nulla. Torturavano semplicemente per farlo, e basta”. Questa differenza è semplice e agghiacciante. Le torture inflitte a persone indifese nei centri di detenzione, nei tribunali e nelle prigioni russe servono solo a dimostrare che ogni carnefice esegue ogni ordine che riceve. Torturando, esprime la sua lealtà al Paese e la sua disponibilità a fare qualsiasi cosa per esso. Non senza, ovviamente, provare un certo piacere. Vi racconterò brevemente un po’ di storie. Alcune di esse vi saranno sicuramente note, altre forse le avete dimenticate. Ve le devo rifare presenti, perché a un certo punto smettiamo di prestare l’orecchio alle urla che provengono dalle camere di tortura e dalle aule di tribunale. Proprio come un tempo, negli anni Quaranta del secolo scorso, gli abitanti del villaggio di Dachau non prestavano attenzione all’odore che proveniva dai forni crematori. Uno di loro scrisse nelle sue memorie: “Pensavamo che l’aria dovesse avere quell’odore. Che ci potevamo fare? Era l’odore della nostra patria. Ci eravamo abituati”. Igor’ Baryšnikov, prigioniero politico, pensionato di Kaliningrad, è stato condannato a sette anni e mezzo di reclusione per avere “diffuso notizie false sull’esercito russo”. Ha il cancro, ha la sonda della gastrostomia che gli esce fuori dalla pancia, non può né stare seduto né sdraiato, riesce a malapena a camminare. Per due anni non l’hanno operato e quando finalmente l’hanno fatto sono iniziate gravi complicazioni. Baryšnikov è pressoché cieco, ha già perso la vista da un occhio e quella dell’altro sta peggiorando rapidamente. Quando era libero, Igor’ si prendeva cura della madre anziana e costretta a letto. Quando è morta, lui era in carcere. La giudice, che si chiama Ol’ga, cognome Balanina, gli ha rifiutato il permesso di poche ore per andare al funerale. Vi ho detto il cognome della giudice, vero? Questa persona si chiama Ol’ga Balanina. Andrej Šabanov, 45 anni. È un sassofonista, musicista, viveva a Samara. La sua condanna è per aver pubblicato sui social network alcuni post contro l’”operazione militare speciale”. La condanna ammonta a sei anni (“incitamento all’attività terroristica”). È invalido di seconda categoria, gravemente malato, affetto da psoriasi. Sta letteralmente marcendo vivo. Šabanov si è spogliato in tribunale, ecco la foto, ha chiesto di essere rilasciato in aula, il suo corpo è coperto di piaghe. Il giudice Dmitrij Anan’ev non ha resistito a questo spettacolo e, per non assistere alla scena, ha ordinato che l’imputato fosse riportato in carcere. Nadežda Bujanova, della quale ho già parlato. È una dottoressa di 67 anni, pediatra. È stata denunciata dalla madre di un paziente, secondo la quale la Bujanova avrebbe parlato male del padre del bambino, caduto nel “servizio militare volontario”, e che ciò sarebbe avvenuto in presenza del figlio. In realtà, a giudicare dalle telecamere, il bambino non era nello studio. Non è stata registrata l’audio della visita. Ma quando il bambino di sette anni è stato interrogato da un agente operativo dell’FSB, ha reso una testimonianza in cui, usando parole da adulto e formulazioni tratte dal codice penale, ha spiegato come la dottoressa Bujanova (a parole di quel bambino) “avesse diffuso pubblicamente informazioni palesemente false sulle forze armate della Federazione Russa”. Il bambino non è stato chiamato in tribunale. Bujanova è stata rinchiusa in un centro di detenzione preventiva. Un “attivista patriottico” le ha portato come “dono alimentare” in carcere trenta chili di sale in una spedizione unica, in modo da esaurire il limite delle consegne mensili e lasciarla senza vitamine e cibo. Ora Bujanova è stata condannata. Onestamente, ero sicuro che l’avrebbero lasciata uscire con una multa o una condizionale, la vecchia dottoressa, l’unica non fumatrice costretta a stare in una cella con trenta fumatrici. Ma le hanno dato cinque anni e mezzo di colonia penale. Oleg Belousov, di San Pietroburgo. È anche lui disabile. È stato accusato di “diffusione di notizie false sull’esercito russo” e arrestato. Poi è stato condannato a cinque anni e mezzo di campo. Però lo hanno qualificato come “incline alla fuga”. Cosa significa? Significa che nel corso di ogni notte, diverse volte, a intervalli di due ore, lo svegliano per controllare la sua identità, puntandogli una luce forte nella faccia e obbligandolo a presentarsi. Si creano sofferenze non solo a lui, ma a suo figlio, un ragazzo di 22 anni, che è un disabile mentale. Non ha nessuno oltre a suo padre. Gli investigatori hanno trovato un modo ideale per fare pressione su Belousov. Il figlio è stato fatto passare come testimone nel processo contro il padre. E poiché il figlio è ormai testimone, su questa base, ascoltate!,… Continua a leggere Dmitrij Muratov: “Per favore, scambiate i civili”.

Trenta anni prima: un progetto del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial.

Per provare a capire come e perché la Russia postsovietica si sia trasformata in una dittatura il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial promuove il progetto Trenta anni prima. In Russia la dittatura è eterna? Come hanno fatto a distruggere la libertà di parola in Russia? Perché la Russia non è diventata una democrazia? Come è possibile che Vladimir Putin sia ancora al potere? Il 24 febbraio 2022 la Federazione Russa ha avviato l’invasione su vasta scala dell’Ucraina e l’eco di numerose domande ha ripreso a risuonare. È possibile trovare una risposta? Il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial pensa di sì. Nel 2023 il Centro ha compiuto trent’anni. La data è convenzionale: Memorial ha iniziato molto prima a difendere i diritti umani. Il punto di riferimento è l’aprile del 1993, quando fu adottato lo statuto dell’associazione. Ricordiamo che nell’aprile del 2022 con sentenza della Corte Suprema della Federazione Russa le autorità hanno “liquidato” ovvero soppresso il Centro per la difesa dei diritti umani Memorial, così come avvenuto per Memorial Internazionale. Gli attivisti hanno tuttavia trovato un nuovo formato per l’associazione e sono riusciti a portare avanti il lavoro di cui si occupano da oltre trent’anni. La Russia postsovietica ha dunque quasi la stessa età del Centro Memorial. Sotto lo sguardo e con la partecipazione degli attivisti la Russia è cambiata: la dittatura sovietica è diventata una giovane democrazia e si è poi trasformata in una nuova dittatura. I collaboratori di Memorial sono stati non solo testimoni, ma anche attori degli eventi storici più determinanti della Russia contemporanea. L’attualità per loro è stata storia, una storia che hanno voluto descrivere e documentare. E adesso hanno molto da raccontare. È questo lo spirito che anima il progetto Trenta anni prima. Con la collaborazione di media indipendenti, difensori dei diritti umani, esperti e rappresentanti della società civile i collaboratori del Centro Memorial intendono affrontare le numerose e importanti questioni che riguardano la Russia postsovietica. Tentano di comprendere che cosa abbia condotto all’attuale regime. Cercano di spiegare come sia stato possibile distruggere le libertà dei cittadini russi, come sia potuto accadere che quegli stessi cittadini abbiano rinunciato alle proprie libertà e come sia stato perseguito chi ha tentato di difenderle. Ottobre 1993: come è iniziata la “piccola guerra civile” a Mosca? Siamo nel 1993 quando a Mosca si parla di “piccola guerra civile”. Per molti osservatori i fatti del 3-4 ottobre 1993 segnano il momento dell’autodistruzione di una nascente democrazia nella Russia post-sovietica e della sua trasformazione in uno stato autoritario. Il conflitto tra il presidente Boris El’cin e il Soviet Supremo, iniziato il 21 settembre, raggiunge il culmine nella prima settimana di ottobre, provocando proteste, scontri, attacchi agli uffici del sindaco di Mosca e al centro televisivo di Ostankino e alla fine l’assalto della Casa Bianca russa da parte dell’esercito. Il Centro Memorial ha chiesto ad Aleksandr Čerkasov, membro del consiglio direttivo dell’associazione, di parlare degli avvenimenti dell’ottobre 1993. A Mosca nell’autunno del 1993, tra il 21 settembre e il 4 ottobre, le vittime sono 158, i feriti 423, più di venti persone risultano disperse. La successiva “riforma costituzionale a tappe” attribuisce al presidente Boris El’cin poteri estremamente ampi. Gli accadimenti del 1993 costituiscono il prologo della prima guerra cecena e delle guerre successive. Quanto accade oggi in Ucraina fa parte della stessa catena di eventi. Dal federalismo a uno stato unitario autoritario? Negli anni Novanta la maggior parte delle repubbliche etniche sceglie di continuare a far parte della Federazione Russa, avendo ottenuto dal Cremlino la promessa di poter godere di sovranità ed economia indipendente e della possibilità di crescere senza doversi guardare le spalle dal governo federale. A trent’anni di distanza comprendiamo che quegli accordi hanno avuto vita breve: le repubbliche sono state integrate nella cosiddetta verticale del potere e private di poteri reali, diventando solo simbolicamente differenti dalle altre regioni della Federazione Russa. Nell’ambito del progetto Trenta anni prima la testata giornalistica indipendente russa Vërstka ripercorre le vicende che hanno condotto la Federazione Russa, intenzionata a diventare una federazione democratica, a trasformarsi in uno stato unitario autoritario. Darja Kučerenko ha parlato con attivisti, giornalisti, linguisti, storici e politologi provenienti da Baškortostan, Čuvašija, Burjatija. Prendendo spunto dall’esempio offerto da queste repubbliche, si analizza come il federalismo proposto negli anni Novanta abbia subito graduali restrizioni. Da sinistra a destra durante un incontro in Tatarstan nel giugno del 2000: Murtaza Rachimov, presidente della repubblica del Baškortostan; Mintimer Šajmiev, presidente della repubblica del Tatarstan; Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa; Farid Muchametšin, presidente del parlamento della repubblica del Tatarstan; Kamil Ischakov, sindaco della città di Kazan’. Perché la Russia non rispetta i diritti umani nei conflitti armati? La prima pubblicazione del progetto Trenta anni prima è dedicata ai crimini di guerra che negli ultimi trent’anni l’esercito della Federazione Russa ha commesso e continua a commettere in Cecenia, Siria e Ucraina. Il report Trent’anni di crimini di guerra della Russia è disponibile on line in russo, inglese, francese e arabo. Negli ultimi trent’anni Memorial è stata attiva in numerose zone di guerra, documentando le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra commessi dall’esercito della Federazione Russa. Attualmente l’esercito della Federazione Russa commette crimini atroci in Ucraina. I nomi delle città ucraine in cui i militari russi hanno torturato e ucciso, “filtrato” e stuprato sono noti a tutti. Di numerosi altri crimini non si ha ancora notizia, ma solo perché la guerra non è finita. I collaboratori del Centro Memorial tuttavia conoscono bene le guerre cui la Russia ha preso parte negli ultimi trent’anni. Prima di Mariupol’ ci sono state le rovine di Aleppo e di Groznyj. Le stragi impunite di civili ceceni a Samaški e Novye Aldy hanno condotto all’incubo di Buča. I “campi di filtraggio” sperimentati dai cittadini di Mariupol’ sono gli eredi del “sistema di filtraggio” utilizzato in Cecenia. Perché l’invasione su vasta scala dell’Ucraina è stata definita dalle autorità “operazione militare speciale”? Non è la prima volta che le autorità della Federazione Russa nascondono la… Continua a leggere Trenta anni prima: un progetto del Centro per la difesa dei diritti umani Memorial.